1. BENVENUTA ALL'INFERNO

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MIA

La struttura che mi ritrovo davanti è peggio di quello che avevo immaginato, più che una clinica di recupero sembra un ritrovo per schizzati, e sinceramente schizzata ancora non lo sono diventata.

Mio fratello posa una mano sulla mia spalla, cercando di spingermi ad entrare, ma i miei piedi sono come incollati al cemento distrutto di quella strada. In questo posto non so se ci riesco ad entrare.

Continuo a fissarlo con disgusto, come se quello fosse l'inferno. Probabilmente lo è, anzi sicuramente lo è.

Il mio disagio interiore viene interrotto dalla voce acuta e fastidiosa di un'infermiera, o almeno penso che lo sia. Dal suo abbigliamento lo sembra.

«Devi essere Mia!» Gracchia. «Benvenuta alla Clinica della Gioia.»

La gioia è l'ultima cosa che traspare da quell'orribile edificio grigio e triste. Ti fa solo venir voglia di fuggire a gambe levate da questo posto. E' davvero l'inferno.

«Salve.» La saluta cordiale Luca. «Spero possiate aiutare mia sorella.»

«Così sarà!» Afferma allegra, estraendo una bustina trasparente, con su scritto il mio nome, dalla tasca. «Il cellulare.»

«Cosa?» Sbotto confusa.

«Qui dentro non è ammesso nessun tipo di aggeggio tecnologico, non potete avere nessun contatto con il mondo di fuori. Dammi il cellulare, cara.»

Cara un corno! Vogliono anche privarmi del cellulare, cosa diavolo farò dentro questo posto orribile?

Non muovo un muscolo, non lo avrà il mio cellulare. Mai.

Peccato che mio fratello non sia della stessa idea, ed estrae il mio cellulare dalla borsa, porgendolo a quella squilibrata.

«Ehi!» Lo fulmino con lo sguardo.

La donna vestita da infermiera, indica la porta in legno della struttura, e mi invita ad entrare. Le gambe tremano dalla paura, e non riescono a muoversi.

Sono inchiodata al terreno, finché le braccia di mio fratello si stringono intorno al mio busto e mi sollevano da terra.

«Mi mancherai.» Soffia fra i miei capelli. «Comportati bene.»

Lo dice come se fossi una bambina di dieci anni, tanto da farmi alzare gli occhi al cielo.

«Ciao Luca.» Sussurro, prima di seguire la squilibrata all'ingresso del mio inferno personale.

Ci addentriamo in quel luogo, forse troppo spoglio e grigio per i miei gusti. Tutto è grigio lì dentro, dalle pareti a tutto l'arredamento, è inquietante. Non dovrebbe essere più allegro questo posto? E talmente triste che l'unica cosa a cui sto pensando in questo momento è la droga.

«Oh, non mi sono presentata!» Squittisce l'infermiera. «Sono Annabelle, una delle infermiere della clinica. Spero che potremmo andare d'accordo.»

«Lo spero anche io.» un sorriso falso occupa tutto il mio volto, perché lo so già che non andremo d'accordo, mai. Lei ha preso il mio cellulare, me lo ha portato via. Non solo vogliono disintossicarmi, vogliono anche privarmi dei confort del ventunesimo secolo, vogliono uccidermi lentamente e dolorosamente.

I corridoi sono talmente lunghi e simili che rischio di perdermi, sono tutti troppo uguali.

«E' qui che dormirai.» Dice, indicando una porta, ovviamente grigia, con su scritto il numero tre.

Posa la mano sulla maniglia e spalanca la porta ed una ragazza fa capolino dietro di essa. Ci guarda con gli occhi rossi, iniettati di odio, e quasi vorrei sparire.

«Lei è la tua compagna di stanza, Marzia.» La squilibrata fa le presentazioni al nostro posto. «Lei è Mia.»

Marzia ed io ci fissiamo senza proferire parola, ci fissiamo con curiosità, l'odio che occupava il suo sguardo è svanito.

Annabelle abbandona la stanza, rivolgendoci un'inquietante sorriso, e sbattendo la porta.

«Benvenuta in questo posto di merda!» Esclama Marzia, abbozzando un sorriso. «Se vuoi posso darti degli utili consigli per sopravvivere.»

«Sì, ti prego.» La imploro, con voce tremante.

«Ti hanno già tolto il cellulare, immagino.»

«E' così.»

«Beh, questo non è niente.» Sbuffa. «Questi ci vogliono togliere la vita. Se fumi, scordati le sigarette o qualcosa di vagamente simile. Dimentica anche le droghe, qui non esistono. Ci danno il metadone per placare la rota, ma lo sanno pure loro che non ci fa un cazzo. Soffrirai, tanto, questa è l'unica cosa che posso dirti.»

«Mi sento già meglio.» Biascico a fatica.

«Però, c'è qualcuno qui dentro che riesce a procurarsi la droga, una volta a settimana, e questo... questo ci salva tutti.»

I miei occhi si illuminano in un attimo, e quasi mi sento svenire. C'è qualcosa di buono in questo posto, qualcosa c'è.

«Chi è?»

«Ti consiglio di non costruirci nulla con lui, gli devi chiedere solo la droga, ma lui vuole dei favori in cambio.» Sussurra, come se avesse paura di essere sentita.

«Che tipo di favori?»

«Favori non troppo piacevoli, vedila così.» Mormora. «Io ho dovuto tagliarmi i capelli così corti, solo perché lui me l'ha chiesto, e perché non riuscivo a sopportare la rota. Chiede queste cose per far soffrire gli altri, perché gli piace.»

Osservo curiosa i capelli di Marzia, tagliati in un caschetto scomposto, e la immagino mentre se la taglia, soltanto per la droga. La capisco, probabilmente avrei fatto la stessa cosa. Se ci penso, io ho anche fatto di peggio per una dose, molto peggio.

«E' un mostro!» Esclamo scioccata. «Mi piace.»

Ed è vero. Le persone come questo ragazzo le ammiro, ho sempre amato avere il controllo, ma quando assumi droga il controllo non ce l'hai mai. E' lei che controlla te, e ti uccide lentamente sotto il tuo sguardo impotente.

«Si chiama Damiano, ma il suo soprannome è Re della Droga, e la droga di solito la prende di mercoledì.»

«Sei un angelo, Marzia.» Ridacchio, abbracciandola.

«Vuoi vedere questo schifo di posto?»

Annuisco, e ci incamminiamo per gli orribili corridoi, spogli non solo di oggetti, ma anche di persone. Mi rendo conto che tutte le porte delle stanze sono socchiuse, e senza chiave, come anche la nostra.

«Non ci danno neanche le chiavi delle porte qui?»

«Hai detto bene, Mia.»

Scuoto il capo sconvolta, e la seguo a ruota in quei corridoi infiniti, finché non giungiamo in quella che sembra una mensa scolastica.

«Questa è la mensa, come avrai capito. Mangiamo tutti assieme ed allo stesso orario, come in una casa di riposo.»

Ridacchio per la sua battuta, che sembra molto reale, osservando il posto. Ci avviciniamo ad un piccolo bancone, dove fa capolino un fila di persone.

«Qui ci danno il metadone, una volta al giorno.» Borbotta. «Di solito il primo giorno non danno nulla, perché prima devi fare il tuo colloquio con il demonio.»

«Chi sarebbe?» Chiedo preoccupata, con gli occhi sbarrati.

«Tipo il preside della scuola, è il capo qui.» Afferma. «E' un dottore, quindi ti farà una visita, e poi deciderà cosa farne di te.»

«E' inquietante detto così.» Biascico.

«Fidati, è un incubo.»

Scommetto che lo sarà davvero, ed io i medici li odio, con tutto il mio cuore. 


SPAZIO AUTRICE 🍭

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