3. IL DOTTOR DEMONIO

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MIA

Annabelle mi scorta, con la sua solita grazia, verso l'ufficio del Dottor Demonio. Dopo il giro turistico fatto con Marzia, l'infermiera è apparsa davanti ai nostri occhi, e mi ha rivelato la bellissima notizia.

Dopo aver attraversato mezza clinica, giungiamo davanti alla porta del dottore, e vorrei soltanto fare retromarcia e fuggire da qui.
So già che non andrà bene, non andrà bene per niente.

La donna apre la porta, senza neanche bussare, e con un gesto della mano mi invita ad entrare al suo interno. Con mia grande sorpresa noto che è vuoto.

«Il Dottore arriverà a momenti.» Afferma. «Siediti sul lettino intanto.»

Annuisco leggermente ed eseguo i suoi ordini, anche se sedermi su quel coso è l'ultima cosa che vorrei fare.

La squilibrata mi rivolge un piccolo sorriso, e fugge dalla stanza in un attimo, lasciandomi sola con un senso di timore ad annidarsi sotto la pelle. Non è paura, è soltanto l'ostinato odio che provo per i medici, ed il timore che potrei dire qualcosa di dannatamente inappropriato. Quasi sicuramente lo farò, mi conosco.

Mi soffermo ad osservare l'ufficio, ed è perfettamente ordinato, tutto è al proprio posto, niente in disordine. Non c'è nemmeno una foto, un ritratto, nulla. Magari questo dottore non ha neanche una famiglia.

Il mio sguardo vaga a vuoto, finché non incontra quello di un ragazzo, fuori dalla finestra. I capelli scuri ricadono leggeri sulla fronte, e ed i tatuaggi gli conferiscono l'aria di cattivo ragazzo. Sbuffo sonoramente quando mi rivolge un sorrisetto sghembo, che fa soltanto saltare i miei nervi già stanchi.

Continua a fissarmi imperterrito, ed io odio essere fissata. Mi alzo dal lettino coperto di carta bianca, e mi avvicino lentamente alla finestra, con un piccolo sorriso sulle labbra. Quando raggiungo il mio obiettivo, il mio dito si alza da solo, senza che possa controllarlo, e manda a quel paese il ragazzo. Così, chiudo anche le tende. Odio essere fissata.

Qualche secondo dopo fa il suo ingresso in stanza il cosiddetto Dottor Demonio, nel suo completo sicuramente firmato, ed un camice bianco sopra di esso.

Mi rivolge un'occhiataccia, e mi osserva con un'espressione schifata dipinta sul volto, come se fossi uno scarafaggio orribile.

«Si sieda sul lettino.» Sputa acido.

Cerco di trattenere le mia lingua, mordendola, e mi siedo su quello stupido lettino, mentre lui si posiziona dietro la scrivania ed afferra un fascicolo, sicuramente contenente i miei dati.

«Posso darle del tu? Oh, certo che posso!» Chiede retoricamente. «Mia Martino...»

«Sono io.» Borbotto, stringendo la carta bianca del lettino fra le mani.

«Sei spiritosa, vedo.» Ridacchia. «Da quanto tempo fai uso di droghe?» Chiede senza peli sulla lingua.

«Non c'è scritto nel suo fascicolo?» Sbotto, senza riuscire a contenermi.

«Sfortunatamente no, ma sicuramente potrai illuminarmi.»

«Tre anni, e come vede non sono ancora morta.»

«Nel fascicolo leggo che ci è mancato molto poco, e avresti raggiunto i tuoi genitori nell'aldilà.»

Strappo la carta con forza, mentre mi alzo dal lettino e mi avvicino alla scrivania, con la rabbia che scorre nelle vene.

«Non provi a parlare dei miei genitori!» Quasi grido, e sbatto il pugno sul legno pregiato della scrivania.

«Cos'è tutta questa rabbia?» Chiede, ridendo. «Non ho detto nulla sui tuoi genitori, soltanto che li avresti raggiunti, o forse saresti finita all'inferno insieme ai tuoi amici tossici.»

«Ci andrà lei all'inferno, non io!» Sbraito, prima di uscire da quell'ufficio, sbattendomi la porta alle spalle. Le sue risate le sento fino a qui.

Corro per tutta la clinica, perdendomi una decina di volte, e dopo una manciata di minuti riesco a raggiungere l'esterno, il giardino. L'aria fresca mi investe in pieno, permettendomi di riprendere a respirare, anche se è difficile.

Il respiro si spezza, e quasi non riesco a controllarmi. Mi siedo a terra cercando di riacquistare un minimo di lucidità, ma il dolore è troppo grande, mi sta risucchiando come un vortice senza fine. Il corpo trema, le voci, i suoni ed i rumori arrivano ovattati alle mie orecchie, ed in questo momento mi servirebbe soltanto una dose. Una sola. Per respirare ancora, per rialzarmi, perché io così non ci riesco a sopravvivere. Il dolore che mi porto dietro è molto peggio della dipendenza da droga, il dolore che mi porto dentro mi ammazza in un attimo.

«Ehi...»

Una voce mi risveglia leggermente dal mio stato, ed una mano si posa leggera sulla mia spalla, cercando di consolarmi.

Mi volto leggermente, con il corpo che neanche risponde ai miei stimoli, e il viso preoccupato di Marzia appare nitido ai miei occhi.

«Stai bene?» Chiede, con la voce che tradisce la sua preoccupazione. «Ti ho sentita gridare dall'ufficio del Demonio, e poi ti ho vista correre via. Ho cercato di raggiungerti subito, ma sei troppo veloce.»

Annuisco leggermente, cercando di rassicurarla. «Ho... ho solo bisogno di una dose.» Biascico a fatica.

«Il Demonio non ti prescritto le dosi di metadone da assumere?»

«Non ha fatto in tempo.» Sbuffo. «Me ne sono andata prima che potesse farlo.»

«Oh, te la farà pagare.» Sussurra preoccupata.

«Non ho paura di quel dottore da due soldi.»

L'espressione di Marzia è preoccupata, triste, spaventata, e sta facendo preoccupare anche me così. Cosa potrebbe farmi quell'essere?

«Devi tornare nel suo ufficio e chiedergli scusa, altrimenti...»

La parole le muoiono in gola, così la incoraggio a parlare con un cenno del capo.

«Fallo e basta. Ti prego, Mia.»

«E va bene, lo farò.» Accetto, nonostante sia l'ultima cosa che vorrei fare. «Prima, però, mi porti dal Re della Droga, ho bisogno di una dose.»

Il suo volto si fa ancora più preoccupato dopo la mia rivelazione, ma annuisce, mentre mi aiuta ad alzarmi da terra.

«Andiamo.»

SPAZIO AUTRICE 🍭

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