Henry entrò al Leone d'oro a passo svelto, spalancando la porta con furia. Era accaldato, con la camicia impregnata di sudore e le punte dei capelli biondi attaccati al cranio. Ansimava, respirava a fatica, ma era sobrio.Oh, se era sobrio...Abbastanza sobrio per capire che quella volta non avrebbe avuto via di scampo, aveva fatto il passo più lungo della gamba, e se non avesse trovato una soluzione alla svelta sarebbe stato rovinato.Aveva bisogno di bere, si disse, appoggiandosi di peso al bancone.- Portami qualcosa...- biascicò, rivolto all'oste, infischiandosene altamente di tutti quegli altri ubriaconi dei clienti che si erano voltati a fissarlo come se fosse stato un pazzo.- Che cosa?- domandò l'oste, un omone basso e grasso, guardandolo di sottecchi.- Non importa, idiota! Qualcosa, qualsiasi cosa!- urlò Henry, guardandosi intorno come alla ricerca di qualcuno.L'oste si allontanò un attimo, per poi ritornare ponendogli malamente di fronte una pinta di birra.- Ce li hai i soldi per pagare?- Mettilo sul conto...- borbottò Henry, sorseggiando dal boccale.- Bada bene che se non paghi il conto questa è l'ultima volta che...- Dov'è Lord William?- chiese Henry, interrompendo la minaccia dell'oste.- E' laggiù - l'omaccione indicò un angolo buio, dove, isolato da tutti gli altri, era seduto Lord William.Henry abbandonò la sua birra al bancone, dirigendosi sveltamente dove l'oste aveva indicato. Si piazzò di fronte a Lord William, appoggiandosi di con le mani al tavolo.- Buongiorno, Henry, come vi sentite stamattina?- domandò educatamente Lord William, con il suo solito sorriso simile a un ghigno.- Bene...molto bene, grazie...Starei meglio se non fossi pieno di debiti senza i soldi per pagarli...- Qualche giorno fa avevate detto di voler fare una partita con me, non è vero?- incalzò Henry, tergendosi il sudore con un fazzoletto.- Sì, è così - confermò Lord William, apparentemente noncurante, sorseggiando tranquillamente la sua bevanda.- Ebbene, eccomi qui. Che ne dite, vogliamo cominciare?- ansimò frettolosamente Henry.Lord William si finse stupefatto.- Ora?- fece, posando il bicchiere.- Volete giocare ora?- E perché no?- Henry si sforzò di sorridere e di assumere un'aria rilassata, ma Lord William vide benissimo che era agitato, e quasi non riusciva a stare fermo.- Sono le otto del mattino, Henry...- obiettò Lord William, per il puro gusto di tormentarlo ancora di più.- E allora? Vorrà dire che avrò la mente lucida - ribatté Henry, con un altro sorriso tirato.Lord William fece per rispondergli, quando la sua attenzione venne attirata da un uomo alle spalle di Henry, un ometto sulla cinquantina con abiti di pelle e un fucile sottobraccio, che gli stava facendo cenno con la mano con aria impaziente. Lord William ghignò.- Arrivo subito, Marchese Van Tassel!- disse, alzandosi in piedi.Gettò due o tre monete sul tavolo, quindi guardò Henry.- Mi rincresce molto, Henry, ma ora proprio non ho tempo...Un impegno improrogabile...- disse, con aria di scuse.- Ma...- Non temete - lo bloccò Lord William, alzando una mano. - Non preoccupatevi, ho tutta l'intenzione di tener fede alla mia promessa. Ma non ora. Vi manderò a chiamare presto, e allora giocheremo la nostra partita, intesi?- Io...certo, certo, come volete...- acconsentì Henry, cercando di mascherare la delusione.- Ma sarà presto, vero? Insomma, cercate di capire, anch'io devo tener fede a degli impegni che...- Presto, Henry. Molto presto.Lord William gli passò accanto, dirigendosi con aria compiaciuta verso il Marchese Van Tassel, anche lui con un sorriso forzato sulle labbra, lasciando Henry deluso e stralunato alle sue spalle.Lord William ghignò; avrebbe davvero voluto togliersi la soddisfazione di battere quell'imbecille subito, per mettere fine alla faccenda, ma aveva davvero un impegno improrogabile.Aveva un appuntamento a caccia...
***
Era passato un mese. Per Catherine, trenta giorni che erano stati come trent'anni.Nonostante Constance continuasse a ripeterle che presto si sarebbe abituata a quella vita, la ragazza si sentiva ogni giorno sul punto di crollare.All'apparenza, poteva sembrare che la sua vita non fosse molto cambiata, da quella che faceva a casa. Era sempre molto mattiniera, non perdeva mai tempo e con Lady Julia era comunque costretta a lavorare tutto il giorno. Ma in realtà le cose erano molto cambiate.Tanto per cominciare, il lavoro che il padrone di casa le assegnava si faceva di volta in volta più faticoso e difficile; certo, poteva dire che il castello fosse migliorato, da che era arrivata, e poi Constance sembrava abbastanza felice di avere qualcuno che l'aiutasse – Ernest aveva settantacinque anni, e faceva quello che poteva, così come Peter, con la scusa che era solo un ragazzino.Ma era una ben magra consolazione.A casa, c'era Lydia ad aiutarla; lì al castello, invece, il lavoro era talmente tanto che ognuno pensava per sé, e Catherine si ritrovava sempre più sfinita, con la schiena dolorante a fine giornata e senza neanche un minimo di ringraziamento. Beh, a dire il vero, neanche Lady Julia la ringraziava mai, ma se facevi il lavoro come si deve, allora si limitava a tacere e a non starnazzare come una papera alla vista di una macchiolina.Catherine pensava che il suo ringraziamento fossero suo padre, sua sorella, un letto caldo e una bella cena a fine giornata. Invece, al maniero, non aveva nemmeno quello.Quello che la ragazza pativa di più era il freddo. Dormiva nel grande stanzone assieme agli altri domestici, ma la camera era piena di spifferi, il camino sempre spento e le coperte così leggere e bucherellate che la notte erano costretti a rintanarsi sotto anche con la testa, per trovare un po' di calore.Catherine ormai stava quasi aspettando il momento in cui si sarebbe presa una bella polmonite, e tanti saluti. A dire il vero, quando la vedeva rabbrividire dal freddo, Peter le offriva sempre una delle sue coperte, ma lei non se l'era mai sentita di sottrarre una delle poche fonti di calore in quel posto ad un ragazzino di tredici anni, e spesso si andava a stendere accanto al camino per trovare un po' di sonno vicino alle braci ancora calde.La giornata cominciava alle sei, cinque e mezza, se si voleva godere di un briciolo di colazione. Tutti si lavavano nel catino messo a loro disposizione; si lavavano solo a pezzi, chiaro, insaponandosi in piedi con il sapone e sciacquandosi con l'acqua. Catherine si trovava ogni volta ad avere la nostalgia di un bel bagno caldo, anche perché, con il freddo che faceva lì dentro, spesso l'acqua era gelata, e Constance aveva dovuto più di una volta rompere il ghiaccio con uno spillone.Dopodiché, tutti dovevano svolgere le loro mansioni, sempre più faticose e ignobili; in quel castello sarebbero serviti almeno dieci domestici per svolgere tutti quei compiti, ma...- Per carità, non dirlo mai al padrone!- aveva esclamato Constance, terrorizzata.Un'altra cosa che a Catherine non andava giù era il fatto che, in un mese, non fosse mai riuscita a mettere piede fuori da quel posto, mai, nemmeno per uscire in giardino. Se ne restava sempre chiusa in casa, a lavorare insieme a Constance, che neppure lei metteva mai il naso fuori da lì.Gli unici che uscivano erano Peter ed Ernest; Peter andava spesso nel bosco a raccogliere frutta, mentre Ernest si avventurava addirittura fino in paese. Con il tempo, Catherine aveva capito come funzionassero le cose, in quel posto. Constance aveva un orto, in giardino, dove coltivava la verdura, mentre Peter le riportava qualche frutto dalla foresta. Ernest si recava in paese una volta a settimana per comprare le altre cose, carne e pesce perlopiù, anche se Catherine non aveva mai avuto la soddisfazione di vederseli servire a tavola.Già, perché, insieme al freddo, un'altra cosa che si pativa al maniero era la fame. La carne e il pesce erano esclusivamente per il padrone, le aveva spiegato Peter, a loro non era concesso mangiarla; e per Catherine era una vera tortura dover cucinare pezzi di manzo e di tacchino, avendoli lì sotto gli occhi e senza poterli neanche assaggiare.Era dimagrita di cinque chili in un mese, e ogni volta che incrociava lo specchio rabbrividiva nel vedersi così pallida e provata. Da che era stata fatta prigioniera – perché era una prigioniera, tanto valeva guardare in faccia alla realtà – non aveva mangiato altro se non delle minestre di verdura a cena, così lunghe e acquose da dare il voltastomaco, spesso si trattava semplicemente di una brodaglia in cui galleggiavano carote e piselli e, se andava bene, qualche pezzo di pane o di patate.Mangiava poco, dormiva ancor meno, e la sera era così stanca per il lavoro che più di una volta fu sul punto di addormentarsi sul piatto.Insomma, una tortura.Tuttavia, non poteva lamentarsi di trovarsi in cattiva compagnia; andava abbastanza d'accordo con i domestici, il più delle volte. Con Ernest andava d'accordo, Peter era un ragazzino davvero fantastico, molto vivace e solare, e perfino sua madre, quando non si faceva prendere dall'ansia del lavoro, risultava simpatica.Ma il momento migliore della giornata per lei era la notte; Catherine, intenta al lavoro, si ritrovava spesso a sorridere fra sé e sé al pensiero del bel sogno che, da un mese a quella parte, faceva ogni notte. Era sempre lo stesso: un giovane bello e gentile, con cui parlava, rideva, ballava, e una voce femminile, lontana eppure molto vicina, che le sussurrava sempre le stesse parole...Andrà tutto bene...Ma poi il mattino arrivava sempre troppo presto, e lei si risvegliava in un incubo. Le mancava la sua famiglia, soprattutto suo padre, anche se ormai si stava abituando all'idea che non l'avrebbe rivisto mai più, e il lavoro duro la sfiniva, ma lo affrontava sempre con tenacia.Quello che la spaventava davvero era il padrone.Già, il padrone...I domestici tendevano a parlare di lui il meno possibile, e si vedeva lontano un miglio che ne avevano un timore reverenziale, quasi un vero e proprio terrore che, col tempo, avevano involontariamente trasmesso a lei. Ogni volta che si ritrovava a pensare a lui l'assaliva un senso di ansia, e quando se lo ritrovava davanti i battiti del cuore aumentavano furiosamente.Ernest aveva detto che lui li controllava sempre; Catherine non aveva ancora capito come facesse, dato che se ne stava sempre chiuso nelle sue stanze, ma col tempo si era convinta che fosse vero.Ogni volta che si rilassava, che osava prendersi una pausa dal lavoro per anche solo un minuto, lui usciva immediatamente da dove era nascosto, e la trattava in una maniera così prepotente e ignobile da farle rimpiangere di essersi riposata.Ce l'aveva soprattutto con lei, era evidente che la controllava.Era cattivo; cattivo, questa era l'unico aggettivo che Catherine riusciva a trovare per lui. Sembrava godere non solo a schiavizzarla, ma anche a trattarla male. Se c'era qualcosa di malfatto, allora la umiliava per delle ore, facendole pesare ogni cosa. Quando non riusciva a terminare un lavoro, allora poteva anche scordarsi la cena...a meno cha non se la beccasse in faccia, la cena, quando non era di gradimento al padrone. Poco importava chi avesse cucinato; era sempre a lei che dava la colpa di tutto.Ma il peggio era quando decideva di chiuderla nella stanzetta dove aveva dormito la prima notte, la più buia e fredda del castello, cosa che succedeva regolarmente quando lei cercava di ribellarsi a tutte quelle vessazioni, cioè quasi sempre.Era cattivo...e il fatto che la controllasse rimaneva un mistero.Così come anche il suo aspetto...Catherine aveva cominciato ad incuriosirsi, e la sua curiosità aumentava ogni giorno di più. Tutte le volte in cui aveva provato a chiedere a Constance, Peter ed Ernest quale fosse l'aspetto del padrone, aveva avuto in risposta solo un religioso e imbarazzato silenzio.Quanto a lui, indossava sempre quegli abiti neri, con le mani rigorosamente inguantate e quel dannato mantello il cui cappuccio nascondeva completamente il viso.Catherine avrebbe dato qualsiasi cosa pur di scoprire come fosse chi si celava lì sotto, pur di avere una risposta.E una risposta la ebbe molto presto.Quella mattina era stata peggio delle altre; aveva saltato la colazione, l'acqua nel catino era ghiacciata e le era toccato pulire la latrina, compito a cui avrebbe volentieri preferito il suicidio. E, dulcis in fundo, ora doveva anche pulire l'intero salone d'ingresso, che era all'incirca il doppio di casa sua.Catherine era inginocchiata sul pavimento, con i suoi soliti abiti stracciati e i capelli corvini che le ricadevano in continuazione sugli occhi. Stava sfregando con furia lo straccio sulle piastrelle, aveva pulito male, in più di un angolo c'erano cumuli di polvere e qua e là spuntavano delle macchie di sporco. La ragazza sapeva di non stare facendo un granché, eppure sentì il cuore fare una capriola nel petto, quando udì dei passi scendere velocemente le scale.Catherine emise un gemito soffocato, ma s'impose di far finta di niente e di continuare a strofinare; poteva anche darsi che avrebbe tirato dritto.Macché, si disse poi mentalmente, non appena sentì che i passi si erano fermati di fronte a lei e scorse due stivali neri con la coda dell'occhio.- Ti sembra questo il modo di lavorare?- tuonò il padrone.Catherine pensò che fosse meglio non rispondere, e continuò a passare lo straccio per terra, senza alzare lo sguardo.- Allora, sei diventata sorda? Hai sentito quello che ti ho detto?- Mi dispiace...- mormorò alla fine, smettendo di pulire ma senza alzare lo sguardo.- Sai che me ne faccio del tuo dispiacere! E guardami in faccia quando ti parlo!- urlò.Catherine sollevò lentamente lo sguardo. Il padrone indossava ancora il cappuccio, e probabilmente la stava fissando attraverso di esso.- Che cos'è questo?- e indicò l'intero salone.- Tu questo me lo chiami pulito?- Faccio quello che posso!- ribatté Catherine.Il padrone lanciò un urlo di rabbia molto simile ad un ringhio, e sferrò un calcio al secchio d'acqua. Catherine si precipitò a raccoglierlo, perché l'acqua non bagnasse dappertutto, strisciando in mezzo al sapone e inzuppandosi la gonna.- Non ti azzardare mai più a rispondermi, sguattera!- gridò il padrone.- E voglio che sistemi questo sfacelo e pulisci di nuovo tutto, sono stato chiaro?Catherine chiuse gli occhi, e non rispose. Era stanca, sudata, aveva le mani rosse dal troppo sfregare, le unghie spezzate e non era più sicura da che parte fosse la sua schiena.Quello era veramente troppo.- Chiaro?- ripeté il padrone.Catherine non smise di guardarlo, mentre si alzava in piedi. Era a pochi centimetri da lui.- No - rispose, cercando di mantenere la calma.- No, non è chiaro per niente.- Come ti permetti, insulsa ragazzina che non sei altro?!- ululò il padrone.- Giù, in ginocchio. Non permetterti mai più di rivolgerti a me con quel tono, altrimenti ti ammazzo come la cagna che sei!- Io non sono una cagna!- strillò Catherine.- Non sono né una cagna né la vostra schiava. E voi siete un essere spregevole, un uomo che non merita il minimo rispetto. Non vi siete fatto alcuno scrupolo ad approfittare di una ragazza che ha dato se stessa per salvare suo padre, e...Il padrone non la lasciò terminare, scoppiando in una risata sgangherata.- Chi ti credi di essere, stupida?- la beffeggiò.- Se sei qui, non è per causa mia, la colpa è solo tua.Tu hai voluto prendere il posto di tuo padre, tuhai scelto di sostituirti a lui...e per che cosa? Il tuo amato padre non ha nemmeno avuto il coraggio di venire a cercarti, non ha neanche tentato di riprenderti, di liberarti...- L'avete minacciato!- E allora? Credi davvero che basti una semplice minaccia, per un padre? Bel gesto che hai fatto, davvero...essere schiava e prigioniera per tutta la vita a causa di uno che se ne frega di te!Catherine si sentì salire il sangue alla testa. Senza pensarci, si lanciò contro di lui.- Come vi permettete...?- gli strattonò il mantello con rabbia.Il cappuccio scivolò indietro.Catherine si dimenticò per un attimo di respirare. Le parole di suo padre le rimbombarono nella mente.Lui è un mostro, Catherine...è un mostro...