Rancore: passato, presente e futuro di rabbia repressa

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Elia trascinò d'istinto Livia dietro un tavolo subito dopo averlo rovesciato, poi si guardò intorno in cerca della spada e dello scudo. Dannato lui a non prestare ascolto a Scatach quando gli aveva detto di tenere con sé le armi.
Ma chi si aspettava un commando terroristico in Grecia ad una cena privata?
Probabilmente Livia perché, al contrario suo, aveva già la balestra in mano e aveva iniziato a fare fuoco sul nemico.
-Rischi di colpire dei civili!- le disse il professore.
-Tranquillo, li riconosco quelli dell'ISIS quando li incontro.- commentò seria prima di nascondersi nuovamente dietro al tavolo e ricaricare l'arma -Dobbiamo sbrigarci e levare le tende.-
-Da quando parli come Scatty!?- le chiese sconvolto.
-Da quando è diventata una questione personale.- rispose aspra sparando un nuovo dardo e trincerandosi a ricaricare -Recupera spada e scudo e filiamo.-
Elia si costrinse a controllare nuovamente attorno. Dove accidenti era il loro tavolo? A sinistra del palco, per cui... a diversi metri da loro, com'era ovvio.
Fece per allungarsi sotto il tavolo accanto, ma una raffica di mitra lo costrinse nuovamente vicino a Livia. Bello essere protetti dalla donna a cui si era fatta la paternale sugli uomini difensori e spavaldi, davvero un bel modo di morire.
-Devo raggiungere l'ultimo tavolo.- ammise sperando che prima o poi le munizioni degli assalitori finissero.
-Non hanno un richiamo a distanza quei cosi?- chiese Livia scoccando un nuovo dardo -Non ho frecce infinite, quindi sbrigati.-
Elia inspirò a fondo, in effetti non ci aveva mai pensato. Provò a concentrarsi e allungò la mano. la spada gli arrivò talmente forte tra le dita che rischiò di ribaltarsi. Per fortuna ci pensò lo scudo a farlo rotolare sotto Livia. Letteralmente.
Non fece in tempo a capire la situazione che qualcosa lo agguantò per la caviglia e lo trascinò nel pavimento. Sempre letteralmente.
Gridò appena prima di spuntare in una delle camere dell'albergo con Scáthach che gli teneva il piede. Saffo e Ame No Uzume erano intente a tenere fermo Apophis che si sbracciava verso la porta mentre il direttore dell'albergo stava bevendo tranquillamente un bicchiere di verduzzo. Al buio e nella frenesia del ballo il professore non aveva notato che si trattava di una donna, né, tantomeno, che avesse i capelli lisci per metà neri e per metà rosso vinaccia, coordinati con il tailleur e il giaccone lungo fino alle ginocchia. In effetti non aveva nemmeno notato la cintura con le fodere per pistole, sempre che non se la fosse messa mentre lui non vedeva.
-Perché non hai preso Livia!?- esclamò Elia rosso come un peperone.
-Perché ci sta pensando Michele.- rispose Scáthach seria lasciandogli la caviglia -Saranno qui a momenti con la cavalleria, quindi trovate un'alternativa alla svelta.-
-Noi? C'è un commando di terroristi islamici che ci sta per saltare addosso e dobbiamo trovare un'alternativa alla svelta in un posto che non conosciamo!?- commentò il professore.
-Se vuoi ti trasporto a Londra, ma sarebbe un po' fuori mano per la nostra ricerca.- lo riprese Scatty seria -Ora calmati e ragioniamo.-
-Calmarmi? Calmarmi!?- esclamò Elia -Dimmelo quando l'ultima cosa che ricorderò di un mio alleato non sono la sua biancheria intima!- arrossì di colpo rendendosi conto di ciò che aveva detto, poi Michele entrò nella stanza. Da solo -Ti prego, dimmi che...-
-Sta prendendo tempo nel corridoio.- lo anticipò l'arcangelo -Ora trovate un nascondiglio fattibile e vi seguirò subito.-
-Devo tornare alla terrazza!- esclamò Apophis dimenandosi -Devo sapere se...-
-Non ci sono ragazze castane con gli occhiali tra le vittime.- tagliò corto Michele spostando lo sguardo sui Ame No Uzume e Saffo -Piano d'evacuazione?-
-Casa nostra?- propose la Giapponese.
-Ci arriveranno subito.- commentò la Greca -Porto abbandonato?-
-E se vi portassi da mio zio?- le interruppe la direttrice dell'albergo -Il magnate danese che v'interessava deve essere con lui, è lui che me l'ha mandato. Sembrava tenerci particolarmente...-
-E dove si trova?- chiese Scáthach.
-Alla cantina dove mi rifornisco di solito.- sorrise prima di sorseggiare il bicchiere di vino che teneva tra le dita -A Berna.-

*******

Tenjin e Morrigan vivevano in una mega villa in stile misto. Tetti giapponesi, scalinate azteche e pianta circolare celtica erano una fusione talmente incoerente da risultare quasi affascinante. Qua e là, poi spuntavano statue classiche e neoclassiche in marmi pregiati che circondavano laghetti zen in cui saltavano carpe koi dorate. Il tutto protetto da una spessa siepe e un massiccio cancello in porfido rosso posto su di un binario a scorrimento laterale.
Lugh suonò al citofono reggendo Kohns sulla schiena e attese paziente. Chiunque vivesse all'interno non rispose, però si videro le delicate tende alle finestre muoversi appena. C'era qualcuno, ma non voleva aprirgli.
Suonò di nuovo più insistente. Ci fu nuovamente il fruscio dei tessuti all'interno della casa, ma nessuno che rispose al citofono.
Al terzo tentativo, Lugh si ritrovò sollevato per la gola da un robusto uomo dall'aspetto saggio. Capelli grigi legati alla cinese, occhi sottili azzurri che ardevano d'ira.
-Ti avevo detto di non farti più vedere.- ringhiò serio serrando le dita sul collo di Lugh -E che se ti avessi visto...-
-Mi avresti ucciso...- concluse il semimortale con il fiato mozzo -Non sarei venuto se non fosse stata un'emergenza, Tenjin...- la stretta si fece più forte.
-Per te sono Venerabile Cognato Tenjin. Anzi, nemmeno quello, ora ti ammazzo.- commentò aspro prima di notare il fagotto che teneva sulla schiena -Che hai!? Un tuo collega Sacro? Non voglio casini.-
-È... mio... genero...- rantolò Lugh ormai viola -Kohns... dovresti... saperlo...-
-Non so nulla e non mi interessa. Ora uccido te e poi uccido lui, anche se non penso ci sia molto bisogno.- abbaiò Tenjin prima che una vocetta attirasse la sua attenzione.
-Fermo un secondo. Mio padre le lo lascio anche ammazzare, ma mio marito no, chiaro?- disse Kushinadahime con le mani sui fianchi guardando l'omone seria. Alzò le dita iniziando ad elencare una serie di motivazioni al riguardo -Primo, perché è mio marito. Secondo, perché lo amo e terzo, perché...-
-Sei Kushinadahime...- commentò Tenjin sorpreso. Rimase a guardarla per un po', poi tornò su Lugh stringendo ancora di più le dita -Ho una nipote e non me lo hai detto!?-
-Ci... ho... provato...- biascicò il Celtico -Ma... eri... troppo... preso... a... odiarmi...-
Il Giapponese inspirò a fondo, poi mollò la presa facendolo cadere rovinosamente a terra e si dette una pacca sulla coscia destra. Il cancello iniziò a muoversi di lato, aprendosi abbastanza da farlo uscire. Raccolse Kohns slegandolo dalla schiena di Lugh con non troppa gentilezza e s'incamminò dentro facendo il gesto a Kushinadahime di seguirlo. Il cognato fece per seguirli, ma Tenjin gli abbaiò contro:-Tu resti qui.- e richiuse il cancello con uno spintone ben dato.
La ragazzina si voltò un momento a guardare il padre, poi si affrettò a seguire lo zio perplessa. Non le era mai capitato qualcuno che tenesse così testa a Lugh e riuscisse a farlo desistere su qualcosa, men che meno così in fretta.
Zio Tenjin doveva essere veramente tosto, merito probabilmente della corporatura da Maui ereditata nel corso dei secoli. In effetti per essere un poeta divinizzato o figlio di esso era robusto, alto e grosso. Molto alto e molto grosso.
Non disse nulla fino a che non furono in casa, poi chiese:-Hai sete? O fame?-
-Abbiamo mangiato nella Metroenergia.- spiegò Kushinadahime studiando un po' lui e un po' Kohns.
-Da dove arrivate?- domandò incamminandosi su per delle scale.
-Gerusalemme...- rispose la ragazzina seguendolo -Dove stiamo andando?-
-A mettere a riposo tuo marito. Morrigan se ne occuperà non appena avrà messo a letto i bambini.- spiegò pacato entrando in una stanza e adagiando Kohns su un letto. Uscirono quasi subito chiudendosi la porta alle spalle -Sembri più piccola di mia sorella. Senza offesa.-
-Me lo dice anche mio padre...- commentò Kushinadahime arricciando appena il naso -Credo siano i codini. E l'altezza, quella l'ho presa da nonna...-
-Lo vedo. In effetti mi ricordi più nostra madre di lei.- borbottò appena -Però hai i suoi stessi occhi. Quelli sono opera del Tenjin prima di me.-
-In effetti non ho conosciuto molto questo ramo della famiglia...- ammise la ragazzina -Solo che papà non mi ha mai fatto conoscere nessun parente a parte la zia. E anche con lei non ci sentiamo molto, soprattutto da quando quell'idiota si è messo coi Sacri.-
-I legami con me sono rotti da molto più tempo.- sospirò Tenjin sedendosi sui gradini e spronandola a fare altrettanto -Probabilmente tu eri un fagottino semovente quando ho chiuso con tuo padre.- rise amaramente -Forse eri quel fagottino che si è portato dietro quando è venuto qui a chiedere perdono.-
-Perché hai chiuso? E perché doveva chiedere perdono?- domandò sorpresa. Non s'immaginava suo padre penitente per qualcosa, proprio non ci riusciva.
-Perché ha fatto la cosa peggiore che si potesse fare.- spiegò Tenjin cupo -Ha ucciso sua moglie.-

*******

Livia corse lungo il corridoio e frenò di botto scivolando in una camera semiaperta, chiudendosela poi alle spalle. Si appoggiò al legno, la balestra di traverso sul petto ansimante. I passi si perdevano dietro il muro, tutto il corridoio coperto dallo scalpicio dei suoi inseguitori.
Attese in silenzio, spostandosi piano verso l'interno della stanza per non fare rumore, gli occhi fissi sulla porta in attesa di una qualche irruzione. Doveva solo raggiungere la finestra e calarsi nella stanza sottostante, luogo dove si trovavano Michele e gli altri. Glielo aveva detto prima di separarsi e se quello era un albergo come gli altri, stanza XX1 si trovava sopra o sotto a YY1. Non che ne fosse sicura, aveva sentito puzza di semimortale quando si era trovata dietro al direttore dell'albergo. E quando c'era puzza di semimortale c'era caos assicurato. Gli ultimi giorni le avevano dato solo conferme al riguardo.
Qualcuno la bloccò alle spalle mettendole una mano sulla bocca per impedirle di gridare dalla sorpresa. Rapida mollò la balestra nel fianco di chiunque l'avesse braccata costringendolo ad arretrare, un calcio ben assestato ai polpacci e lo costrinse a terra. Poco, perché non appena fece per uscire dalla finestra l'assalitore la prese per la caviglia tirandola sotto di sé.
Gli perforò la spalla con la freccia carica e rotolò via spalancando i vetri e salendo sulla balaustra. Scivolò a sedere e poi giù, rimanendo appesa per un po'. Pochi secondi prima di buttarsi e aggrapparsi alla finestra sottostante appena in tempo, fracassando il vetro con la balestra.
Sopra, richiamati dal trambusto, i suoi inseguitori abbatterono la porta a suon di mitraglia e spallate, trovando solo il collega a terra ferito e rantolante.
Tra di essi spiccava una donna alla testa completamente coperta, si salvava solo una fessura per gli occhi, rettangolare e comunque coperta da una retina fitta e scura. Prese la freccia nella spalla dell'uomo e la estrasse con violenza, la studiò e fece segno a chi la seguiva di fare silenzio.
Si guardò intorno, studiando sotto i letti e dietro le tende assolutamente senza muoversi, come un cacciatore in attesa di una mossa falsa della sua preda. Constatata l'assenza di chi cercava si spostò verso la finestra e guardò verso il basso, gli occhi fissi sulla ragazza che veniva issata nella finestra sottostante, poi studiò nuovamente la freccia tra le dita.
-Non puoi nasconderti per sempre.- disse con una strana nota di brama e soddisfazione -Perché in fondo Allah ti vede ovunque, e nessuno sfugge al suo volere, Fatima.-

Il grande compito di Elia DiotalleviDove le storie prendono vita. Scoprilo ora