HA! HA! HA!

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La mattina seguente, dopo una notte insonne e terrificante, James era di nuovo al dipartimento di polizia, e sentiva tutti gli occhi dei suoi colleghi puntati su di lui. Incredibile a dirsi, l'unico che non lo stava fissando nella stanza era proprio il suo collega, l'unico che sapeva (o, almeno, credeva di sapere) quello che fosse successo il giorno prima.

«Hey Jimmy... so che è dura da metabolizzare come cosa, ma hai fatto la scelta giusta. Vedrai che nell'arco di pochi giorni ci sarai passato sopra. Non l'avrai dimenticato, ma ci sarai passato sopra», gli disse Hush cercando di essere rassicurante, ma non avrebbe raggiunto grandi risultati nel caso di un vero omicidio da parte di James. Lui, per risposta, abbozzò un sorrisetto a labbra strette.

James sentì un leggero tocco sulla sua spalla destra per cui si voltò di scatto e per poco non prese un infarto, nervoso com'era. Gale Webber si stagliava davanti a lui con un sorriso a trentadue denti.

«Buongiorno, Gale. Come posso esserti utile?» chiese il detective facendo finta di non essere seccato da quell'improvvisa apparizione.

«Ho trovato qualcosa accanto e sul corpo di Miller questa mattina che penso potrebbe interessarti, Jim».

«Allora, prima di tutto,» disse James cercando di assumere un tono amichevole, «non chiamarmi Jim... non l'ho mai sopportato. L'unico che può chiamarmi Jim o Jimmy è questo vecchio bastardo qui davanti e solo perché mi offre da bere al sabato sera, se capisci cosa intendo. E secondo, che cosa hai trovato di tanto interessante?».

Gale sorrise di nuovo, quasi sentendosi obbligato a farlo: «Seguimi», disse senza aggiungere altro. Anche James sorrideva, più per solidarietà che per altro, ma il suo sorriso sparì nel momento stesso in cui mise piede del laboratorio di medicina forense: sal corpo di Jake Miller era stata incisa una risata.

L'incisione "AH! AH! AH!" occupava tutto il torace e l'addome del corpo senza vita del vecchio membro della "Smile Gang", mentre da sotto il costato sbucava l'angolino bianco di un foglietto di carta. James lo estrasse e si accorse di una frase scritta con il sangue. La lesse ad alta voce: «"Il riso è la miglior medicina. Ridi finché puoi, Arkham. Firmato"... una faccina sorridente».

A bocca aperta e senza dire nient'altro, James e Gale si guardarono negli occhi per qualche secondo, poi il medico scoppiò in una risata irrefrenabile e completamente immotivata, forse, per rompere quella tensione così densa da potersi tagliare con il coltello. James scosse la testa ed uscì dal laboratorio tra le risate nevrotiche di Webber.

«Hush, non ci potrai credere. Sai che cos'ho appena trovato sotto il corpo di Miller?».

«Lo sai che non sono bravo ad indovinare... su, avanti, cos'hai trovato sotto il corpo di Miller?» ripeté Evans, imitando la voce del suo partner.

«Un biglietto. Firmato da una faccina sorridente. Quante persone fuori dal dipartimento sapevano della storia dei bigliettini con le faccine?».

Hush sbuffò per la stupidità della domanda. Se la stampa aveva chiamato Smiley con quel nome era proprio perché avevano reso pubblico il dettaglio del biglietto. L'unica cosa che non avevano mai detto a nessuno era che i bigliettini fossero scritti con del sangue che non era quello della vittima, ma probabilmente dello stesso Smiley; ad ogni modo quel fluido non aveva trovato riscontro nel database, il che lo rendeva abbastanza inutile.

«Aspetta... mi stai dicendo che quindi nessuno sapeva del sangue sui biglietti? Ce li avete ancora da qualche parte? Se sì, trovali e portali al laboratorio: voglio confrontare il sangue sul biglietto che abbiamo appena rinvenuto con uno dei vecchi... e provare una volta per tutte se Smiley sia ancora vivo o meno».

Hush andò nei sotterranei della centrale a ricercare, trai polverosi scatoloni buttati in quel dimenticatoio umido e odorante di muffa, le prove del caso "Santa Maria 1993". Cercò e cercò e, finalmente, trovò lo scatolone a cui stava dando la caccia. Il cartone era molle, coperto di chiazze bianco-verdognole e puzzava in modo orrendo. Raccolse tutta la sua buona volontà nel tentativo di non vomitare e alzò lo scatolone, che gli si sfasciò tra le mani rovesciando il suo contenuto sul pavimento.

Evans bestemmiò così forte che tutto il dipartimento cominciò a guardarsi attorno cercando di capire chi fosse stato.

Poco dopo il detective riemerse da quel terribile scantinato per ridiscendervi poco dopo con un grosso contenitore di plastica. Appena sceso l'ultimo gradino la luce cominciò a tremolare ed Hush capì che era meglio fare in fretta. Scaraventò tutti gli oggetti che vedeva sul pavimento nel contenitore e, non appena lo chiuse, la luce saltò.

«Mi stai prendendo in giro, Dio?» disse Evans, cercando di essere contenuto sebbene al contempo fosse incazzato come una bestia. Sbuffò e sollevò il contenitore.

Appena tornato al piano di sopra si accorse che, sebbene fosse stato nel seminterrato per meno di un'ora, aveva addosso un odore tale che sembrava un vecchio pezzo di formaggio ammuffito; ma poi si ricordò del ben peggior odore di formaldeide del laboratorio e capì che non sarebbe sicuramente stato il puzzo più sgradevole nella stanza.

Come entrò nello studio, Evans rovesciò su uno dei tavolini di acciaio inossidabile (che di solito ospitavano corpi senza vita) tutto quello che aveva raccolto. James vide subito uno dei biglietti originali e lo prese frettolosamente con la mano destra.

«Gale, mi faresti il piacere di confrontare il sangue con cui è stato scritto questo biglietto con quello di stamattina? E puoi farmi un preventivo sulla quantità di tempo che ci vorrà?».

«Eh,» disse Webber, «più o meno lo stesso tempo che ci metterete voi due per raggiungere la Kramer Chemicals. Mentre Evans era nello scantinato e tu, James, eri andato... al bagno credo, il capitano è entrato qui chiedendo di voi e mi ha detto di dirvi che hanno trovato un corpo laggiù».

Sbuffando come treni a vapore i due detective uscirono dal laboratorio, raccomandando al medico forense di fargli trovare i risultati dell'esame del sangue non appena fossero tornati. Gale annuì e li salutò con un cenno della mano.

"Kramer Chemicals?" pensava James, "Ma non è lo stesso posto in cui Hopper ha detto lavorasse il Chimico? Gesù, ho una brutta sensazione...". Si sentiva nelle ossa che il corpo che avrebbero trovato sarebbe stato proprio quello del famoso Chimico.

E così fu.

Crocifisso ai cancelli della vecchia fabbrica farmaceutica c'era un uomo con la testa rivoltata e il palmo destro tagliato. Indossava un camice da laboratorio, una maglia nera con a collo alto, pantaloni marroni di velluto a coste e scarpe di vernice nera, tutte graffiate e sporche.

Il medico legale disse che la causa della morte era stata la rottura della spina dorsale e la conseguente recisione del midollo spinale. Aggiunse che il corpo era ancora caldo, quindi l'omicidio doveva essere avvenuto un paio di ore prima, al massimo. James gli chiese del palmo tagliato e per tutta risposta l'uomo gli allungò una busta di plastica trasparente con "EVIDENCE" scritto sopra in rosso: conteneva un foglietto di carta accartocciato ed impregnato di sangue. James indossò un paio di guanti in lattice bianchi ed aprì la busta; Hush gli si mise dietro e praticamente appoggiò il suo mento sulla spalla del collega.

James spiegò il foglietto e ne cadde una specie di disco giallastro ricoperto di sangue. Il biglietto, come prevedibile, aveva una faccina sorridente sopra.

Evans si chinò ad esaminare il dischetto di metallo caduto dal pezzo di carta e vi rimase pietrificato: era uguale ai dobloni della Santa Maria! Quelli che avevano rinvenuto vent'anni prima sulle varie scene del crimine!

Un'espressione di orrore gli passò il volto come un fulmine e lo lasciò a bocca aperta e occhi sbarrati.

«Hush?» gli chiese James. «Tutto bene? Sembra tu abbia appena visto un fantasma...».

Il vecchio detective annuì dicendo: «È esattamente quello che è successo, Jimmy».

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