Cavie

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Aprì gli occhi.

Era stato il campanile che scandiva le sei del pomeriggio a svegliarla.

Vera si raddrizzò. Scese dal letto. Una stiracchiata. Era arrivata al Belvedere da poche ore, ma già le sembrava un'eternità.

Guardò dalla finestra con gli occhi stretti. Il sole aveva smesso di battere.

Una doccia scacciò via gli ultimi residui di sonno. Rimettere gli stessi vestiti la fece sentire a disagio.

Sentiva voglia di un caffè. Appena entrata al Belvedere aveva notato l'angolo bar.

Scese da basso.

La sedia dove prima c'era seduta Deborah Torricelli era vuota.

Udì la voce del proprietario. Lo vide oltre una porta accostata. Era la stanza dove c'erano le cassette di bottiglie di acqua.

Fausto stava bevendo da una di esse. Parlava al cellulare.

«... perché diavolo mi chiama X anche al telefono?!... Sì, all'aeroporto. Domani. Alle due.»

Terminò la chiamata. «Dannato cinese sbruffone!»

Vera lo vide voltarsi, sorpreso di vederla. Le mostrò un sorriso finto.

«Signora! Ha bisogno di me?»

«Di un caffè, a dire il vero.»

Scioglieva lo zucchero nella tazza di caffè. Nero. Bollente. Lo sorseggiò, spostandosi nella sala pranzo. Contava pochi tavoli. Un giornale spiegazzato su uno di essi. Portava la data di pochi giorni prima. Lo sbirciò.

Un articolo riguardava Miniera. Di molti paesani ricoverati in ospedale. Lamentavano forti stati febbrili, alterazione dei sensi, escoriazioni cutanee. I medici, secondo l'articolo, non sapevano a cosa fossero dovute.

Finì il suo caffè.

Lasciò la tazzina al bar.

Tornò di sopra, sperando di non imbattersi ancora in Deborah Torricelli.

Non la incontrò.

Fu di nuovo nella sua stanza. La sera inoltrata la costrinse ad accendere la luce. Si gettò sopra il letto. E, senza volerlo, fissò la lampada che pendeva dal soffitto. La luce... la luce voleva raccontarle qualcosa...

Ebbe un attacco di panico.

Si ritrovò spettatrice di una scena...

... Tamara. Nella sua stanza. Distesa nuda sopra le coperte del letto. Sveglia. Si attorcigliava nervosa i lunghi capelli biondi.

La camera veniva illuminata. Una sfera di luce si avvicinava alla finestra...

... Vera uscì dallo stato di trance. Le mani serrate in due pugni. Vene affiorate sulla pelle. Calmò il respiro. Un forte bisogno di piangere. Le lacrime le si fermarono negli occhi. Restò distesa. E continuò a fissare la luce del lampadario.

Le sette del mattino. Il cielo era coperto. Uno stormo di uccelli sorvolava il lago. Il canto di un gallo dava la sveglia. Penetrava all'interno della stanza 23 del Belvedere.

Vera era ancora distesa a letto. Gli occhi sempre fissi sulla luce della lampada. Li aveva distolti poche volte durante le notte.

Cercava ancora di capire il senso della visione di Tamara. Della sfera di luce alla finestra.

Cosa volevi dirmi?

Scese dal letto per andare in bagno.

Realizzò di essersi coricata senza togliersi i vestiti.

Trovami, Vera.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora