Hisoka

1.7K 112 19
                                    

Pochi giorni dopo il processo passò a prendermi, in un venerdì mattina terribilmente afoso, un poliziotto tutto grasso e sudore, con gli occhi piccoli e la faccia da roditore, un certo Bill. Questi, sbadigliando sonoramente, aveva gettato un' occhiata pigra al borsone rosa con i miei vestiti e una un po' troppo insistente a mia sorella che ferma sulla porta del nostro appartamento, con la camicia slacciata e le mutandine di Sailor moon al vento, si stava fumando la sua sigaretta mattutina. Lei, quando lo vide arrivare, mi salutò con un cenno della mano, mettendo in mostra i suoi 10cm di unghie laccate di rosso e rientrò in casa senza dire una parola.
Mi lasciai perquisire arrendevole e Bill mi accompagnò fino al pullman che avrebbe dovuto portarmi alla Yancy o meglio, arrancò tossendo dietro i miei passi che si dirigevano svelti alla fermata. Dopo pochi minuti di cammino arrivammo davanti ad un catorcio giallo, ovvero il mezzo sul quale mi sarei annoiato per le successive tre ore, dove con piacevole sorpresa mi accorsi che Bill ed io non saremmo stati gli unici passeggeri.
Infatti in prima fila sedeva un biondino vestito di nero, probabilmente di qualche anno più piccolo di me, che indossava dei jeans attillati e la maglietta stracciata di chissà quale band emo. Aveva un fisico gracile e piuttosto effeminato che, insieme ai lineamenti androgeni accuratamente celati dietro le lunghe ciocche di capelli dorati che gli ricadevano sul volto, lo facevano somigliare più ad una creatura fatata che al teenager dal passato tormentato che era realmente. Leggeva un tomo dall'aria terribilmente noiosa (probabilmente avrei detto Nietzsche se avessi dovuto tirare ad indovinare) mentre ascoltava musica da un paio di auricolari malandati, piuttosto inutili, visto il volume assordante delle sue canzoni.
Subito piacevolmente interessato, mi sedetti di fianco a lui con il mio sorriso migliore, ma questi  non mi degnò di un' occhiata.
Allora finsi un piccolo attacco di tosse, ma l'angioletto continuò ad ignorarmi.
A questo punto, una persona normale si sarebbe rassegnata a passare il viaggio in silenzio, ma non io.
Quando finalmente il catorcio si mise in moto, aspettai la prima curva per cadere addosso alla mia preda che, finalmente, si degnò di posare i suoi magnifci occhi rossi sulla mia figura. Per un attimo presi in considerazione l'idea di  lasciar scivolare assolutamente accidentalmente le mie mani un po' più in basso ma il biondino capì le mie intenzioni e schizzò svelto di fianco a Bill. Pessima scelta, visto che la palla di grasso soffriva il mal d'auto.
Le restanti tre ore di viaggio furono le più lunghe e strazianti della mia vita. Il caldo continuava ad aumentare rovinandomi il trucco, Bill vomitò un paio di volte, l'autista non aveva palesemente idea di dove fosse diretto e Mr. Emo Biondo non rispondeva a nessuna delle mie provocazioni.

Ci fermammo ad un autogrill solo due minuti, nonostante avessi torturato il conducente chiedendoglielo per più di mezz'ora e Palladigrasso mi volle accompagnare fino al bagno per paura che tentassi la fuga. Se soltanto ci avessi provato veramente chissà come avrebbe fatto a rincorrermi visto che faceva fatica anche solo a camminare. Passai il resto del viaggio a sonnecchiare finché finalmente il pullmino non si fermò. Quando riaprii gli occhi, la prima cosa di cui mi accorsi fu il cambio di temperatura. Se prima era il caldo a torturarmi, adesso era il freddo a volermi morto assiderato.
Io e l'angioletto biondo scendemmo dal bus e fummo raggiunti da tre uomini: un vecchietto, un armadio dai capelli bianchi e un quattrocchi dal volto severo.
Per una seconda volta la mia borsa fu perquisita e vennero scovati i coltelli che avevo nascosto nella biancheria intima. Li requisirono insieme a qualsiasi cosa avesse un minimo di punta o di lama e al mio cellulare. Dopodiché ci consegnarono delle divise malconcie che avremmo dovuto indossare durante la nostra permanenza alla Yancy.
Seguirono un sacco di spiegazioni noiosissime sulle regole da rispettare, di cui non ricordo assolutamente nulla, e un giro per l'istituto.

La Yancy somigliava più ad un carcere che a una scuola. Era un edificio grigio con poche finestre, situato in mezzo al nulla, affiancato da una costruzione più piccola e vagamente storta, il dormitorio. Aveva un giardino, se così si poteva chiamare il vasto campo di erba secca che la circondava, e un'alta recinzione con in cima del filo spinato, tipo caserma. Le stanze erano tutte ugualmente grigie, sporche e fatiscenti, con le sbarre alle finestre. Sull'entrata c'era quella che avrebbe dovuto essere una citazione motivazionale "OGNI GIORNO PER UN FUTURO BRILLANTE " ma qualcuno aveva staccato alcune lettere, di cui era rimasta solo la sagoma scura sulla parete, e adesso si poteva solo leggere : " ...NO FUTURO BRILLANTE ". Non soddisfatti da solo questa bravata qualcun' altro aveva aggiunto, scarabocchiando sull'architrave dell'entrata con un pennarello scarico, "Lasciate ogni speranza voi che entrate" insieme a svariate raffigurazioni falliche delle più varie dimensioni.
Una volta finito il giro turistico, mi separarono dal mio amabile compagno di viaggio e l'uomo più grosso mi mostrò la stanza in cui avrei alloggiato, ovviamente l'ennesima camera spoglia e grigia, con una finestra minuscola che dava sul giardino interno. In un angolo, sopra i due letti, vi era un crocifisso le cui braccia rotte erano state riattacate con dello scotch. Sulla parete opposta  spiccava un foglio incorniciato che comunicava l'orario dei pasti e delle lezioni insieme a delle "REGOLE!!!" scritte a lettere cubitali e con tre punti esclamativi dopo ciascuna. Lessi vagamente interessato che la cena veniva servita alle otto, mentre la sveglia era alle sei, sorvolai il resto di ciò che vi era scritto, sbattendo la porta dietro di me che si chiuse con un lugubre tonfo simile al rumore di una campana da morto.

Finalmente solo, per prima cosa mi spogliai- ho sempre trovato piacevole liberarmi dei vestiti- poi disfai la borsa gettando ciò che conteneva alla rinfusa per quella stanza decisamente troppo ordinata. Presi due birre calde che ero riuscito miracolosamente a salvare dalla perquisizione, travasandole in delle bottigliette d'acqua prima del viaggio, e appesi il bersaglio per le freccette che mi ero portato rammaricandomi però di non avere freccette siccome mi erano state requisite. Avrei potuto immaginare che non mi avrebbero permesso di tenerle?
Ovviamente si, il regolamento online parlava chiaro. Ma la speranza è sempre l'ultima a morire e mi piace vantarmi di essere una persona che pensa positivo.
Una volta finito di sistemarmi, sospirai soddisfatto: la stanza era già divenuta più accogliente.
 Se le attività scolastiche finivano alle sei, come avevo letto sul foglietto appeso, avevo ancora mezz' ora per prepararmi prima che il mio compagno di stanza arrivasse. Mi diressi verso il bagno e ne spalancai la porta fischiettando la colonna sonora dell' esorcista. Tirai la tenda della doccia trovandola però già occupata:
due occhi neri mi stavano fissando.

Asso di piccheDove le storie prendono vita. Scoprilo ora