40. TUTTO PASSA

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DAMIANO

La osservo da una settimana. Osservo ogni suo gesto, ogni suo spostamento, ogni cosa. Come un pazzo, un pazzo innamorato che si è ritrovato da un giorno all'altro a perdere lei, l'unica persona alla quale si sia realmente affezionato in tutta la sua insulsa vita.

Ha lasciato la clinica, così senza neanche pensarci troppo, come se i momenti passati lì dentro per lei non valessero niente. Per me, invece, sono tutto. E ci resto incollato più che posso, perché i ricordi sono l'unica cosa che mi sia rimasta di Mia.

Ci siamo persi in un attimo, in un secondo velocissimo, che quasi non sono riuscito ad accorgermene. Ma come avrei potuto capirlo? Come avrei potuto anche solo immaginare che l'avrei persa così velocemente?

Non sono mai riuscito a rivolgerle una parola in questa settimana che l'ho osservata. Un giorno è passata alla clinica, uno soltanto. Ed ha salutato tutti tranne me, come se davvero non valessi nulla, neanche l'attimo di un saluto.

Il resto dei giorni li ha passati con suo fratello, ed io li ho passati nascosto tra le mura dell'ospedale, con la voglia di avvicinarmi a lei e stringerla a me per consolarla almeno un po', e la voglia di baciarla fino a smettere di respirare. Invece sono rimasto a guardare, come fanno le persone che hanno paura delle reazioni degli altri, di un altro rifiuto, sono rimasto ad osservarla. Ho sperato che in uno di quei giorni mi guardasse un attimo, di sfuggita, e capisse che senza di me non ci può stare, non ci può vivere, ma non è successo.

Non ci siamo parlati mai, non ci siamo guardati negli occhi mai, non ci siamo baciati mai.

Ci siamo persi e basta, come si perde un matita a scuola e poi non la si trova più. E probabilmente Mia ed io non ci ritroveremo più, perché è questo quello che il destino ha deciso per noi. Ha deciso che farci restare separati fosse la cosa migliore, ed io non ho il coraggio di andare contro il destino, anche se non ci ho mai creduto.

Mi ero convinto di questi miei pensieri, mi ero convinto che lasciarla andare fosse la cosa giusta, mi ero convinto che la sua vita sarebbe stata migliore senza di me. Mi ero convinto davvero, però poi ho scoperto che oggi staccano la spina a Luca. Ho scoperto che se riesce a respirare da solo tornerà a vivere, ma se non ci riesce è finita. E con lui finirà anche la vita di Mia, perché la conosco. Perché lo so che senza suo fratello lei ci muore.

Io, però, non posso permettere che le succeda qualcos'altro. Non lo posso permettere.

Per questo oggi le starò vicino, con o senza la sua approvazione, non mi importa. Le starò vicino e basta. Quello che succederà domani non mi importa, mi importa di vivere oggi e di viverlo bene, al suo fianco.

Attraverso le porte in vetro dell'ospedale, salgo sull'ascensore ed il viaggio per i piani mi sembra infinito, tanto da farmi impazzire. Arrivo al piano in cui si trova la stanza di Luca che ormai conosco a memoria, e attraverso il corridoio bianco, lentamente, perdendomi ad osservare le porte delle stanze che mi passano accanto, scomparendo man mano che muovo i passi.

Quando appare davanti ai miei occhi, sussulto leggermente, come se quella porta potesse risucchiarmi ed uccidermi.

La vedo subito attraverso il vetro della porta, rannicchiata sul letto di suo fratello, con le lacrime agli occhi. Mi si spezza il cuore solo a guardarla, e non posso aspettare un minuto di più; devo toccarla, abbracciarla, stringerla.

Busso leggermente, attirando subito la sua attenzione, si pulisce le lacrime con i palmi delle mani e poi alza lo sguardo. I suoi occhi incontrano subito i miei e la sento l'elettricità attraversarmi, la sento la sua mancanza attraversarmi la pelle che si cosparge di brividi, la sento ovunque Mia, e mi è bastato un suo guardo, un piccolo stupido sguardo.

Si alza dal letto e mi raggiunge fuori, chiudendosi la porta alle spalle. È dimagrita, più di prima, e mi fa male vederla così, perché lo so quanto sta soffrendo.

«Ehi» sussurro, talmente piano che non sembra neanche la mia voce.

«Che ci fai qui, Damiano?» incrocia le braccia al petto, come infastidita dalla mia presenza, ma lo so che non è così. Lo so che sta fingendo, lo so che ha sentito quello che ho sentito io quando ci siamo guardati.

«Hai bisogno di me come io ho bisogno di te, e puoi respingermi quanto vuoi, ma non me ne andrò. Non ti lascerò vivere questo momento da sola, non te lo lascerò fare. Puoi fingere che non ti importi più niente di me, puoi fingere che stai bene senza vedermi e che puoi riuscire a sopportare questa situazione da sola, ma sai anche tu che non è così. Ti conosco Mia, lo so che stai crollando, che ti spezzando ancora una volta e so anche che non puoi permetterti di crollare ancora. Sei appena uscita dal buco nero in cui eri caduta, non puoi tornarci proprio ora! Ti posso aiutare, possiamo superare tutto questo assieme, lo abbiamo già fatto una volta.» sussulta alle mie parole, come se l'avessero appena colpita al cuore. «Mi è bastato un mese per conoscere ogni tua sfaccettatura, ti conosco anche meglio di te stessa. Non me ne andrò e non ti lascerò toccare di nuovo il fondo.»

«Mi merito tutto quello che sto passando, me lo merito. Ed è vero che sto crollando, lo sto facendo ancora, perché è l'unica cosa che so fare meglio!» quasi grida, fra le lacrime, che hanno iniziano a colarle lungo le guance. «Devi lasciarmi andare, devi vivere la tua vita senza di me. Lo sto facendo per te, lo capisci? Ti sto salvando da un vita infelice, da un vita piena di odio, sofferenza e dolore. Ti sto salvando come tu hai salvato me in quella clinica.»

La sua voce è spezzata, sofferente, e le sue parole sono bugie, cazzate che si è creata in quella testa incasinata. Parole che le sembrano reali, ma sono soltanto bugie.

«Sei tu che non capisci! In quella clinica non sono stato io a salvarti, ci siamo salvati tutti e due, ed è successo perché ci siamo amati, ci siamo aiutati, e ci siamo sempre rimasti accanto nei momenti belli e in quelli brutti. Ed ora è uguale, è la stessa cosa, soltanto che non siamo più chiusi lì dentro, adesso la vita è quella vera. E fa male, tanto, troppo, ma tutto passa.»

Scuote il capo, come se non le volesse sentire quelle parole, come se le facessero troppo male.

«Non passa niente, non passa mai. È ancora tutto qui e fa male.» scivola a terra, contro il muro, mentre i singhiozzi la scuotono completamente. Così piccola e così piena di dolore.

Mi inginocchio davanti a lei e la stringo forte a me, contro il mio petto nonostante cerchi di lamentarsi, di allontanarmi, di spingermi via con quelle mani troppo piccole.

«Anche tu mi fai male, mi fa male starti vicino.» mormora con la voce ovattata.

«Perché dici così, Mia? Io voglio soltanto amarti come meriti!»

«Sono io che non merito di essere amata così, non me lo merito. E non merito te, non posso obbligarti a vivere con una come me.»

Le sue lacrime mi bagnano la maglietta, e ormai non si allontana più. Mi stringe il busto le mani, ed io le accarezzo i capelli morbidi.

«Sono io a decidere chi amare, ed io amo te. Voglio te, voglio tutto di te, ogni cosa. E voglio restarti accanto sempre.» sussurro, afferrando il suo viso fra i palmi. «Ora basta Mia, smettiamola di farci male. Ti prego.»

Lei mi guarda con quegli occhi chiari, fino a farmi male. E poi annuisce, lo fa davvero, tanto che quasi non riesco a crederci. Mi sembra quasi surreale che stia davvero succedendo, mi sembra surreale che finalmente abbia capito che non me ne importa niente di tutto quella che si porta dietro, perché io la voglio sempre nel bene e nel male.

«La smetto. Ti amo.»

Quando poso le labbra sulle sue mi sembra di essere tornato di nuovo a casa mia, di essere tornato a vivere, a respirare. Il cuore batte forte, mentre le nostre labbra si muovono assieme. Asciugo le sue lacrime con le dita, e quella è una promessa. Quelle lacrime sul suo viso non le voglio più vedere perché non se le merita, non si merita niente di tutto questo, ma si merita il mio amore. Quello sì.

Non provate a salvarmiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora