Capitolo 3

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I tre ragazzi camminarono ancora un po' lungo il corridoio al piano terra, sorpassando la sala conferenze e la stanza-dormitorio, dove ormai i bambini che prima facevano il sonnellino si erano alzati. 

Per curiosità, Near tornò indietro e aprì la porta, piano, non sapeva se proprio tutti i bimbi si fossero già svegliati. Il soffitto blu notte con le stelline, gli adesivi luminosi alle pareti, le brande vuote con le copertine che cadevano sul pavimento... C'erano ancora due bambini che dormivano. Facendo piano, Near entrò.

- Ma che cazzo fai, sei scemo?! – lo rimproverò Mello.

- Ssssh! – Near gli fece cenno di stare zitto.

Il ragazzino avanzò lentamente verso i due piccoli addormentati. Uno riposava tranquillo, l'altro... sembrava stesse facendo un incubo. Near si accucciò vicino alla sua brandina, valutando se fosse stato meglio svegliarlo, oppure... 

Decise di provare con la seconda opzione. Accarezzò piano i capelli del bambino, sussurrandogli: - Va tutto bene...- e continuò a riempirlo di carezze fino a quando il piccolo non si calmò, ricominciando a dormire rilassato. 

Dalla porta, Matt sorrideva intenerito e Mello guardava Near stupefatto. Dopo essersi accertato che i due piccoli dormissero beati, Near uscì, chiudendosi la porta alle spalle, e continuò a camminare lungo il corridoio.

Era notte. Fuori infuriava la tempesta. Non riuscivo a dormire. Avevo paura del buio. Avevo paura anche della luce. Perché sapevo che la luce dei lampi sarebbe stata solo passeggera, e che sarebbe tornato tutto nero, subito dopo. 

Come le cose belle. Arrivano, ti danno il tempo di abituarti a loro, e poi se ne vanno. Tutto troppo in fretta. Quanti anni avevo? Cinque? Sei? 

Uscii dalla mia camera, facendo piano per non svegliare il mio compagno di stanza, che, al contrario di me, dormiva bene anche durante i temporali. Mi diressi verso la camera 21 e bussai piano. 

Non venne subito ad aprirmi. Credo che aspettai cinque minuti buoni. Ma non volevo tornare nella mia stanza. Bussai di nuovo, magari non aveva sentito. Dopo mezzo minuto, mi venne ad aprire.

- Near... - lo disse quasi come se mi stesse aspettando.

- Alle cinque di domani mattina devi tornartene nelle tua stanza. – sussurrò. Io annuii.

- E fai piano, Matt si è appena addormentato. Se si sveglia non finirà più di commentare. –

Annuii di nuovo. Mi fece entrare. Lanciai un'occhiata a Matt: dormiva profondamente. 

Io sapevo che Matt lo amava. Perché sì, se la fortuna vuole, ci si può innamorare anche a nove o dieci anni. Se Matt mi avesse visto, la loro amicizia sarebbe finita. Avrebbe pensato che noi due fossimo... sì, insomma, quello... Ma non era vero! 

In sostanza, noi due non eravamo niente. Eravamo sguardi rancorosi a cui si opponeva un'espressione indifferente, urla e grida a cui rispondeva il silenzio, il nero che si scontrava col bianco. 

Non eravamo nemmeno amici. 

Quindi Matt poteva stare tranquillo. Non ero lì per rubargli l'unica persona che l'avesse mai amato. Perché sì, i sentimenti di Matt erano corrisposti.

Io lo sapevo che non c'era niente di male in quello che facevo. Non stavo intaccando il loro amore. Però mi sentivo male ogni volta che lui mi faceva spazio nel suo letto. 

Forse era perché Matt non sapeva che c'ero anch'io in quella stanza. La mano che mi invitava a coricarmi vicino a lui, il fruscio delle lenzuola. Il fatto che Matt avesse gli occhi chiusi e la mente in un'altra dimensione, a sognare, magari, un futuro col suo amore. Tutto questo mi faceva un effetto strano. 

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