La città dove non splende il sole

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Fuori era una giornata come tante altre mentre i cittadini di Arkham iniziavano ad uscire dalle loro case, a salutare i loro cari ed andare a lavoro; come avevano fatto il giorno prima e quello prima ancora da che la città era stata fondata, 150 anni prima: fredda, grigia, umida e con quel profumo tipico di asfalto bagnato misto ai gas di scarico della auto.

150 anni in cui la città era precipitata in un degrado senza precedenti, straziata dalla criminalità organizzata e non; ragion per cui il corpo di polizia di Arkham era uno dei migliori e più attivi del Paese.

James si svegliò piano piano, cullato dai rumori di quella città che aveva dato i natali a tutta la sua famiglia. Girò la testa a sinistra, verso il salotto, e poi a destra, verso Martha, la sua compagna.

«Amore,» le sussurrò all'orecchio, «devo andare a lavoro... che ne dici di spostarti dal mio braccio, così posso fare qualcosa della mia vita oggi?».

Lei schiuse gli occhi poco alla volta e sorrise dolcemente, poi disse: «Arkham può aspettare, ne sono sicura. D'altronde i tuoi colleghi possono prendere i cattivi anche per conto loro... non c'è bisogno di avere te a fargli da balia».

James ridacchiò e nel farlo spostò Martha da sopra il suo braccio destro, uscì da sotto le coperte e andò a scostare le tende.

Era come il suo rito: ogni mattina chiudeva gli occhi e levava le tende, sperando che nel momento in cui li avesse riaperti avrebbe visto quello che per tutta la vita aveva solo immaginato: il sole. Da che era nato, trentacinque anni prima, non aveva mai visto il sole, non una sola volta. Ne aveva sentito parlare, è vero: c'erano tante storie riguardo questa palla luminosa che una volta si alzava sopra le teste dei cittadini, illuminando i loro giorni e liberandoli dalle paure. Per James era solo un mito; non c'era verso che una cosa così esistesse sul serio... ma la speranza, si sa, è l'ultima a morire. "Arkham non se lo merita, il sole", diceva suo padre.

Aprì gli occhi e... niente, il solito e desolante cielo grigio che per tutta la vita lo aveva accompagnato, anche se doveva ammettere di esserne un po' confortato perché non avrebbe saputo che fare se avesse effettivamente visto il sole. Non aveva mai pensato alle misure da adottare per tale evenienza.

Scosse la testa, quasi ad indicare il ritorno al "mondo reale",  attraversò la stanza a passi lunghi e veloci ed arrivò presto alla cucina, dove si preparò un caffè e due fette di pane tostato. Mentre era seduto a mangiare guardò fuori dalla finestra, in basso, verso quelle formichine operose che ogni giorno uscivano dalle loro tane per andare a lavorare; chi a piedi, chi in bici e chi in macchina, tutti quanti verso una destinazione comune e con un obiettivo comune: tirare avanti fino al giorno dopo in modo dignitoso, ad ogni costo.

Guardò il disegno delle strade, le auto che correvano veloci su di esse e pensò che era decisamente ora di muoversi. L'orologio segnava le 8:45: era ora di diventare una formichina anche per James Morgan.

Tornò in camera da letto, prese una camicia, un abito a caso tra quelli che aveva a disposizione e una cravatta nera. "Il nero sta bene con tutto", pensava. L'abito di quel giorno era di un elegante grigio cenere, con sottilissime righe verticali in nero che davano una leggera sfumatura scura al completo. Si annodò la cravatta, baciò Martha sulla fronte, si infilò le scarpe di pelle nera e uscì dalla porta.

Scese le scale fino ad arrivare al piano interrato dove prese la sua BMW del '98, saltò su e andò verso il suo posto di lavoro: dipartimento di polizia della città di Arkham, abbreviato con ACPD.

James guardò ai margini della strada e vide la solita miseria che aveva sotto gli occhi ogni mattina: criminali che si derubavano a vicenda per sopravvivere mentre i ricchi dei quartieri bene li guardavano con disprezzo, ma pretendendo di non vederli, come se questo avesse cambiato qualcosa in quella dannata città.

Un tuono scosse il fresco cielo mattutino.

"È proprio vero," pensò James, "Arkham non se lo merita il sole".

Il dipartimento di polizia era uno degli edifici più antichi della città, secondo solo al municipio e forse alla stazione centrale, ma nessuno avrebbe saputo dirlo con certezza poiché i lavori di entrambi gli edifici si erano, in teoria, conclusi lo stesso giorno. Ma a James non importava, aveva altro a cui pensare: Arkham aveva uno dei tassi di criminalità più alti in tutto il paese, non era certo un primato di cui andare fieri. Il problema era che ogni poliziotto che avesse prestato servizio in quella città e avesse anche solo provato a mettersi contro i "poteri forti" che tenevano quell'angolo d'Inferno tale (per portare la luce della giustizia anche ad Arkham) era scomparso senza lasciare tracce; probabilmente finito da qualche parte sul fondo del fiume Silver Creek, il corso d'acqua che divideva la città in due.

I "poteri forti" in questione erano due famiglie mafiose che tenevano la città in pugno: i Romano e i Marconi. Nessun uomo con un briciolo di buon senso si sarebbe mai messo contro una di queste due famiglie, poiché avevano affiliati e seguaci in più o meno tutte le classi sociali, cariche pubbliche e, sicuramente, più d'uno nel corpo di polizia. Il territorio era spartito in modo non equo tra le due famiglie: le isole di Arkham Nord, Arkham Sud e Blackbridge Island erano sotto il controllo dei Romano (che le possedevano da almeno una cinquantina d'anni), mentre la famiglia dei Marconi era "rinchiusa" nella sola isola di Arkham Est, ottenuta dopo una sanguinosa guerra tra gang con la famiglia avversaria, consumatasi trent'anni dopo l'avvento dei Romano.

Tutti sapevano, nessuno parlava.

Arrivato al dipartimento, James si sedette alla sua scrivania e finì di compilare alcuni moduli che aveva lasciato in sospeso riguardanti una violenta sparatoria tra la Quinta e Main Street che aveva coinvolto dieci agenti di polizia e un numero non meglio determinato di mafiosi di entrambe le famiglie di Arkham: apparentemente una disputa per il territorio.

«James? James Morgan?» chiese una voce.

James levò gli occhi a guardare chi avesse pronunciato il suo nome e si trovò davanti un ometto alto e mingherlino, con i capelli accuratamente pettinati ed un grosso paio di occhiali che ogni cinque secondi circa gli scendevano lungo il naso e l'uomo si trovava costretto a doverli spingere di nuovo al loro posto. James non lo aveva mai visto prima d'allora.

«Dipende chi lo chiede».

«Oh, è un grande piacere conoscerla finalmente, detective! Mi presento, io sono Gale Webber e sono il nuovo medico forense in questo dipartimento. Sa, ho sentito veramente tanto parlare di lei, e avrei così tante domande... ad esempio: come ha fatto a risolvere tutti quei casi in così poco tempo? Qual è il suo segreto? E, soprattutto, come...».

«Gale!» lo interruppe James. «Scusa se non mi fermo a chiacchierare con te come dovrei, ma sono sommerso dal lavoro e se voglio tornare a casa stasera sarà meglio che mi dia una mossa. Comunque è stato un piacere parlare con te... ci vediamo presto eh?» e tornò alle sue pratiche.

Il medico fece un'espressione di disappunto, poi mostrò un sorrisetto di circostanza, bofonchiò un "arrivederci" e se ne andò così com'era venuto.

Poco dopo la pesante porta di ferro del dipartimento si aprì nuovamente rivelando un uomo sulla cinquantina, impermeabile e cappello a falde corte da sotto il quale sbucavano alcuni riccioli castani e grigiastri. I suoi occhi erano azzurri come il ghiaccio e le leggere rughe sul suo volto gli davano quel non-so-che di esperienza e vita vissuta: era Hush Evans, il partner di James.

«Hey Jimmy!» disse questi dandogli un buffetto sulla spalla. «Com'è? Ancora nei casini per quella sparatoria di due giorni fa? Gesù, con tutto il piombo che vediamo passare sopra le nostre teste questi moduli dovrebbero darceli già precompilati dico bene? Ahahah».
«Dai Hush, non è giornata. Ho dormito di merda ieri notte: Martha è stata tutto il tempo sul mio braccio destro che ora mi formicola tutto e faccio fatica a scrivere... non hai idea di che rottura di palle sia questo lavoro ora come ora...».

«Anche io lo pensavo... fino a 5 minuti fa. Prendi la giaccia che fuori fa freddo».

James lo guardò stupito. «Dove andiamo?».

«Alla vecchia acciaieria sul fiume: hanno trovato un corpo che penzola dal soffitto». Evans respirò a pieni polmoni e poi riprese: «Cara vecchia Arkham», dopodiché si sistemò il cappello ed uscì ad aspettare James.

"Eh già," pensò quest'ultimo, "cara vecchia Arkham".

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