18 La sorpresa

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Un mattino, Domenico trovò il portone esterno della sua amata cantina spalancato, come non l'aveva mai visto, e subito gli venne un colpo.
Cominciò a sbiancare in volto con le gambe che gli facevano giacomo nel constatare la sua stupida, assurda dimenticanza.
Si chiese come avesse fatto a dimenticare di chiudere a chiave quel ben di dio. Mai, gli era successa una cosa simile in tutti gli anni passati in quella fattoria.

Entrò con riguardo dentro quelle mura odorose di muffa e di passato, come fosse la casa di un estraneo, con emozione e rispetto, quasi chiedendo il permesso, tanto era il dispiacere che lo faceva estraniarsi da tutto, e stentava a credere che fosse vero quello che stava vedendo a mano a mano che proseguiva, mettendo a fuoco lo sguardo su quella triste desolazione.

Le botti mezze vuote erano al loro posto, ma tutto il resto era scomparso.
Non aveva mai provato una sensazione di sconforto così grande e si chiedeva come mai non avesse sentito rumori nella notte, nemmeno l'abbaiare di Lampo, che era sempre attento e in guardia, e perché fosse successo proprio a lui che non aveva mai fatto niente a nessuno. Si sentiva demoralizzato, come l'atleta che aveva fallito la gara più facile, dopo uno stremante allenamento.
Si sentiva smontato nell'orgoglio al pensiero di qualcuno che si era permesso quello scempio, avendo fatto un torto proprio a lui che non aveva mai fatto del male a una mosca.

Don Genesio, all'ultima messa ricordò che quella era una famiglia molto generosa e rispettabile e non si meritava certo un simile affronto, dopo che tutti in paese si erano sfamati da loro e avevano ricevuto tanto dalla loro generosità.

Non si seppe mai chi, né come, riuscì ad entrare e a nascondersi per farsi chiudere in cantina per poi la notte aprire il portone ai complici. Ma si diceva che, stranamente guarito dalla sciatica, Vittorio avesse avuto una ghiotta occasione per comprare una cospicua quantità di salumi di casa e poi rivenderli a buon prezzo.

Dalla Cesira si parlò di Bepi, che vendeva salami di casa, quelli di un suo improbabile amico. Di Toni che aveva comprato una sopressa favolosa da un tal altro amico che abitava in un paese vicino. Di Luisa che aveva assaggiato un prosciutto speciale di casa, ma che non ricordava chi glielo avesse regalato.
Insomma, tutti avevano avuto l'occasione di assaggiare salumi di casa, senza sapere quale fosse stato il maiale che aveva fatto il miracolo.

Intanto, la fattoria Stecca continuava la sua faticosa vita per poter racimolare e compensare la perdita preziosa che il "padrone" si sarebbe trattenuto dal conteggio, come prevedeva il contratto.

E il vecchio don Genesio aspettava paziente al confessionale, che arrivasse una notizia utile per poter redimere e fare scontare almeno la pena divina a chi aveva oltraggiato l'onestà di un lavoratore simile, che aveva le mani sudate, incallite dal lavoro e il cuore offeso dalla cattiveria dei suoi simili.

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Nel paese di Toccavalle c'erano altre due famiglie che si guardavano in cagnesco.
La famiglia patriarcale dei Gobbo, tre generazioni di nonni, figli e nipoti che vivevano numerosi in un'unica casa appartata ai margini del paese e governata dal capostipite, arrivato da poco fresco di ottant'anni.

Erano cresciuti tutti col motto "aiutati che Dio ti aiuta", imprimendo dal più piccolo al più grande un modo brusco e quasi violento per difendersi, nel ropporto con gli altri e con le difficoltà della vita stessa, come se la forza fisica ad ogni costo fosse un loro marchio di fabbrica.

Il primogenito della famiglia, Vittorino, era famoso per l'indole gretta e rozza, oltre che manesca.
Alto e robusto lavoratore agricolo, destinato a prendere in mano le redini di famiglia dopo il padre, si dava da fare per far capire a tutti il suo ruolo di comando.

Aveva una predilezione a prendere di mira i ragazzini, per educarli con il suo metodo, diceva, senza rendersi conto che in realtà sfogava su di loro le violenze subite in famiglia.

Il paese è piccolo la gente mormora (Completa) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora