26. MISSIONE

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MIA

Un urletto sfugge dalle mie labbra, quando Damiano posa le mani sui miei fianchi, facendomi il solletico.

Le occhiatacce dei miei amici mi trafiggono in pieno, e abbasso lo sguardo sulle mie scarpe, imbarazzata.

«Sst!» Esclama Giovanni, abbastanza furioso.

Stiamo nascosti dietro una parete del corridoio, a due passi dall'ufficio del Demonio, e non dobbiamo farci sentire e vedere da Annabelle e l'altra infermiera che è con lei. Stanno presidiando la porta dell'ufficio, e non sappiamo come farle andare via da lì.

«Che facciamo?» Borbotta Ginevra.

Giovanni si guarda intorno, cercando di farsi venire qualche idea, e lo stesso faccio anche io.

Un'idea mi balena in testa, così mi avvio verso Annabelle, nonostante i miei amici mi stiano dicendo parole poco carine dietro.

«Mia, che ci fai qui a quest'ora?» Chiede Annabelle appena mi vede.

Metto subito in atto il mio piano, portandomi una mano sulla pancia, e fingendo di sentirmi male. «Credo che mi abbia fatto male qualcosa che ho mangiato a cena.» bofonchio. «Potresti darmi qualcosa per calmare il dolore?»

Annuisce immediatamente. «Certo! Vieni con me.»

L'altra infermiera mi osserva curiosa, però non ci segue, e questo è un problema. È una donna molto giovane, il suo viso è luminoso, nonostante gli occhi siano contornati da occhiaie scure.

Mi accascio contro il muro, fingendo di non riuscire a camminare per il dolore. «P-potresti aiutarmi?» Biascico, sperando che cada nel mio tranello.

«Oh, sì.» Risponde prontamente, posando il braccio intorno ai miei fianchi, e prima di dirigerci verso il bancone dei medicinali, faccio un cenno con la mano ai miei amici per avvertirli di muoversi.

Quando arriviamo Annabelle è già lì, e mi avvicina una pasticca ed un bicchiere d'acqua.

«Grazie.» sussurro, prendendo la pasticca in mano. Faccio finta di ingurgitarla, nascondendola in realtà nella tasca della felpa, e bevo un sorso d'acqua.

«Passerà in fretta.» Mi rassicura, prima di fare un cenno con il capo all'altra infermiera. Stanno per tornare all'ufficio, cazzo.

«Deve... deve essere noioso lavorare qui dentro!» Esclamo, bloccando i loro passi. «Soprattutto fino a quest'ora della notte.»

«Hai ragione, però aiutare persone in difficoltà è quello che ho sempre voluto fare. Nonostante sia dura, e molti non vogliano essere aiutati.» ammette Annabelle, e molto di quelle parole sembrano riferirsi a me.

«Dormite qui?» Chiedo curiosa, cercando di perdere tempo.

«Sì, abbiamo delle stanze al primo piano.» risponde la giovane infermiera, e anche lei sembra una brava persona, come Annabelle.

Un tonfo sordo ci fa voltare tutte e tre verso il corridoio che porta all'ufficio del Demonio, ed io inizio a sudare freddo. Che cavolo stanno combinando?

Le due donne camminano velocemente verso la loro meta, ed io non riesco a fermarle. Le seguo a ruota, sperando che i miei amici siano andati via.

La porta dell'ufficio è chiusa, così Annabelle la apre immediatamente. Sto pregando mentalmente che siano riusciti ad uscire.

È vuoto. Ce l'hanno fatta.

«Sarà stato qualche paziente a fare rumore in stanza.» Provo a dire, abbozzando un sorrisetto.

«Sicuramente. C'è sempre casino di notte qui.» sbuffa Annabelle. «È ora di dormire anche per noi. Buonanotte Mia.»

«Buonanotte.» Rispondo, correndo immediatamente verso la mia stanza. Almeno finché non vengo trascinata per una braccio in un corridoio secondario.

Sono già pronta a prendere a pugni chiunque voglia farmi del male, quando mi ritrovo davanti Damiano, e la sua espressione non promette nulla di buono. Anche il resto del gruppo è qui.

«Ce l'avete fatta?» Chiedo, per spezzare il silenzio.

Giovanni mi mostra la bottiglia, sorridendo come un ebete. «Sei pazza, Mia, fattelo dire.»

«Volevo divertirmi anche io stasera.» Ridacchio.

«Dovevi fare l'attrice.» ammette Marzia, ridendo. «Ci sono cascate in pieno!»

«È stato impagabile.» Ginevra cerca di trattenere una risata.

«Scusami per aver fatto rumore.» biascica Flavio. «Ho fatto cadere la spillatrice del Demonio.»

«Non ci credo.» scoppio a ridere, passandomi una mano sul viso.

«Andiamo, ragazzi!» Esclama Giovanni, euforico.

Arriviamo alla serra in pochissimo tempo, per quanto siamo felici di passare questa serata assieme. Prima di mettere piede all'interno, vengo trascinata da Damiano leggermente in disparte, e dalla sua espressione sembra parecchio furioso.

«Sei stata fottutamente incosciente, Mia.» ringhia Damiano, fissandomi torvo.

«Non è successo nulla.» Sbotto. «Sai che Annabelle ci tiene a me. Mi avrebbe aiutata a qualunque costo.»

Scuote il capo, rassegnato. «La prossima volta non fare una cazzata simile.» continua imperterrito. «Se scoprono che abbiamo rubato la bottiglia, sei la prima a cui daranno la colpa.»

«Non importa.»

«Mia, inizia a pensare anche alle conseguenze delle tue azioni. Potrebbero cacciarti da qui, e tu cadresti nel tunnel della droga il giorno stesso in cui sarai fuori. Non sei ancora pronta per il mondo vero, ti rendi conto di questo?»

Le sue parole mi bruciano addosso, e fanno male. Gli occhi si riempiono di lacrime, mentre realizzo che Damiano non ha fiducia in me, e in quello che sto facendo. Capisco di non essere ancora pronta ad uscire da qui, ma non commetterei di nuovo un errore del genere. La droga la voglio fuori dalla mia vita, e lui lo sa. Soltanto che non ci crede.

Il suo sguardo si addolcisce appena. «Cazzo, scusa Mia.» biascica, passando una mano fra i capelli. «È che... che mi sono preoccupato, ma avrei solo dovuto fidarmi di te. Scusami.»

La sua mano si posa sulla mia guancia, e con il pollice asciuga una lacrima solitaria sfuggita al mio controllo.

«So di non essere pronta ad uscire, ma ci sto provando, ok?» sussurro, con la voce che è un fascio di nervi. «Se tu credi che non possa farcela, ti sbagli, perché io uscirò da qui a qualunque costo. E sarò una persona nuova, migliore di quella che ero e che sono ora.» sorrido appena. «Ammetto di aver agito senza pensarci troppo, e ammetto di non aver pensato alle conseguenze, ma è andato tutto bene. Non mi succederà niente, stai tranquillo.»

«Io non credo che tu possa farcela, perché sono sicuro che ce la farai, Mia. Semplicemente non voglio che tu esca da qui senza essere pronta al cento percento. Io...» si blocca all'improvviso, scosso sicuramente da un ricordo.

«Tu?»

«Io sono passato da un clinica all'altra per un periodo. Mi ribellavo ad ogni persona che provasse a fare qualcosa per me, per aiutarmi, ed ogni volta che uscivo da queste cliniche mi buttavo a capofitto nella droga. Stavo praticamente perdendo tempo, ma soprattutto stavo perdendo me stesso.» ammette, mentre il dolore occupa il suo volto. «Non voglio che succeda anche a te.»

Mi avvicino a lui, e lo stringo in un abbraccio, mentre le sue parole mi ronzano in testa. E penso a quanto abbia sofferto, a quanto sia stato male. E i suoi genitori dov'erano? Dice di non avere nessuno, ma cosa significa?

«Non succederà. L'hai detto tu, che da qui dobbiamo uscire assieme.» mi limito a rispondere. Non glielo chiedo dov'è la sua famiglia, non gli chiedo niente. Quando vorrà dirmelo, lo farà.

«Venite ad ubriacarvi, stronzi!» grida Giovanni, già ubriaco, facendomi trasalire dai miei pensieri.

Ci separiamo dall'abbraccio, e ci avviciniamo alla serra a passi lenti. E l'unica cosa che voglio fare ora è staccare la spina, non pensare a niente, e liberare la testa dai pensieri dolorosi.

Non provate a salvarmiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora