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"Ti prego dimmi che prima che cominci il college ti lascerai accompagnare a fare shopping" disse Savannah scuotendo la sua liscia e setosa chioma corvina

"... O almeno che non ti farai vedere in giro conciata in questo modo insieme a me", aggiunse con un ghigno.

Scoppiai in una fragorosa risata anche io, abituata alle battute di Savannah in tema abbigliamento, soprattutto quando riguardavano il mio abbigliamento, poi mi diedi una rapida controllatina.

Non riuscivo a capire, a parte gli scherzi, cosa non andasse nella mia tuta nuova: aderiva al mio corpo a meraviglia, avevo anche perso qualche chilo negli ultimi mesi, e, sinceramente, di agghindarmi per un caffè domenicale non m'era mai sembrato il caso.

Savannah mi colse in flagrante mentre ero intenta ad analizzare anche la punta delle mie scarpe e, senza un briciolo di pietà, rincarò la dose: "Sono terribili anche quelle Fanny, davvero".

Alzai le spalle e le mani in segno di resa: "Vorrà dire che m'accompagnerai a fare shopping prima che inizi il college".

La mia amica esplose in un grido di gioia, ma il cameriere la interruppe portandoci le nostre bevande calde; lei, ignorandolo, continuò a strillare: "Non ci posso credere, non ci posso credere, vuoi fare shopping? Tu??" Disse afferrandosi una ciocca di capelli e cominciando a lisciarsela nervosamente: lo faceva sempre, quand'era eccitata o quand'era nervosa. A volte la prendevo in giro dicendole che le si sarebbe staccata la ciocca prima o poi, a forza di lisciarla.

"La scusi" dissi dunque rivolta al cameriere: "Ha dei problemi mentali per cui..."

"EHI" gridò dunque Savannah fingendosi indispettita: "Fino a prova contraria la malata che va in giro in tuta, senza nemmeno essere stata a correre, sei tu!"

Il cameriere continuò a fissarci perplesso, e sarebbe stato il caso di saldare il conto e congedarlo, ma il mio buon senso inesistente ebbe la geniale idea di trattenerlo ancora un po': "A questo punto: CI scusi!" Dissi, ridendo a crepapelle.

Lui non rise, ma restò ad osservarci come inebetito, per un attimo mi parve imbalsamato, poi ricordai che il poveraccio era rimasto di stucco a causa nostra, e che probabilmente si stava chiedendo dove fosse finito e che gli sarebbe capitato da lì a poco, nelle grinfie di due pazze.

Fu Savannah a correre in suo soccorso: "Solitamente questo è il momento in cui prendi i soldi e scappi!" Disse porgendogli una banconota da dieci dollari. Lui la prese tentennando, poi si allontanò continuando a gettare rapide occhiate nella nostra direzione, quasi fosse davvero impaurito.

"Sembrava spaventato a morte" disse Savannah tenendosi la pancia per il troppo ridere.

"Secondo me domani si licenza", ribadii io con le lacrime agli occhi: "Oppure chiederà informazioni su di noi e poi ci farà internare".

"Comunque sembravi una che ci stava provando e che poi si è vergognata ed allora ha smesso. Poverello, è normale ci sia rimasto male!" Mi schernì Savannah.

Sbuffai, non avevo bisogno di spiegarle che non ci stavo assolutamente provando, né mi sarei mai sognata di flirtare di fronte a tutti, in un bar, per giunta. ,i limitai a lanciarle la mia occhiataccia letale che, infatti, la redarguì all'istante.

"Scusa, sto esagerando, è che adoro fartela pagare per avermi abbandonata un anno"

"Io non ti ho abbandonata un anno 'Annah" le dissi seria.

Finito il liceo era pesato ad entrambe separarsi: lei subito pronta a cominciare il college, io ancora in profonda crisi d'identità avevo scelto di prendermi un anno di pausa. Un anno sabbatico in cui vivere le mie avventure e decidere che fare della mia vita.

Quel disastro meravigliosoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora