ALLIE (Parte 1) ricordo numero due

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Ricordo numero due

(Tre anni prima)

Sara mi aveva dato una possibilità per evitare che mio padre mi rinfacciasse per sempre quel viaggio, ma non sapevo ancora se esserle grata o arrabbiata per averlo fatto.

Era il periodo estivo e nel pub in cui lavorava c'era una bieca possibilità che accettassero una sostituta che occupasse temporaneamente il posto di un'altra cameriera, che era bloccata a casa per un infortunio. E anche se non aveva chiesto il mio parere, aveva domandato lo stesso al suo capo di prendermi in considerazione.

Era solo breve opportunità, perché dopo una settimana mi avrebbe rispedita da dove ero venuta, e sarei tornata a casa mia a dover dividere i miei genitori dalle loro continue liti.

Stringevo tra le mani il medaglione che mia nonna mi aveva regalato quando avevo compiuto 18 anni.

Mi disse che avrebbe voluto che quel ricordo sopravvivesse anche dopo la sua morte. Non aveva mai voluto raccontarmi cosa rappresentasse per lei quell'oggetto, e quando glielo avevo chiesto, cosa che era capitata spesso, aveva cambiato sempre argomento. Era rimasto un mistero, una storia che avrei tanto voluto un giorno scoprire.

Era proprio per quel motivo che quel oggetto era diventato una specie di portafortuna e me lo trascinavo ovunque andassi.

Respirai profondamente, cercando di trovare il coraggio per entrare in quel posto pieno di gente. Odiavo i luoghi affollati, non riuscivo proprio ad adattarmici.

Attribuivo quel mio modo di essere alla mia incompetenza nel farmi delle amicizie autentiche, ma in realtà il mio voler stare sola era qualcosa che apprezzavo. Il mondo non sempre mi piaceva, a volte lo trovavo estremamente rumoroso.

Quando ero tra la gente, che fossero amici o estranei, ero sempre quella più silenziosa. Gli altri scherzavano tra di loro e io me ne stavo in un angolino in disparte, a riflettere su come non mi sentissi a mio agio in quei contesti. Così senza dare spiegazioni a nessuno, avevo smesso di presentarmi anche alle varie uscite di gruppo.

Ma la verità era anche un'altra.

Mi ero allontanata perché lui era andato via. Per via di quel nostro maledetto rapporto andato in frantumi per niente. Avevo lasciato tutto perché improvvisamente ogni cosa si era complicata.

Era stata dura andare avanti, provare a dimenticare qualcosa che non potevo dimenticare, perché un pezzo di me sarebbe sempre stato legato a lui per sempre.

Sara mi aveva trascinata quasi a forza al mio primo giorno da cameriera. Non mi ci vedevo proprio in quelle vesti.

Io che portavo sempre con me una penna per poter scrivere, io che sognavo di diventare una scrittrice, di viaggiare in chissà quali posti. Io che disegnavo anche sulle panchine dei parchi, non mi ci vedevo a fare un lavoro che non implicasse un minimo di creatività, un minimo di fuga dalla quotidianità.

Era così strano sentirsi sempre nel posto sbagliato, anche quando gli altri intorno a me cercavano di convincermi del contrario.

Per rendere quella circostanza ancora più imbarazzante, c'erano i miei capelli rossi aggrovigliati in una coda spettinata. Erano tutti in disordine, con delle ciocche ribelli che uscivano fuori dal fermaglio. Davo proprio l'impressione di una persona che si era appena svegliata da un pisolino di poche ore.

«Cerca di non fare casini» mi riprese la mia amica.

«Allora non avresti dovuto propormi questo lavoro e accettare al mio posto senza chiedermi nulla» ribadii facendole una linguaccia, come se fossimo due bambine che si facevano i dispetti a vicenda.

«Che spiritosa, aggiustati quel cesto di pomodori che hai in testa» aggiunse senza risparmiarsi la solita frecciatina.

Dopodiché la vidi dirigersi verso un tavolo in cui c'era un gruppo di ragazzi, a esibire il suo sorriso migliore.

Lei era il mio opposto.

Era così sicura di sé, riusciva a cavarsela in ogni situazione, ogni suoi movimento rifletteva la sua determinazione. Avevamo solo due anni di differenza, ma lei già viveva da sola, studiava e si prodigava in ben due lavori differenti.

«Scusi potrebbe portare quattro aperitivi alla frutta e vodka a quel tavolo laggiù?» chiese una ragazza bionda, indicandomi il tavolo che occupava con i suoi amici.

«Ehmmm si...certo» assentii titubante.

«Grazie.»

Quando mi lasciò per raggiungere il suo gruppo, non potei fare a meno di sentire un senso di sollievo crescermi dentro.

Il locale era gremito di gente, così tanta gente che il caos, le chiacchiere e i borbottii creavano una confusione quasi claustrofobica.

Osservai un po' le persone sedute a raccontarsi chissà quali avventure.

C'era un tipo grassottello con altri due ragazzi della medesima stazza, che ridevano sollevando ogni tanto le loro bibite. Più in là invece, c'era una donna con la mano stretta a quella del proprio compagno, che invece di guardare quanto fosse bella, preferiva guardare un'altra ragazza a pochi metri di distanza. 

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