~365 dαγs αftεr~

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{Cιαrkε 4.50 α.m.}

"sono 365 giorni, 8'670 ore, 525'600 minuti e un numero impronunciabile di secondi che sono qui, in questo laboratorio, da sola. Ma stranamente mi sento ottimista. I parametri vitali esterni sono saliti moltissimo negli ultimi mesi fino ad arrivare al 38% e i semi che ho piantato mesi fa hanno cominciato a germogliare: presto avrò delle fragole e dei pomodori nel mio orticello".

Clarke si stava dondolando su una sedia girevole con la radio appoggiata sulla gamba sinistra e l'antenna sul ginocchio destro.

Era passato un anno esatto da quel terribile giorno e Clarke non aveva ancora perso la speranza: era riuscita a sopravvivere sfruttando tutte le risorse del laboratorio e, cosa più importante, mancava un anno in meno al ritorno di tutti.

Spesso la ragazza si era chiesta come se la stessero cavando gli skaikru sotto terra con tutti quei terrestri: doveva essere strano per loro, abituati a volteggiare nello spazio, trovarsi rinchiusi a migliaia di chilometri sotto il suolo. Comunque, confidava nelle capacità da comandante di Octavia: quella ragazza era un portento! Era stata la prima dei 100 a mettere piede sulla Terra e, da fragile ragazza insicura, si era trasformata in un guerriera. Aveva sofferto troppo, meritava veramente di essere felice.

"comunque" riprese Clarke "voglio fare qualcosa di speciale per quest'anniversario: so di aver detto di voler aspettare che l'abitabilità della Terra salisse almeno al 50%, ma ho intenzione di uscire oggi. Non vi preoccupate, secondo i miei calcoli il sole non è ancora sorto, perciò il livello di radiazioni è minore. E poi starò fuori giusto un paio di minuti; ho anche riparato la tuta..."

Clarke lanciò un occhiata alla tuta scura che aveva appoggiato sul tavolo. "ci sentiamo dopo, ragazzi" disse prima di chiudere la comunicazione.

Il suo stomaco sembrava una gabbia di farfalle che spingevano le une sulle altre per uscire e sentiva il cuore pomparle felicità nelle vene.

Sarebbe uscita.

Dopo un anno di completa prigionia, sarebbe uscita.

Si legò i capelli che nel frattempo le erano ricresciuti in una coda e si infilò la tuta. Era quella grigio scuro ma qua e là aveva toppe di vari colori con cui Clarke aveva chiuso i buchi e gli strappi che si era provocata un anno prima.

Tirò su la zip e si guardò il riflesso alle porte della sua camera: con il casco in mano sembrava pronta per partire alla volta dello spazio... quanto le sarebbe piaciuto poter raggiungere i suoi amici!

Il naso cominciò a pizzicarle, ma Clarke non si permise di piangere: non avrebbe rovinato una così bella giornata.

Si riempì la bombola di ossigeno per un paio di ore: non contava di stare fuori così a lungo, ma non si poteva mai sapere. Magari sarebbe riuscita anche a raggiungere il deposito di droni qualche chilometro più avanti...

Clarke salì le scale lentamente e superò la sua serra. Percorse il corridoio fino alla fine fermandosi davanti al grosso portone e venne attraversata da un dejà-vu: si ricordò di una navicella piena di adolescenti catapultata in un pianeta ostile e nuovo. Tutti premevano contro la porta in attesa di uscire e vedere cosa si nascondeva lì fuori.

Ricordava ancora l'aria carica di speranza e aspettativa, ma anche di paura e agitazione.

Gli stessi sentimenti contrastanti che provava in quel momento.

La ragazza fece un bel respiro e s'infilò il casco di protezione, poi afferrò la maniglia della porta e la spinse con forza.

Troppa forza.

Clarke si sbilanciò e arrancò in avanti, cadendo con le ginocchia per terra, ma si rialzò subito. Ciò che trovò davanti a sé le tolse il fiato.

Mαγ Wε Mεεt Δgαiη // The100Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora