Capitolo 5

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Rimasto nel parco a rimuginare sul suo incontro con Watari, ad un certo punto Mello sentì qualcuno sedersi vicino a lui. Per un momento temette potesse essere Matt. Non voleva vederlo. Si asciugò le lacrime e alzò piano la testa dalle ginocchia. 

Tra tutte le persone che sarebbero potute essere, era quella che meno si aspettava. 

Near

Il ragazzino se ne stava lì, sulla panchina, ricurvo su se stesso. Fissava il cielo, assorto.

- Che ci fai qui, omino bianco? – chiese Mello, ma non ottenne risposta.

- Ci sono le nuvole fosforescenti. – disse Near dopo dieci minuti.

- Eh? Le nuvole fosforescenti?! –

- Sì. I raggi del sole si riflettono in modo strano, creano ombre scure e certe nuvole sono talmente bianche che sembrano fosforescenti. –

- Che cosa stai cercando di dire? –

- Niente. Solo che ci sono le nuvole fosforescenti. – concluse Near.

Era mattina. C'erano le "nuvole fosforescenti". Arrivammo davanti ad un cancello, oltre al quale si trovava un edificio enorme ed imponente. Sulla targhetta del campanello c'era scritto "Wammy's House". Nonna suonò e un minuto dopo comparve sulla soglia un uomo che ci raggiunse subito.

- Piacere, Roger. Posso aiutarla, signora? – si rivolse cortesemente a mia nonna.

- Sì. Ha quattro anni e non parla. Tenetevelo voi. Sinceramente, io non so che farmene. – disse lei indicandomi. Roger fece una faccia perplessa e leggermente arrabbiata.

Era vero. Mia nonna non conosceva il suono della mia voce. Mi impegnavo al massimo a stare zitto. Pensava che avessi chissà quali problemi, invece io non parlavo semplicemente perché non volevo. Mi bastava stare accucciato in un cantuccio. 

Mesi prima stavo a sentire papà e mamma litigare. Sapevano usare la loro voce solo così. Io non volevo parlare. Se usare la voce significava dire cose spiacevoli, allora preferivo stare in silenzio.

Spesso urlavano a causa mia. Ma io lo so che mi volevano bene. Soprattutto papà: è lui che mi ha sentito dire la prima parola. Mamma diceva che a volte le facevo paura. Ma mi voleva bene. Almeno, era quello che credevo.

Eravamo in macchina. Sapevo che mi stavano portando da qualche parte per poi abbandonarmi lì. 

Nelle ultime settimane, litigavano sempre. Papà voleva tenermi, mamma no. Non voleva un bambino spaventoso e muto. Io ero triste per mamma, che aveva ragione, e arrabbiato con papà, che non si era poi opposto tanto a quella decisione. 

Solo che... Quell'incidente mi fece sentire in colpa. I miei morirono a causa mia, mentre tentavano di liberarsi di me. Non mi parve giusto. 

Rimanemmo bloccati in quella macchina, tutti e tre. Solo che loro due riportarono ferite decisamente più gravi delle mie e morirono dissanguati. 

Mi ricordo cosa mi disse mio padre, dopo l'incidente. Aveva il sangue che gli colava dalla testa. Disse che sarei dovuto essere forte, ma che non dovevo preoccuparmi, perché lo ero già, e che mi amava tanto. Mia madre non mi disse niente. Mi resi conto solo allora di quanto la disgustassi. Il mio non parlare, il mio fissare le cose e le persone, il mio amore nei confronti del bianco. Sapevo che era gelosa di mio papà, che aveva sentito almeno una volta la mia voce. 

Mi dissi che dovevo odiarla, mia madre. Se lei non mi amava, non potevo non odiarla. Mi ripromisi di farlo. Ma non ci riuscii. Forse avrei dovuto dirglielo, che io, nonostante tutto, le volevo bene. Ma non lo feci. Magari, se le avessi detto queste parole, sarebbero ancora vivi.

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