~200 dαγs αftεr~

632 37 2
                                    

{Cιαrkε 9.30 ρ.m.}

Quella mattina il monitor centrale segnava 23% di abitabilità sulla Terra. Erano passati 200 giorni e ancora la percentuale non saliva oltre il 25%. Probabilmente il mondo si stava prendendo gioco di lei, pensò Clarke mentre si prelevava una siringa del suo sangue nero per analizzarlo: non potendo uscire, si era data alla scienza.

Aveva studiato il suo sangue e annotato ogni particolare anomalo che notava su un quaderno. Era un lavoro stancante, ma almeno la teneva occupata.

Quanto avrebbe dato per poter uscire da quel dannato laboratorio, anche solo per un minuto!
Erano passati 200 giorni, 200 giorni rinchiusa in quelle quattro mura, 200 giorni passati a coltivare, studiare, aggiustare e pensare. Pensava in continuazione.

In realtà si era ripromessa di accantonare le proprie preoccupazioni in un lato nascosto della mente e pensare ad altro, ma, più pensava a non pensare, più pensava.

Clarke si alzò dalla sedia: avvertiva le palpebre farsi pesanti, ma non voleva addormentarsi, troppo spaventata dall'idea di fare altri brutti sogni.

Come sarebbe sopravvissuta per tutti quegli anni, sola, chiusa in quella stanza con l'unica compagnia gli schemi di Becca? Certo, studiare aiutava, ma Clarke era sempre sola.

L'unica cosa che l'aiutava ad andare avanti era la speranza.

Sembrava incredibile, ma ripetere in continuazione "io ho speranza" la riempiva di nuovo di ottimismo.

Si diceva di essere forte, se non per se stessa, almeno per i suoi amici che un giorno avrebbe rivisto.

Spesso Clarke andava nella sua stanza e parlava con i volti che aveva dipinto sul muro. Faceva finta di intavolare intere discussioni, immaginando le risposte che avrebbero dato i suoi amici. Si immaginava di parlare di come mantenere la pace con Lexa, condivideva ricordi con suo padre e Wells, chiacchierava di strategie militari con Octavia ed Indra e rideva con Raven e Monty.

E poi c'era Bellamy. Il suo volto si trovava sul pavimento e risultava difficile parlarci, per questo Clarke preferiva accendere la radio e parlare, proprio come fece in quel momento.

"Bellamy, sono sempre io, Clarke" la ragazza si sdraiò tra le coperte nella sua stanza e guardò i volti tutt'intorno a lei immaginando che tutte quelle persone fossero lì con lei.

"sono passati 200 giorni dal Praimfaya e io sono viva. Mi sembra di essere l'unica abitante sulla Terra e, in un certo senso, è proprio così. Però non perdo la speranza. Aspetto che l'abitabilità salga ancora un po' per poter uscire fuori. Non so bene cosa spero di trovare, ma magari c'è qualche altro sopravvissuto di cui non siamo a conoscenza... so cosa stai per dirmi, che è impossibile che qualcuno sia sopravvissuto alle radiazioni, ma... se c'e l'ho fatta io..." Clarke fece un respiro tremante "e poi, Bell, mi sento tremendamente sola qui, ma parlare con te mi fa bene. Come ho già detto, non perdo la speranza, e so che voi riuscite a sentirmi solo... cercate di trovare un modo per rispondermi, okay?"

Clarke esitò con la radio appoggiata sul suo petto che si alzava e si abbassava al ritmo del suo respiro.

"come sono cambiate le cose, eh? Fino a qualche tempo fa non avrei mai pensato di poter resistere più di due giorni completamente sola e ora guardami... beh, ovviamente non puoi farlo, ma penso che se potessi saresti orgoglioso della tua principessa!" Clarke chiuse gli occhi "l'altra notte ho sognato Lexa. Non ricordo praticamente niente di quello che ci siamo dette, ma so che è felice ora. Vorrei esserlo anche io e, la cosa strana, è che mi riesce difficile essere felice senza di te. In realtà, non so quale sia la cosa più strana: se il fatto che riesca a provare nuovamente qualcosa dopo Finn e Lexa, o se me ne sia accorta soltanto dopo averti perso. Ti prego non dimenticarti di me, Bellamy".

Mαγ Wε Mεεt Δgαiη // The100Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora