1 L'inizio di tutto

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Quel pomeriggio il sole era alto sul fiume e rifletteva stanco l'argento delle foglie dei vecchi pioppi che costeggiavano, selvaggiamente, le sue rive nei suoi intricati ghirigori ombrosi, quasi a voler contrastare il consueto cammino, metodico e incessante, di quelle torbide acque.

Scorreva lento il fiume, stanco di inseguire le tante anse ormai in secca, con i salici flessuosi in bilico sulla riva che sembravano pigramente protendere i lunghi rami verso l'acqua, come braccia che s'immergevano per raccogliere chissà quale tesoro sommerso, e la timida punta delle foglie tentennanti faceva tremolare in superficie la poca acqua del Gorgione ad ogni sussurro di vento.

Le viole sui prati e sui cigli dei fossi odoravano di campo fiorito, e l'effluvio di erba fresca rimbalzava assalendo le narici, catapultato dai vicini Colli Laviani, il cui profilo arcuato si stagliava netto sulla linea d'orizzonte. Il verde in lontananza era reso nitido dall'aria tersa primaverile, e le varie scollinature sembravano proteggere compatte in un avvolgente abbraccio, il piccolo paese di Toccavalle.

La prima casa bianca e ordinata che appariva sulla stretta via principale, era quella del sagrestano Livio.
Seminascosta dai grandi platani selvaggi che la sovrastavano e la controllavano come alti guardiani imponenti, fremeva di vita all'esterno sotto il sole scialbo di quel pomeriggio.
I bambini giocavano chiassosi nello sterile cortile e allietavano il tiepido clima primaverile con il loro brioso vociare cinguettante.

- Basta, mi fermo, continuate voi, io vado a raccogliere viole.

L'esile ragazzina mora, capelli corti ondulati, abitino bianco a fiorellini blu, si rivolse sorridente ai due bambini accaldati che le rimandarono il loro assenso con espressioni e gesti infastiditi.

Lorenza, la più grande dei tre, aveva fermato il gioco dei fratellini per la voglia di andare a raccogliere le viole selvatiche cresciute in abbondanza lungo il ciglio della strada. Una lusinga per i suoi occhi, una calamita le loro allegre macchie violacee. Le avrebbe poi messe in un bicchiere d'acqua per tenerle vivide durante la notte e le avrebbe portate alla maestra della seconda elementare il mattino seguente.

Passò saltellando il vecchio ponte, sopravvissuto alle angherie della guerra, quasi un cimelio per la gente del posto ed unico passaggio per raggiungere l'altra sponda e quindi il centro del paese.
Aveva individuato e poi avvicinato, come un segugio, la macchia dal colore viola più larga per raccoglierne il più possibile.

Non passava nessuno quel pomeriggio, ma quella piccola auto bianca che passò proprio nel momento in cui Lorenza si spostò dal ciglio, esultante col suo bel mazzo profumato in mano, bastò a scaraventarla con un volo di tre metri più in là e farla rimanere a terra esanime.
Una giovane vita stoppata dalla sorte, si disse poi, che doveva segnare una svolta nelle sopite coscienze dell'anonima cittadinanza.

Gli scolari della classe IIA si trovarono il mattino seguente in aula, silenziosi come mai prima. Non avevano mai visto la loro maestra dal solito onnipresente cipiglio severo, con un'espressione stranamente più umana, mentre posava triste un mazzolino di viole sul banco vuoto di Lorenza, sempre sotto lo sguardo indagatore della classe che seguiva in un'unica direzione ogni movimento e ogni singola sfumatura dei gesti dell'anziana insegnante e senza comprenderne il significato.

- Adesso tirate fuori il quaderno a quadretti e disegnate un mazzolino di viole che piacevano molto alla vostra compagna Lorenza - disse loro la maestra Merlini seria e col tono della voce basso.

Un'anziana signora cresciuta con la dura educazione militare. Suo padre, un colonnello dell'esercito nell'ultima guerra, le aveva impartito fin da piccola lezioni militari rigorosamente autoritarie. "Un arricchimento di vita" le diceva spesso, e lei le avrebbe sperimentate in toto nelle sue lezioni in aula.

Il paese è piccolo la gente mormora (Completa) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora