Follia

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Tutto può succedere nella mia testa e questa storia ne è l'esatta conferma.
Mi dispiace, sono sicura che molti immaginavano un racconto diverso ma "la vita è troppo breve per sprecarla a realizzare i sogni degli altri" 😎

Grazie a chi si incuriosirà a andrà avanti, è la vostra curiosità rende vivo questo fuoco 🌹




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"La sai come si dice da noi:
guai a chi è morto nel cuore di un altro!"

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L'odore di caffè proveniente dal bar sotto casa entrò dalla finestra sospinto dal vento invadendo il piccolo abitacolo dove ogni notte mi ritiravo per spegnere il cervello e riposare.
Rigirai il mio viso più volte strofinandolo su quel cuscino ricoperto da una federa blu cobalto coordinata alle lenzuola che tirai fin sopra alla mia testa coprendola tutta.
L'aria gelida colpì i miei piedi scoperti, pensai di essermi dimenticato nuovamente la finestra aperta e che farlo a dicembre non era una buona idea.
Mi rannicchiai, sbadiglia e poi distrattamente afferrai il telefono posto sotto al mio cuscino. Sbloccai inserendo la password e rimasi qualche istante a fissare l'orario con gli occhi leggermente socchiusi e rossi, probabilmente irritati dalla luce improvvisa dello schermo.
Era una tardi mattinata di domenica e sbruffai perchè tra tutti era il giorno della settimava che odiavo di più.
La domenica era la giornata della famiglia, la giornata della bontà, la giornata della pace.
E io nella mia vita tutto avevo assaggiato meno che la pace d'animo.
Quindi sorrisi scuotendo la testa e mi preparai ad uscire da quella coperta pronto ad affrontare la paranoia del mondo.
Spostai il lenzuolo e poggiai le mani ai miei fianchi stiracchiando bene i miei arti inferiori.

"Buongiorno", sussurrò una voce al mio fianco e io sobbalzai sul posto portando involontariamente una mano sul mio petto per lo spavento finchè misi a fuoco la figura al mio fianco: un ragazzo sulla trentina dal fisico asciutto, gli occhi neri e la folta barba era steso proprio al mio fianco e mi fissava come se fossi pazzo.
E magari lo ero davvero, perchè non avevo assolutamente idea di come fosse entrato e d'istinto mi alzai controllando la porta d'ingresso che era ancora chiusa come l'avevo lasciata la notte prima
la notte prima.. la notte prima.

Cosa avevo fatto la notte prima? Provai a sforzarmi, cercai di ricordare.
Probabilmente come ogni giorno avevo bevuto così tanto da perdere i sensi e mi ero portato a casa il primo ragazzo facile che avevo incontrato.
Certo, questa volta avevo scelto proprio bene. Così scossi la testa come per cacciate via quei pensieri e mi scusai.
"Scusami.. Devo aver bevuto molto ieri sera. Potresti dirmi chi sei?", domandai inconsciamente guardando sorgere sul suo viso un'espressione scioccata.
Reagivano sempre così, i ragazzi, quando si sentivano sedotti e abbandonati.
"Scherzi?", domandò il ragazzo perplesso.
"Claudio, non mi riconosci?" mi domandò ancora e io allargai leggermente le labbra.
Mi capitava spesso questo genere di conversazione e non era mai facile fingere da sobrio, da ubriaco ci riuscivo molto meglio.

"Claudio, sono Mario. Sono il tuo fidanzato!",
E inconsciamente scoppiai a ridere perchè le parole "Claudio" e "fidanzato" nella stessa frase non le avevo mai sentite prima di quel momento.
"Si.. immagino che siamo anche sposati e abbiamo tre figli!", continuai ridendo fino a che mi resi conto che sul suo viso non comparve il minimo segno di titubanza.
"Mi piace la tua immaginazione davvero ma ci sarà stato un piccolo fraintendimento quindi adesso devi andare perchè avremo anche passato una notte meravigliosa insieme ma adesso devo davvero andare a lavoro!" farfugliai distratto afferrando i pantaloni poggiati sulla mia cassettiera.
"Clà ti prego fermati un secondo, voglio spiegarti.."
"Spiegarmi? Non devi spiegarmi nulla, devi solo andare via!"

"No.. non è così facile. Dio mio.." affermò portandosi le mani tra i capelli e poi continuò "E ora come faccio? Mi prenderai per pazzo e non capirai nulla.."

"Se ti può interessare per me sei già un pazzo quindi gentilmen.."
"Io lo so che questa situazione ti sembrerà.. paranormale Claudio e non voglio spaventarti ma io, ecco.."
"Dimmi!", lo incitai a parlare quando comincia a spaventarmi.

"Io so tutto di te Claudio perchè io sono il tuo ragazzo. Stiamo insieme da cinque anni. Ieri era il nostro anniversario, siamo andati a mangiare nel nostro locale preferito, abbiamo preso il nostro dolce e stavamo tornando a casa solo che io ho dimenticato il mio telefono e sono tornato a prenderlo e quando sono uscito di nuovo..", si fermò, prese un grande respiro e continuò: "quando sono uscito di nuovo una macchina nera mi ha travolto in pieno. E sono morto. Non so come ma credimi, sono certo di essere morto. Poi io non so cosa sia successo davvero ma ho aperto gli occhi improvvisamente e mi sono ritrovato qui, nel nostro letto al tuo fianco!"
Rimasi immobile per qualche istante con i miei occhi puntati su di lui.

E poi scoppiai a ridere rumorosamente e di gusto provocando in lui sconforto visibile e palpabile.
"Scusa", affermai tra le risate "Credevo di essere io quello ubriaco ma fratello devi aver preso qualcosa di molto pesante per raccontare queste robe!", continuai cercando i miei vestiti sparsi per la stanza.
Ne circolavano di droga strane in quel periodo ma non credevo di essermi portato a casa un fattone del genere.
Lui sbruffò alzandosi dal letto e camminando verso di me a passo lento e io indietreggiai.
"Tu penserai che sono pazzo!", gridò.
"Sei pazzo!", risposi spalancando gli occhi.
"Lo so che è impossibile da credere Clà ma è così, davvero. Cosa posso fare per fartelo capire?
Tua madre! Tua madre ti ha regalato 7 paia di calzini, con su scritto ogni giorno della settimana perchè da piccolo ti dimenticavi di cambiarteli ogni giorno e finivi per portare lo stesso paio 3 giorni di seguito!", affermò.
E io tossii imbarazzato perchè quella storia era reale, eccome se era reale.
E cosa più strana: non lo sapeva nessuno. Non parlavamo mai con nessuno della mia infanzia.
Ma questo non significava nulla, potevo averglielo raccontato durante la notte per colpa dell'alcool perciò scossi la testa e indietreggiai.

"Non basta!", gridai. E alzai la voce più per convincere me che per convicere lui.
"Vabene, allora chiedimi tu qualcosa della tua vita!", mi sfidò continuando a camminare verso di me.

"Perchè ho un piercing sul sopracciglio?",

"Perchè a 14 anni hai fatto a botte con un compagno di classe che ti ha lasciato una cicatrice che hai deciso di coprire con il piercing. Tua nonna si chiama Mary, hai una sorella, tua madre si chiama Caterina e tuo padre Franco. A sette anni ti sei rotto il femore facendo le capriole sul divano, hai una grossa cicatrice sul pollice della mano destra.
Hai capito di essere gay a 17 anni ma l'hai ammesso solo a 25. Sei nato il 29 settembre in piena notte. Non ti piacciono i gatti, ami i cani ma non ne hai mai preso uno perchè sei allergico al pelo. Sei allergico anche all'aspirina e il tuo gusto preferito di gelato è il caffè. Devo dirti altro?", domandò ma non risposi.
Rimasi impietrito. Aveva indovinato tutto. Conosceva ogni cosa di me, anche le più stupide e questo poteva voler dire solo due cose: o aveva ragione e in tal caso dovevo prendere in considerazione l'idea di essere diventato pazzo.
Oppure era solo uno stalker psicopatico e magari il pazzo non ero io ma lui.
Ignorai quello che stava blaterando e lo spinsi guidandolo verso la porta.
"Ehi Claudio aspetta ti prego." mi implorò.
"Vai via da questa casa subito e non farti più vedere devi lasciarmi stare o chiamo la polizia!", urlai aprendo la porta.
"Claudio ma io non so dove andare ti prego non puoi cacciarmi!", continuò ma presi coraggio e lo spinsi fuori chiudendo a chiave.
Qualsiasi cosa stesse accadendo nella mia vita volevo dimenticare e continuare a vivere come avevo sempre fatto.
Aprii l'ennesima bottiglia di whiskey e buttai giù qualche sorso.

Dicembre RomaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora