Bianco come la neve rossa come il sangue

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Catherine ebbe la sensazione di cadere, tanto da appoggiare una mano ad una parete nel tentativo di tenersi in equilibrio. Boccheggiò, incapace di distogliere lo sguardo dal volto mostruoso di Adrian. Le ci volle qualche momento, prima di riuscire a mettere a fuoco il senso di quello che era appena uscito dalle labbra del mostro, ma alla fine si rese conto di quel che stava succedendo: Adrian le stava chiedendo di diventare sua moglie.Si sentì impallidire, mosse le labbra come per parlare, ma dalla sua bocca non uscì alcun suono. Catherine si mise alla disperata ricerca di una risposta adeguata, ma forse questa risposta neanche esisteva. Che doveva fare? Era già rimasta in silenzio per troppo tempo, esitare ancora sarebbe stato scortese...Sì, scortese, si disse. Ma tremendamente rivelatorio.Catherine vide gli occhi azzurri di Adrian adombrarsi di un velo di tristezza, quindi il mostro sospirò, chinando il capo.- Lo sapevo...- mormorò.- Sapevo che non avresti mai accettato...Ma...per un attimo...ho creduto che...Non terminò la frase, incapace di continuare.Catherine si sentì salire le lacrime agli occhi, improvvisamente consapevole di quello che aveva appena fatto. L'aveva ferito. Lui si era innamorato di lei, aveva trovato il coraggio di dichiararsi, e lei gli aveva causato un dolore immenso nel rifiutarlo. Non era come le altre volte. Aveva respinto una marea di pretendenti, ogni volta deridendoli e ridicolizzandoli per la loro passione falsa e nutrita di luoghi comuni stantii, ma stavolta era diverso. Era Adrian che stava respingendo.- Sono stato uno stolto. Non avrei mai potuto sperare che tu accettassi di diventare mia moglie, che tu ti innamorassi di me...Perché dovresti ricambiare l'amore di un mostro?- disse Adrian, amaramente, senza guardarla negli occhi.Senza quasi rendersene conto, Catherine aveva iniziato a singhiozzare; si sentì infinitamente stupida e ipocrita, avrebbe voluto strappare via quelle dannate lacrime dalla sua faccia, ma queste continuavano a rigarle le guance, senza fermarsi.- Mi dispiace...- singhiozzò, chinando il capo.- Mi dispiace tanto, Adrian...Non ce l'avrebbe fatta a rimanere lì un minuto di più. Non con la consapevolezza che le sue lacrime la stavano rendendo ancora più ipocrita e patetica, non sapendo di stare facendo del male ad entrambi, non conscia di aver ferito Adrian in un modo tale che nemmeno mille spade avrebbero potuto eguagliare.Senza guardarlo, gli passò accanto velocemente, quasi correndo e, senza smettere di piangere, afferrò la maniglia della porta e la spalancò.- Mi dispiace...- ripeté, singhiozzando, prima di uscire di corsa dalla biblioteca chiudendosi la pesante porta di legno alle spalle.Il padrone non disse nulla, né la guardò. Tenne il capo chino, stringendo i pugni abbandonati lungo i fianchi fino a conficcarsi le unghie affilate nella carne; serrò le labbra e chiuse gli occhi, mentre il dolore e l'umiliazione cominciavano a farsi strada nel suo animo.

***

Catherine attraversò i corridoi bui del maniero di corsa, senza fermarsi, senza riuscire a frenare le lacrime. Quando raggiunse la sua stanza, vi si chiuse dentro e serrò la porta a chiave, per poi lasciarsi scivolare con la schiena contro il legno di quercia, fino a ritrovarsi seduta sul pavimento. Si prese il viso fra le mani, affondando nella disperazione. Le lacrime non volevano saperne di smettere di sgorgarle dagli occhi, le sembrava quasi che qualcuno le avesse afferrato il cuore e lo stesse stringendo in una morsa.Scivolò fino al tappeto persiano disteso di fronte al caminetto e vi si stese, raggomitolandosi in posizione fetale. Inspirò l'odore della cenere e delle braci, mentre quello che era appena successo assumeva nella sua mente contorni ora più confusi ora chiari e vividi.Adrian l'amava. Come aveva potuto non accorgersene prima? Ora che la verità le era stata sbattuta in faccia in quella maniera così palese e inequivocabile, Catherine cominciava a trovare un perché a tutti i comportamenti del mostro. Quella sua strana attenzione per lei, quel suo interesse nei suoi confronti, quel continuo cercarla, l'impegno costante affinché lei stesse bene e non le mancasse nulla per essere serena...Quello era amore, dunque? Amore che gli aveva fatto dimenticare che lei non era nient'altro che una serva, che lo aveva spinto a ricercare il perdono per tutto ciò che le aveva fatto patire all'inizio, che lo aveva perfino indotto a chiederle di sposarlo?Catherine lo aveva perdonato; tutto quel che era successo fra di loro i primi tempi faceva ormai parte di un ricordo lontano, un brutto sogno da cui finalmente si era risvegliata...Spesso si chiedeva come fosse riuscita a fare una cosa simile. Era consapevole di non essere come quelle principesse delle favole così stucchevolmente buone da perdonare anche la più crudele delle infamie, di essere una persona permalosa e, a volte, anche vendicativa, e di avere il brutto vizio di legarsi al dito qualunque torto. Com'era possibile che avesse perdonato Adrian, dopo tutto quel che le aveva fatto?Questa domanda, ora, in quel momento, andava a mischiarsi con altre che già da tempo affollavano la sua mente. Si era resa conto di essere molto cambiata, da quando Adrian era entrato nella sua vita. Si era ritrovata a provare emozioni e sensazioni mai sperimentate prima, a cui fino a quel momento era stata incapace di dare un nome. Anche il suo comportamento non era più lo stesso? Cos'era quello stano batticuore quando stava per incontrarlo, quel piacevole fremito quando a tavola le loro mani si sfioravano o quando il padrone le si avvicinava per parlarle o per leggere insieme a lei? Perché, se fino a pochi mesi prima si era sempre creduta una persona indipendente e non le era mai importato nulla del comportamento altrui, ora era costantemente governata dal desiderio di fargli piacere, perché si sentiva sussultare, non per paura o ribrezzo, quando i suoi occhi incrociavano quelli gelidi e impenetrabili di Adrian, quando i loro volti si trovavano così vicini che le loro labbra erano ad un passo dallo sfiorarsi?Anche lei era innamorata di lui? Catherine non lo sapeva, né voleva saperlo. In quel momento, si sentiva come le protagoniste dei romanzi che aveva letto insieme ad Adrian. Anche lei era amata da un mostro, ma era stata peggiore di Christine Daae e della Esmeralda. Loro, almeno, non si erano mostrate gentili e dolci con l'essere mostruoso che le amava, lo avevano respinto subito, mentre lei aveva illuso Adrian. L'aveva ingannato con il suo comportamento, gli aveva fatto credere di provare qualcosa per lui, e ora l'aveva ferito, rifiutandolo.Benché il desiderio di rimediare a quello che aveva fatto fosse così forte da urlarle di smetterla di piagnucolare e di correre immediatamente fra le braccia del padrone di casa, Catherine sapeva che non avrebbe mai potuto accettare di diventare sua moglie.Non ci credeva più, nell'amore. Era un'illusione che si era lasciata alle spalle molto tempo prima, quando sua madre era morta. Aveva sempre visto il mercante e Lady Elizabeth come l'esempio vivente dell'amore. Fra i suoi genitori non c'erano mai state ombre, mai nuvole ad oscurare la loro felicità. Poi, tutto si era spezzato. Quando sua madre era morta, era come se suo padre avesse perso un pezzo di se stesso, un frammento che non sarebbe mai più riuscito a ritrovare. Quando, alla fine, nonostante avesse più volte dichiarato che non avrebbe mai amato nessun'altra all'infuori della moglie defunta, il mercante si era risposato con quell'arpia di Lady Julia, a Catherine era sembrato di assistere alla morte non solo di sua madre e della sua memoria, ma anche a quella dell'amore. Era evidente che il mercante aveva sposato Lady Julia senza amarla, spinto solo dalla convinzione che i suoi figli, Rosalie in particolar modo, avessero bisogno di una figura materna, e che, da parte sua, la sua seconda moglie si era innamorata più del suo allora gonfio portafogli che di lui; Catherine aveva provato per mesi un senso di tristezza misto a sconforto e disgusto, e aveva giurato a se stessa che mai si sarebbe sposata, mai avrebbe amato qualcuno, se il suo destino era quello di vedere il suo amore un giorno ridicolizzato e ridotto alla stregua della più volgare e grottesca imitazione della passione dei romanzi cavallereschi. L'amore era un gioco, solo uno stupido gioco senza importanza. Suo padre e la sua matrigna dimostravano che le cose stavano così; ne avevano dato prova i suoi pretendenti, che la riempivano di frasi fatte lette nei libri prive di ogni significato; e lo dimostravano anche suo fratello, quando tornava a casa tardi la sera con addosso l'odore del bordello e del profumo forte e dolciastro delle prostitute da cui aveva comprato i favori, e Lord William, che aveva preteso di ottenere il suo amore attraverso la forza.L'amore era un'illusione, nulla di più. E, se anche così non fosse stato, se anche si fosse sbagliata, Catherine sentiva che non avrebbe mai potuto ricambiare Adrian. Non voleva. Non voleva amarlo, perché sapeva che perderlo sarebbe stato troppo, per lei, da sopportare. Se un giorno l'avesse perduto, se un giorno fosse accaduto ciò che era successo ai suoi genitori, Catherine sapeva che non sarebbe stata così forte come suo padre.Non avrebbe potuto vivere, senza quel frammento di sé.Non singhiozzava più; le lacrime continuavano a scorrere, ma silenziose, rigandole le guance. Era stanca, sentiva le palpebre divenire sempre più pesanti. Decise di non opporre resistenza, e si lasciò andare. Da quando era arrivata al maniero, i suoi sogni erano sempre stati dolci e piacevoli.Forse, nel sonno, avrebbe ritrovato un po' di serenità.

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