Capitolo III

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Lorenzo e Marta osservarono con attenzione Fabio Moletti, prima di procedere con cautela alle domande.
Il loro assistito aveva lo sguardo perso nel vuoto, ma il volto segnato dalla paura e dalla disperazione non addolcì l'espressione dura e diffidente di Marta.

Al contrario della sua collega, Lorenzo provava una profonda tenerezza nei confronti del ragazzo, perché sebbene gli atti deponessero in toto per la sua colpevolezza, il suo intuito gli diceva che Fabio Moletti era innocente.

Abbozzò un sorriso e prima di rivolgersi al giovane ventenne, si sporse verso l'orecchio di Marta Bianco.

«Parlo io.» decretò in un sussurro appena accennato.

Marta sbarrò gli occhi e si voltò a guardarlo con sdegno, ma l'uomo non sembrò curarsi della sua espressione oltraggiata e lei era troppo professionale per lasciarsi andare ad indicibili improperi dinanzi a un cliente, soprattutto se questi era detenuto. Inspirò vigorosamente dal naso e dopo aver riempito i polmoni di nuovo ossigeno, cercò di tenere a bada l'agitazione.
«Allora, Fabio, come stai?» chiese Lorenzo, più per mettere il ragazzo a suo agio che per ricevere una reale risposta «Ti stanno trattando bene?»
Fabio non rispose; si limitò a scrollare le spalle, ma le iridi offuscate dallo sconforto diedero la risposta al posto suo.
Lorenzo sospirò comprensivo, d'altronde, cosa si aspettava? Un ragazzo di poco più di vent'anni era stato privato della sua libertà personale e aveva visto sgretolarsi in un attimo vita e reputazione.
«Fabio, lo so che è straziante.» esordì il giovane avvocato con tono carezzevole «Ma ho bisogno che tu adesso mi descriva passo passo cosa è accaduto quella sera. Necessitiamo di sapere ogni cosa per poterti aiutare, anche il più insulso dettaglio.»
Il ragazzo si portò le mani sul viso angosciato e strofinò con forza i palmi sulla pelle, prima di trovare la forza necessaria per ripercorrere per l'ennesima volta quella dannata sera.
«D'accordo.» affermò l'indagato rassegnato.
Marta e Lorenzo raddrizzarono il busto e attesero che il giovane, in quel momento a occhi chiusi, facesse un respiro profondo e iniziasse il suo racconto dei fatti.
«Io e Flavia ci siamo conosciuti alla festa di un amico in comune intorno ai primi di novembre. Mi ha intrigato sin da subito: era sveglia, sexy e dal suo modo di fare spigliato ho capito che ci sarebbe stata senza troppi problemi. Così le ho dato il mio numero e abbiamo iniziato a sentirci.»
Lorenzo notò il ragazzo deglutire più volte per lubrificare la gola secca e senza staccare gli occhi dai suoi, allungò in sua direzione un bicchiere d'acqua.
«Grazie.» mormorò Fabio, prendendone un sorso.
Marta osservò stupita la scena e trovò incredibile il riguardo che Lorenzo Anselmi adoperò nei confronti di quel ragazzo. Per un attimo le sembrò diverso, meno arrogante, più umano, eppure non sapeva dire se la sorpresa fosse positiva o negativa, dato che quello stesso riguardo non lo aveva ancora mai manifestato nei suoi confronti, anzi, tutto al contrario.
«Quando vi siete visti la prima volta?» chiese Lorenzo, annotando il tutto sulla sua preziosa Moleskine.
«Un paio di giorni dopo.» rispose Fabio «Ci siamo visti per un aperitivo e c'è stato un bacio.»
«Non siete andati a letto insieme?» si accertò il giovane avvocato, socchiudendo gli occhi.
«No.» negò con sicurezza il ragazzo «La prima volta che siamo andati a letto insieme è stata la sera del delitto.»
«E prima di quella sera non c'è stato nessun altro contatto?» s'insinuò Marta, beccandosi occhiate di rimprovero da parte di Lorenzo Anselmi.
«No.» disse, scuotendo il capo «Dovevamo vederci prima, ma Flavia ebbe dei problemi con l'ex fidanzato. Tramite voci era venuto a sapere della nostra frequentazione e aveva dato di matto, addirittura si presentò fuori alla facoltà di economia per minacciarmi.» chiarì, incrociando le braccia al petto.
Marta sgranò gli occhi e si voltò a guardare Lorenzo con sgomento, ma sul viso del collega non trovò alcuna traccia di sorpresa. Lorenzo Anselmi doveva esserne già a conoscenza e Marta pensò che l'unico motivo per il quale non ne era stata informata, era che quel dettaglio non avrebbe potuto contribuire in alcun modo alla loro strategia difensiva.
O almeno così sperava.
«Veniamo alla sera del delitto.» lo esortò Lorenzo, ignorando gli sguardi interrogativi di Marta «Raccontaci come è andata.»
«Io e Flavia ci eravamo accordati per vederci la sera a casa sua, dato che la coinquilina non c'era. Sono andato da lei intorno alle 19 e 30, abbiamo fatto sesso e poi me ne sono andato.» spiegò telegrafico il ragazzo.
«Avete usato precauzioni?»
«Sì, anche se lei mi aveva detto che prendeva la pillola. Sa, non ho voluto rischiare.» rispose il ragazzo sicuro.
I due avvocati appuntarono entrambi quell'informazione e Marta in quel momento sentì l'impulso di consultare il fascicolo e verificare nell'immediato che il ragazzo avesse detto il vero.
Proprio non riusciva a svuotare la mente da tutti quegli indizi che appesantivano il piatto della colpevolezza di Fabio Moletti, trasformando l'equilibrio della bilancia della giustizia in una sentenza di condanna imminente e Marta si stava facendo violenza pur di scorgere negli occhi del ragazzo una fiammella di verità e non solo la speranza di tornare al più presto ai propri lussi.
«Secondo la loro deposizione, i vicini di casa di Flavia, i coniugi Barretta, hanno sentito dei rumori equivoci e poi successivamente un grido di dolore.» prese parola Marta, seria in volto «Durante il vostro rapporto sessuale, c'è stato un momento in cui sei stato poco delicato o irruento?»
La domanda colse di sorpresa il giovane ventitreenne, che si ritrovò a sgranare gli occhi, e Lorenzo guardò torvo la sua collega, seccato dall'iniziativa della donna che si era appropriata della scena, costringendolo al silenzio.
«No, non mi pare.» biascicò confuso.
Marta affilò lo sguardo e come un segugio, fiutò la strada per vederci più chiaro in quell'intricata vicenda.
«Le hai proposto qualche pratica particolare a cui lei si è rifiutata o a cui ha accettato con poca convinzione? È stato un rapporto interamente consenziente?» incalzò la donna, inchiodando gli occhi del suo assistito ai suoi.
Lorenzo storse il naso e fissò la sua collega con sospetto, ma non intervenne: la domanda era pertinente, sebbene non condividesse i toni troppo affini a quelli di un interrogatorio.
«Sì, lei era consenziente.» affermò Fabio, mettendosi sulla difensiva.
«Interamente?» rincarò Marta non convinta.
«Sì, interamente.»
«Fabio, te lo stiamo chiedendo solo perché sul corpo di Flavia Corsi sono state rinvenute tracce di violenza sessuale.» intervenne Lorenzo Anselmi affabile, cercando di placare i toni.
«Non sono stato io!» si difese il ragazzo con enfasi «Non ho mai avuto di bisogno di forzare una ragazza per fare sesso con me e mai mi sognerei di farlo! So riconoscere un no quando lo sento.» precisò duro, guardando Marta.
Lorenzo Anselmi osservò con attenzione lo scambio di sguardi tra i due e contenne a stento l'impulso di alzare la voce e intimare alla sua collega di smetterla di spacciarsi per un pubblico ministero mascherato sotto le vesti di difensore.
Si portò una mano sul viso e dopo aver fatto un respiro profondo, decise di soprassedere e andare avanti.
«Quindi, ricapitolando. Vi siete accordati per vedervi quella sera e avete avuto un rapporto sessuale protetto.» fece mente locale, riappropriandosi delle redini del colloquio «Fabio, mi dispiace chiedertelo, ma dobbiamo saperlo. È stato un rapporto completo? Hai avuto un coito?»
«Sì, ma sono venuto ugualmente fuori. Ho preferito essere previdente. Sapete, non si può mai sapere nella vita!» commentò con una punta di sarcasmo.
Lorenzo gli lasciò previdentemente un attimo di pausa, notando i tratti farsi sempre più duri e il respiro affannarsi a causa dei nervi a fior di pelle. Sospirò pesantemente e quando fu sicuro di poter procedere nuovamente con le domande, tornò con lo sguardo sulla sua Moleskine.
«E cosa hai fatto dopo il rapporto?»
«Dopo il rapporto mi sono rivestito e ci siamo salutati dicendoci che ci saremmo sentiti il giorno dopo.» rispose il ragazzo conciso.
Marta fece una smorfia scettica e in quel momento si convinse che quel ragazzo non stesse raccontando tutta la verità o che addirittura stesse mentendo. Troppi erano gli interrogativi che infittivano quel caso, troppe erano le domande a cui Fabio Moletti non aveva dato ancora risposta.
«Fammi capire bene.» s'intromise nuovamente Marta e Lorenzo alzò gli occhi al cielo «Non appena sei entrato in casa sua, siete andati subito al dunque?»
«Sì, più o meno.» mormorò Fabio poco convinto.
«Più o meno?»
«Sì, siamo andati subito al dunque.» affermò il ragazzo spazientito.
«Mh, d'accordo. Ma allora come ce le spieghi le tue impronte sul coltello?» lo incalzò la giovane avvocatessa con aria inflessibile.
Lorenzo Anselmi fulminò la sua collega e Fabio Moletti si ritrovò a boccheggiare, preso in contropiede.
«I-io-...» biascicò, sopraffatto dallo sgomento, poi guardò la donna davanti a sé e sgranò gli occhi «...aspetti, non crederà che sia stato io a ucciderla?» sibilò il ragazzo indignato.
Marta Bianco non rispose; rimase impassibile, in attesa di una risposta del suo assistito, mentre Lorenzo, spiazzato, fissava la donna con disapprovazione.
«No, Fabio, tranquillo! Non pensiamo che tu abbia ucciso Flavia.» lo rassicurò l'uomo con tono carezzevole «Però dobbiamo sapere perché ci sono le tue impronte sul coltello.» lo esortò serio.
«I-io non-...» balbettò il ventitreenne preso dal panico, portandosi le mani nei capelli «...Io non me lo ricordo!» tuonò avvilito, agitando le braccia.
Fabio Moletti non riuscì più a sostenere la pressione che gli appesantiva le spalle e l'angoscia che gli opprimeva il petto e Lorenzo provò una rabbia viscerale verso la sua collega che anziché collaborare, gli stava remando contro mettendo in agitazione il loro assistito. Con quel fare inquisitorio, Marta Bianco non si rendeva conto che stava facendo saltare i nervi del ragazzo, impedendogli di ottenere tutte le informazioni che necessitavano, e soprattutto, non si rendeva conto che stava facendo saltare anche i suoi di nervi.
«Fabio, per favore! Cerca di ricordarti!» lo incitò Lorenzo con più veemenza.
Il giovane si massaggiò le tempie stanche, dopodiché si prese la testa tra le mani e deglutì un groppo di saliva.
«Io ricordo che mi ha aperto la porta di casa e si è diretta in cucina.» disse, cercando di fare mente locale «Stava tagliando le verdure per la cena e...» annaspò, alla ricerca di fiato «...l'ho baciata. Flavia ha risposto al bacio e quando l'atmosfera si è accesa, l'ho spinta verso il bancone.»
Si fermò un attimo, assorto, poi a un tratto la sua espressione, prima deformata dallo sconforto, s'illuminò di consapevolezza.
«E poi cosa è successo?» domandò Lorenzo Anselmi, fremendo.
«Il coltello è caduto a terra e io l'ho raccolto.» rispose, e quello sguardo vacuo sembrò riacquisire un barlume di speranza.
Lorenzo trovò nuovamente il respiro che fino a quel momento aveva trattenuto e provò un lieve sollievo nell'annotare quell'informazione così importante, al contrario di Marta che di credere a quel ragazzo proprio non ne voleva sapere.
La donna fece per aprire bocca e chiedere al loro assistito il perché non avesse riferito quel dettaglio al pubblico ministero, avvalendosi della facoltà di non rispondere, ma fu anticipata da Lorenzo Anselmi che infilò la sua Moleskine nella ventiquattrore e si alzò in piedi.
«Grazie, Fabio. Per oggi abbiamo finito.» decretò, stringendo la mano del ragazzo con un sorriso.
«Ma...» protestò Marta confusa, ma fu gelata dallo sguardo severo dell'uomo.
«Marta, abbiamo finito.» sentenziò Lorenzo perentorio.
Marta arricciò il naso indispettita, ma non si ribellò ulteriormente. Recuperò anche lei le sue cose e proprio quando scostò la sedia e fu in procinto di alzarsi, Fabio Moletti le afferrò la mano.
«Non ho ucciso io Flavia.» affermò il ragazzo, guardandola dritto negli occhi «Lei mi crede, vero?» e quella più che una domanda, sembrò una preghiera.
Marta sussultò, scottata dal contatto con quella mano che temeva insozzata di un crimine così efferato. Cercò di mascherare il disagio dietro la sua espressione inscalfibile, ma non se la sentì di mentire spudoratamente.
«Faremo tutto il possibile.» si limitò a dire sibillina, abbozzando un sorriso di circostanza, dopodiché si congedò con un cenno e uscì per prima dalla stanza.
Camminò a passo svelto verso l'uscita, desiderosa di riempirsi i polmoni di aria fresca, quando Lorenzo Anselmi la raggiunse alle spalle.
«Marta.» la chiamò severo.
Marta continuò ad avanzare e ignorò i richiami del suo collega fino a quando non si sentì afferrare per un braccio e fu costretta a voltarsi.
I due avvocati si fissarono con astio e quando lo sguardo della donna si posò con durezza sulla mano dell'uomo stretta al suo braccio, strinse i denti.
«Che cazzo ti è saltato in testa prima?» sbottò Lorenzo furibondo.
Marta inspirò scrollò la presa dell'avvocato dalla sua pelle con un gesto secco.
«Niente.» sibilò risentita «Stavo solo facendo il mio lavoro.»
«Il tuo lavoro?!» tuonò l'avvocato incredulo «Se avessi fatto il tuo lavoro, non avresti trasformato un colloquio con un cliente in un interrogatorio!» l'accusò sprezzante.
Marta avrebbe tanto voluto dirgli che non credeva a un fico secco di quello che aveva raccontato il loro assistito, avrebbe tanto voluto urlargli contro quanto quel caso la stesse logorando dentro, ma sapeva bene che Lorenzo Anselmi non era al suo fianco per sostenerla e che avrebbe usato quella sua debolezza per pugnalarla alle spalle.
Con un lavoro che le si era rivolto contro e nemici che cercavano di metterla con le spalle al muro, Marta per la prima volta si sentì opprimere da ciò che più amava, trovandosi improvvisamente senza sicurezze.
«Senti.» esordì Lorenzo, massaggiandosi la tempia «Questo caso è troppo difficile e io non posso permettermi perdite di tempo, quindi, dimmelo adesso: hai qualche problema con questo omicidio? Credi che sia troppo per te?» si accertò e quella volta non c'era traccia di sfida o intenti degradanti, ma solo un puro interesse professionale.
«No, è tutto a posto.» mentì Marta, celando abilmente quello che sentiva realmente.
Lorenzo la scrutò a lungo e Marta trattenne il respiro, avvertendo sulla pelle la pressione di quello sguardo che tentava di profanarle l'anima.
«D'accordo.» convenne lui, non del tutto convinto «Ma che sia chiaro: quello che ho visto prima non voglio vederlo mai più.» sentenziò duro, per poi entrare in auto.
Marta sospirò affranta e pensò malignamente che la sua vita fosse contraddistinta da ricorrenze sistematiche; nel corso della sua esistenza, in più di un'occasione si era ritrovata a dover scegliere tra chi le chiedevano di essere e chi era realmente.
Avrebbe voluto gridare, puntare il dito contro il cielo e imprecare scurrilmente, ma non lo fece.
Si limitò ad alzare gli occhi iracondi verso l'alto e non proferì parola, ma nel suo silenzio rimbombava come un eco lontano una bestemmia.

Se dio fosse stato donnaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora