L'ombra di un sorriso

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- CHE COS'HAI DETTO?!- tuonò Lord William, schioccando un colpo di frusta contro la spalla di Ralph.Lo scagnozzo si ritrasse, portandosi una mano allo squarcio della casacca che lasciava intravedere la pelle che si stava arrossando.- Ve lo giuro, Lord William...- disse, con voce roca.- Idioti! Siete due emeriti idioti!- ringhiò Lord William, fingendo di non notare Glouster che teneva premuto uno straccio sulla ferita sanguinante alla spalla.- Non è stata colpa nostra, signore...- disse Glouster, tentando di fermare il sangue.- Noi abbiamo cercato di difenderci, sul serio...- Non mi riferisco al fatto che vi siete fatti mettere al tappeto come due patetiche donnicciole!- disse Lord William, furente.- Come avete osato anche solo pensare di mettere le mani addosso a Catherine Kingston?!- Ma...signore...- provò a giustificarsi Ralph, tenendosi a debita distanza da lui.- Non pensavamo che v'interessasse ancora...- Non è compito vostro pensare!- ruggì Lord William.- Se vi azzardate a toccare ancora quella ragazza vi giuro che vi consegno alle autorità e vi faccio impiccare nella piazza del paese, parola mia!- e detto questo sferrò un pugno in faccia a Ralph, che cadde riverso vicino a Glouster.Lord William voltò loro le spalle, passandosi nervosamente una mano fra i capelli castani. Era madido di sudore, fremeva di rabbia e le mani gli tremavano.Ralph strisciò a fatica verso Glouster.- Era lì da sola, di notte, nel bel mezzo della foresta...- bisbigliò quest'ultimo al suo compare.- Non avrei mai pensato che ci fosse qualcuno con lei...- aggiunse, scoccando un'occhiata al panno che, da bianco, era diventato quasi interamente rosso.A queste parole, Lord William si girò di scatto, fissandoli improvvisamente attento.- E chi avete detto che era, questo cavaliere che è riuscito a stendervi tutti e due in un solo colpo?- domandò.- Non lo sappiamo, Lord William...- rispose Ralph.- Aveva il volto nascosto...indossava un mantello scuro...- aggiunse Glouster.- Aveva una forza sovrumana...sembrava quasi di avere a che fare con un demonio...- Incompetenti!- sibilò Lord William, dirigendosi verso una delle finestre della sua lussuosa villa.Si appoggiò ad essa con un braccio, fissando l'orizzonte dove stava spuntando timidamente l'alba.Catherine...La sua Catherine...insieme ad un altro!Non riusciva a sopportare quello che gli avevano riferito Ralph e Glouster. Tutto il suo animo, il suo cuore, la sua mente, tutto in lui si rivoltava al pensiero che Catherine Kingston, la sua donna, in quel momento si trovasse con un altro. Perché quel cavaliere misterioso, quell'essere fantomatico che aveva messo al tappeto i suoi uomini, era lì per lei, ne era certo. Gli attraversò la mente un fugace lampo, una rapida visione di Catherine che giaceva nuda fra le braccia di un uomo che non era lui.Puttana!, pensò, digrignando i denti.Di nuovo avvertì quella sensazione, quel fuoco che lo ardeva all'interno, quelle fiamme che avvolgevano il suo cuore e la sua anima, distruggendolo lentamente.No! No, non sarebbe finita così!Non si sarebbe arreso così facilmente. Catherine Kingston doveva essere sua, sua, e di nessun altro. E lui se la sarebbe presa, con le buone o con le cattive. Se non avesse acconsentito a diventare sua moglie, poco male, ne avrebbe fatto la sua puttana. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per averla; qualsiasi cosa, anche se si fosse trattato di ammazzare con le proprie mani quel bastardo che molto probabilmente in quel momento se la stava scopando, anche se per farla cedere avesse dovuto violentarla fino a farla morire sotto di sé. Non importava cosa sarebbe stato necessario fare. Lui l'avrebbe fatto.Puntò lo sguardo sulle casupole del paese che stava incominciando a svegliarsi, intravedendo i contadini che si recavano nei campi e i primi artigiani che aprivano bottega. Chiuse gli occhi, sperando che Il leone d'oro aprisse presto. Era ora di fare due chiacchiere con Henry Kingston.Era giunto il momento di mettere in atto il suo piano, pensò, mentre il fuoco, quel fuoco infernale, continuava a divorarlo, ardendo senza pietà la sua anima.

***

Catherine trascorse due giorni a letto, in convalescenza. Il padrone aveva mantenuto la sua promessa: non avrebbe lavorato finché non si fosse sentita meglio. La ragazza un po' ne era contenta, un po' si sentiva in colpa.Non riusciva a non pensare che, mentre lei se ne stava in una stanza comoda e calda, senza fare il minimo sforzo, Constance, Peter ed Ernest erano costretti a faticare tutto il giorno. Aveva temuto che fossero arrabbiati con lei, per questo, ma il loro atteggiamento faceva intendere tutto il contrario.Il padrone aveva ordinato loro che i pasti le fossero serviti in camera; all'ora stabilita, uno dei tre domestici si presentava reggendo in mano un vassoio carico di ogni ben di Dio, ma, come notò la ragazza con gran sollievo, nessuno di loro pareva invidioso della fortuna che le era toccata.Constance esibiva sempre un gran sorriso, le rimboccava le coperte e le chiedeva in continuazione come si sentisse; Ernest si presentava un po' meno spesso, ma quando lo faceva non si toglieva mai dalle labbra quel sorriso bonario e, aveva notato Catherine, anche un po' malinconico. Peter ogni volta si intratteneva per diverso tempo con lei, chiacchierando del più e del meno, fino a che sua madre non veniva a prenderlo per un orecchio e lo riportava al lavoro.Catherine fu parecchio sollevata da questo atteggiamento; lo stesso fu quando si accorse che il padrone aveva mantenuto un'altra promessa, ovvero che non l'avrebbe più punita rinchiudendola in quella celletta buia e umida.Già, il padrone...Catherine, in quei giorni, lo vide solo un paio di volte; sentiva bussare alla porta della sua stanza, quindi lui entrava, tenendo quel suo viso mostruoso rivolto verso il basso. Si limitava a chiederle come si sentisse e se la caviglia le facesse ancora male, quindi se ne andava, veloce come era arrivato.Durante la convalescenza, Catherine ebbe modo di riflettere a lungo su quanto fosse assurda la sua situazione. In un certo senso, si era quasi rassegnata all'idea che, probabilmente, non avrebbe mai più rivisto la sua famiglia; quello che più la sconcertava, in realtà, era l'essere finita prigioniera nel maniero di un mostro.Già, per quanto fosse spiacevole da ammettere, il padrone di casa era veramente un mostro. Catherine pensava sempre che, se Lydia l'avesse incontrato, subito avrebbe iniziato ad urlare che si trattava di una creatura di Satana; la ragazza non era mai stata bigotta o superstiziosa, ma proprio non riusciva a capacitarsi che la natura avesse potuto dare vita ad una creatura così mostruosa.Creatura mostruosa che da un mese a quella parte non aveva mai smesso di spiazzarla con il suo strano e ambiguo comportamento. L'aveva maltrattata e malmenata fino a pochi giorni prima, quando le aveva inaspettatamente salvato la vita da quei due tagliagole. Quindi, aveva alternato momenti di ira e sgarbatezza ad altri di infinita gentilezza, fino ad invitarla a cenare con lui.Ecco, una delle promesse che non aveva mantenuto era stato in merito alla cena; le aveva detto chiaro e tondo che da quel momento in poi avrebbe sempre cenato con lui, che le piacesse o meno, ma infine aveva ordinato che anche la cena le fosse servita in camera.Forse l'aveva trovata noiosa o poco interessante, forse aveva pensato fosse superfluo intrattenersi con una misera serva, o forse quella era un'altra delle sue numerose stranezze.Ma Catherine non lo voleva sapere; non le importava perché avesse preso quella decisione, anzi, era meglio così; lei non desiderava la compagnia di quel mostro, voleva solo che la lasciasse in pace. Benché lui l'avesse salvata, Catherine era ancora restia a fidarsi del padrone di casa; e poi, aveva bisogno di stare lontana dal suo umore altalenante, sentiva la necessità di un po' di logica e di tranquillità.Tranquillità che aveva ogni notte, in sogno. Da che era arrivata al maniero, non passava notte che non sognasse quel bel giovane dai capelli scuri e gli occhi azzurri, e non sentisse, appena prima di risvegliarsi, una voce femminile calda e dolce che la rassicurava.

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