Capitolo XXV

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25.

Lorenzo fissava la porta blindata dell'appartamento di Marta, chiedendosi il motivo per il quale fosse lì. Si sentiva una specie di mammina apprensiva che correva dalla figlia a letto con la febbre con una confezione di sfogliatelle in mano.

Quella mattina Marta lo aveva chiamato informandolo che aveva trentotto di febbre. Gli aveva chiesto di sostituirla in suo processo per furto per chiedere un breve rinvio al giudice che le consentisse di discutere. Le aveva già comunicato la data del rinvio via messaggio, ma aveva deciso di presentarsi da lei lo stesso.

Che smidollato, pensò tra sé e sé. Al suo mantra "prendi una donna e trattala male" aveva sostituito la versione umana di Lassy.

Fu tentato dall'idea di tornare da dove era venuto, ma ormai era lì e tanto valeva vedere come stesse.

Pigiò più volte il campanello, pensando che Marta stesse dormendo, poi la porta si aprì e non fu la figura della sua collega a trovarsi davanti.

Un ragazzo più giovane, forse nemmeno venticinquenne, lo guardava con un sopracciglio inarcato e l'aria incuriosita, tenendo in mano un pacco di Gocciole della Pavesi.

Era più basso di lui di circa sette otto centimetri, ma la sua magrezza lo faceva apparire più slanciato. E aveva un viso vagamente familiare. Le pelle era chiara, pulita, con qualche pelo di barba che faticava a sporcare il viso con un manto uniforme e virile.

Il colore dei capelli e il verde degli occhi, poi, gli ricordavano vagamente quelli di Marta.

«Ciao!» bofonchiò il ragazzo, masticando un biscotto.

Lorenzo socchiuse gli occhi e lo squadrò da capo a piedi sospettoso.

«Ciao. Cercavo Marta.»

«È a letto. Tu devi essere Lorenzo, giusto?»

«Sì, e tu saresti...?»

Il ragazzo sorrise malandrino e allungò la mano verso di lui.

«Federico, il suo trombamico. O toyboy, se preferisci!»

Lorenzo spalancò gli occhi e le labbra si schiusero in preda allo sconcerto.

«C-cosa?»

Federico addentò il labbro inferiore con forza, ma non riuscì a trattenersi di fronte alla faccia pallida e sbigottita di Lorenzo. Scoppiò a ridere in modo sguaiato e si portò una mano sullo stomaco per contenersi.

«Oh dio, che faccia che hai fatto!»

A Lorenzo per poco non partì un embolo. Fissava allibito, e per molti versi irritato, quel mocciosello sbarbato che si stava deliberatamente prendendo gioco di lui.

Era diventato uno zimbello.

«Senti, moccioso, la pianti di ridere e mi fai entrare?»

Il ragazzo si fece di lato per consentirgli di entrare, ma non smise di ridere.

«Comunque io sono Federico, il fratello di Marta.»

«Lo avevo capito!» borbottò Lorenzo stizzito.

«Sì, certo, come no!»

Lorenzo lo fulminò con lo sguardo e contenne a stento l'impulso di togliergli quel ghigno provocatorio dal viso a suon di pugni. Girovagò per il salotto con aria circospetta e si accomodò sul divano percependo un filo di disagio addosso, soprattutto se il sorriso sornione del fratello di Marta era ancora puntato così insistentemente su di lui.

«Vuoi chiedermi qualcosa?» chiese scontroso.

«Vuoi un biscotto?»

«No, grazie.» rispose Lorenzo un po' perplesso «Marta è di là in camera sua?»

Se dio fosse stato donnaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora