Cap 9 - Jeff

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Jeff's POV

((Non la farò molto spesso, come punto di vista, perché mirerei a tenere Jeff come un personaggio misterioso e imprevedibile))

Seduto comodamente sulla poltroncina del bub privato, e circondato da belle ragazze in reggicalze e cortissimi vestiti, Jeff se la passava bene.

Con la testa della più bella posata sul proprio petto, pensava, soddisfatto.

Aveva piegato la cameriera.

Ora lei non era altro che un rimpolpo alle schiere di uomini e donne che mensilmente gli ingrossavano il portafogli.

Come il padre, aveva combattuto contro di lui.

Accarezzando i capelli profumati della ragazza sulle proprie ginocchia, pensò ad Arthur Adams.

Quell'operaio, ai tempi, aveva dato dei problemi al padre di Jeff.
Sfruttando le proprie doti oratorie, segretamente, teneva comizi ai negozianti per farli ribellare.

Sapeva che la mossa più saggia per buttare giù un gigante era attaccarlo alle caviglie.

Per dieci anni, aveva girato New York, tenendo raduni in cantine, distribuendo volantini nei giornali, nel tentativo di convincere quel branco di galline e polli impauriti a rifiutarsi di pagare il pizzo.

Non era la prima volta che qualche svitato si metteva in testa di fare pazzie.

La "maledizione di Caino" fece il suo corso.

Per ogni livido inflitto a un suo uomo, un negozio veniva incendiato, per ogni uomo ucciso, una famiglia veniva picchiata.

Terrorizzò chiunque al punto tale da gelarlo.

Questo però non aveva fermato Arthur.

Fu allora che incontrò Davis, quella pecorella scappata dal recinto per sfuggire al macello.

I due crearono un legame grazie a una causa comune, e Arthur Adams divenne un vero problema.

Davis era un uomo burocratico. E le sue entrate, così come le sue uscite erano attentamente controllate nei registri che conservava in ufficio.

Se Arthur Adams si impossessava di quella documentazione, avrebbe avuto qualche prova per denunciare la mafia pubblicamente.

Per quello si era introdotto nel bar, dopo la morte di Davis.

Erano prove.

Andavano distrutte.

Quello che non aveva previsto era la lotta che quella ragazza aveva deciso di ingaggiare, nel momento in cui aveva commesso l'enorme errore di abbassare leggermente la guardia.

Doveva ringraziare che lei non avesse premuto il grilletto, quella volta. E che Jack avesse deciso di controllare se lui, Jeff, aveva infranto il divieto di entrare al bar.

Il fratello maggiore lo conosceva bene.
Sapeva che vietargli qualcosa era il primo passo per indurlo a farla.

Una caratteristica infantile che Jeff non aveva mai perso.
Era per questo che il padre gli aveva fatto ereditare la società.
L'illegale non lo spaventava, e la sua umanità, per quanto presente, poteva essere messa da parte in caso di affari grossi.

Per questo aveva ucciso Davis e Arthur, anche a costo di distruggere due famiglie e condannarle alla morte.

Ma Jeff era umano. E non aveva alzato la pistola senza prima avvertire.

Ora Mary Adams era stata avvertita.
Ora aveva imparato come comportarsi.
A come stare al suo posto.
Aveva salvato quella donna delicata da un destino crudele.

Sorridendo, Jeff si lasciò trasportare dalla leggiadria delle ragazze che lo circondavano, inebriandosi dei loro profumi e delle loro risantine tintinnanti, in compagnia del fratello.

Una figura scura dietro di lui passò inosservata a entrambi.
Con il borsalino calato sugli occhi, li superò velocemente, per dirigersi dal barista.

- Hai quello che ti ho chiesto? -
La voce era bassa, ma chiara. Allungò una busta all'uomo che riempiva i bicchieri, per cambiarla con un altra, velocemente.

Così come era arrivato, se ne andò dal pub, facendo indugiare per un istante lo sguardo sul gruppetto, che rideva, vicino alla poltroncina.

Sorrise.

- Ognuno al suo posto. -

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