In viaggio...

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 Una strada sterrata svanisce nel buio. Alcuni fiori appoggiati ai piedi di un albero. Di fronte, abbandonato sulla ghiaia, un orologio col vetro graffiato. Le lancette ferme sulle 24:53.

Le note di un pianoforte. Lontane. Trasportano il sussurro di una voce femminile.

«... la faccia di pietra... l'uomo bianco... la porta che si apre ma non rimane chiusa da sola... stai lontana da me, sfera di luce!»

La voce si affievolisce. Prima di tornare da dove è venuta, dal buio, è appena percettibile...

... mi chiamo Tamara Neri.

Vera Mancini aprì di scatto le palpebre. Si raddrizzò sul letto col batticuore. Le coperte scalciate a bordo del letto lasciavano intendere un sonno agitato.

Si alzò nervosamente. Il pavimento in assi di rovere si lamentò sotto i suoi passi. Scostò la tenda e aprì la finestra. Fu investita dal bollore di un'altra afosa giornata di agosto che arroventava la città di Genova. Il mare piatto ospitava qualche barca che scivolava lenta all'orizzonte, e il tratto di spiaggia che scorgeva gremiva di bagnanti.

Prese un boccata di aria salina, e lasciò la camera sistemandosi i capelli arruffati.

In bagno litigò per indossare velocemente i vestiti. Si truccò, donando al suo volto spigoloso e affilato un'impronta un po' più femminile. Sapeva bene che il suo fisico piatto non strizzava l'occhio agli uomini. I rimedi dei quali abusava per compensare quel difetto, erano una pesante mano di trucco e una marcata passata di rossetto.

Da basso la temperatura era più respirabile. Era la parte di casa dove il sole batteva solo nel tardo pomeriggio.

Vera raggiunse lo scrittoio al centro dell'ampio soggiorno. Aprì l'agenda. Scrisse il nome di Tamara Neri alla fine di un lungo elenco di altri nomi. Alcuni erano barrati da una riga. Altri no...

Recuperò il piccolo registratore portatile che teneva sempre a portata di mano. Lo accese. Si schiarì la voce...

«Trovami, ti prego... La faccia di pietra... L'uomo bianco... La porta che non rimane chiusa... Stai lontana da me, sfera di luce!»

Poggiò l'aggeggio vicino alla copia di un vecchio quotidiano, dove un titolo a caratteri cubitali la screditava.

"LA SENSITIVA VERA MANCINI HA FATTO CILECCA".

L'articolo si riferiva a un caso di rapimento dello scorso anno.

Sognare quel ragazzino, che la pregava di trovarlo con tanto di voce rotta dal pianto, viveva ancora in un cassetto della sua mente. Un cassetto che spesso si riapriva per farle riassaporare il suo fallimento. La sua collaborazione alle indagini era stata un buco nell'acqua. Il suo fiuto l'aveva tradita. Il meccanismo si era inceppato. In men che non si dica la stampa aveva messo in dubbio le sue abilità: "la Mancini non è poi tanto meglio delle altre medium", l'avevano sminuita.

I giornalisti forse si dimenticavano che molte delle persone scomparse, che le erano apparse in sogno, erano state ritrovate grazie alle sue preziose indicazioni. Aveva affiancato le autorità italiane di quasi tutte le regioni, e aveva messo a servizio i suoi incredibili poteri da visionaria. Poteri che non controllava, che facevano i capricci, come se di punto in bianco non ricevessero più corrente. E, allora, proprio come nel caso del rapimento di quel ragazzino, perdeva l'abilità di vedere ciò che per gli altri era impossibile. Il blackout accadeva poche volte. Erano i nomi sull'agenda che aveva sbarrato con la penna a parlare chiaro. Il tratteggio significava che il suo aiuto era servito a ritrovare la persona, ed erano molti di più di quelli senza tratteggio. Questi ultimi indicavano quei casi dove la corrente dei suoi poteri era saltata.

Trovami, Vera.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora