12. COSA STO FACENDO?

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MIA

Il giorno seguente mi sento meglio, e grazie al metadone riesco ad avere un po' di pace. Mi sono alzata dal letto, ho mangiato, e sono riuscita a lavarmi da sola. Ciò significa che per ora non ho bisogno di una badante.

I corridoi la mattina presto sono vuoti, non c'è nessuno, soltanto Annabelle che mi sorride cordiale. Ieri mi ha portato la cena, e non mi aspettavo che un'infermiera potesse essermi un po' simpatica, invece si è rivelato così. Annabelle è una brava persona, e non so come ci sia finita in questo posto orribile. Non ha nulla a che fare con quel mostro del Dottor Demonio.

Cammino lentamente, fra l'odore di muffa della clinica, senza una direzione ben precisa. Oggi è una di quelle giornate in cui mi sento bene, ma non bene per davvero. Mi sento ok, ciò vuol dire che oggi non desidero un'altra vita, mi basta la mia.

Un chioma riccia esce da una delle tante porta, e inizia a camminare nella direzione opposta alla mia.
E' Alex.

Non so nemmeno cosa sto facendo, finché non sento le mie dita toccare della pelle che non appartiene a me.

Gli occhi di Alex si fissano nei miei, e mi scrutano silenziosi, in attesa di parole che non vogliono uscire dalle mie labbra serrate.

«Ehi» mi limito a dire, mentre Alex si libera dalla mia presa come se scottassi, ed incrocia le braccia al petto.

«Mia»

«Come stai?» Chiedo, schiaffeggiandomi mentalmente per la domanda idiota che gli ho posto.

«Mia, cosa devi dirmi?» Dalla voce sembra furioso. «Ho delle cose da fare.»

Qui dentro ha delle cose da fare?

«Senti, so che può sembrare una cazzata, ma non ti ho dato buca per volere mio.»

«E per cosa mi avresti dato buca?» Continua imperterrito.

«Sono... sono stata poco bene.» Ammetto, passando una mano tra i capelli.

La sua espressione si intenerisce appena. «Potevi avvertirvi... ti avrei aiutata.»

«Non preoccuparti, ci ha pensato...» Mi blocco prima di pronunciare il suo nome, come se mi spaventasse, se mi bruciasse la gola e mi impedisse di farlo uscire fuori. «Marzia.» mento.

Annuisce leggermente. «Passa la serata con me, oggi.»

I suoi occhi mi bruciano addosso, in attesa, e non posso far altro che accettare. Forse se la merita un'occasione, forse me la merito anche io, forse posso essere normale.

«Ci sto.»

Le sue labbra si increspano in un sorriso, prima di posarsi leggere sulla mia guancia. Dopo questo gesto, se ne va, senza dire una parola.

Strano. E' stato strano, troppo.

Scuoto il capo per riprendermi, e continuo la mia camminata. Nella testa, immagini della sera passata, mi riempiono la pelle di brividi. Sono ricordi vividi, che non possono sparire. Le parole di Damiano sono incise nella mente come tatuaggi indelebili, e lo so che lui ha passato qualcosa di tremendamente brutto, tanto quanto me. La curiosità mi avvolge completamente, ma io non sono una che chiede le cose. Io aspetto, finché l'altra persona non si fida di me, finché non è pronta a rivelarmi tutto.

Quello che ho con Damiano è qualcosa di veramente simile all'amicizia, qualcosa che nella mia vita non ho mai avuto, qualcosa di nuovo.

E' qualcosa che ti fa sentire la paura la perderla.

*

Arrivo alla serra con venti minuti di ritardo, e con Marzia che mi sgrida da quando siamo uscite dalla stanza. Avevo quasi deciso di non presentarmi, di sparire ancora, ma la mia compagna di stanza mi ha obbligata ad andare. Secondo lei ho bisogno di uno come Alex, e non di uno come Damiano. Il problema è che nemmeno io so di cosa ho bisogno.

Appena giungiamo lì, tutti gli occhi sono fissi su di noi, tutti tranne quelli di Damiano, che mi sta palesemente evitando.

«Stavamo appunto parlando di te Mia, eri scomparsa.» Rivela Giovanni.

«Scusate, ho passato due giorni d'inferno.» Sbuffo.

Prendo posto accanto ad Alex, in un di quelle sedie malconce di plastica bianca.

«Sì, Marzia ci ha raccontato tutto.» Scuote il capo Ginevra.

«Tutto cosa?» Si intromette Damiano, con la voce che gli trema appena, e con gli occhi che continuano a non incontrare mai i miei.

«Nulla di speciale, soltanto della rota, di come ti ha aiutata, e di come, per fortuna, è riuscita a recuperare del metadone per te.» Ammette Flavio, mentre mille domande affollano la mia testa.

Perché Marzia ha mentito?
Perché si è presa meriti che non aveva?

Mi volto verso Damiano, che stringe i manici della sedia talmente forte, che le nocche sono diventate bianche per lo sforzo.

«Non so come avrei fatto senza di lei.» Mento, soltanto per attirare un briciolo di attenzione da parte di quel ragazzo dai capelli neri.

Riesco nel mio intento, tanto che si volta furioso verso di me, attirando gli sguardi curiosi dei nostri amici.

Si avvicina lentamente al mio orecchio, provocando una scarica di brividi lungo il mio corpo, e sussurra: «A che gioco stai giocando?»

Sorrido alle sue parole. «A nessuno, Damiano.» Soffio, talmente piano che probabilmente neanche lui è riuscito a sentirmi.

Mi alzo dalla sedia lentamente, mentre gli sguardi dei nostri amici sono passati da curiosi a confusi. Rivolgo un ultimo sguardo a Damiano, che mi osserva con un ghigno, per poi rivolgermi ad Alex.

«Andiamo?»

Alex annuisce svogliatamente, fulminando Damiano con i suoi occhi scuri, e mi raggiunge afferrando la mia mano. Il suo gesto mi confonde, e sicuramente è dettato da una sorta di gelosia nei confronti del ragazzo dai capelli neri.

Ci allontaniamo da lì, con lo sguardo di Damiano che mi brucia addosso, e l'espressione di Alex che non promette nulla di buono.

Ed io non so cosa sto facendo, non so cosa voglio.

Giungiamo in un posto appartato della clinica, pieno di piante ed erbacce.

Gli occhi di Alex mi fissano con una strana luce, ed io quella luce la conosco fin troppo bene.

Ho avuto a che fare con parecchi ragazzi nella mia vita, e la maggior parte di loro voleva una cosa sola da me, ed è la stessa che desidera Alex.

Le sue mani si posano sulle mie spalle, mentre fa aderire la mia schiena al muro rovinato della clinica.

«So che lo vuoi anche tu.» Sussurra al mio orecchio, facendomi quasi vomitare per lo schifo.

«Alex, non...»

Non mi lascia terminare che le sue labbra si posano avide sulle mie, togliendomi il respiro.

Ed in quell'istante l'ho capito.
L'ho capito che Alex è come tutti quegli stronzi che ho conosciuto nella mia vita, ed io sono stanca dei tipi come lui. Sono stanca di essere trattata come un oggetto.

Lo allontano con uno spintone, tanto forte che lo fa indietreggiare di molto.

Nei suoi occhi ci leggo rabbia, la rabbia per il rifiuto ricevuto, e non gli va giù.

«Sei solo una stupida ragazzina.» Mi grida in faccia, prima di andarsene a mani vuote.

Scivolo a terra, con le ginocchia che non riescono più a tenere il mio peso, e poso le testa su di esse.

Resto in quella posizione per un tempo che sembra infinito, con le lacrime che colano sulle mie guance.

E penso soltanto ai miei genitori, a cosa pensano di me, se vedono lo schifo che sono diventata, se lo vedono che non riesco più a vivere da quando non ci sono più.

Piango, piango nel buio, da sola come lo sono sempre stata.

Finché un profumo famigliare non mi invade le narici, e il calore di un corpo, che non è il mio, mi stringe.

«Che ti ha fatto?» La sua voce è un fascio di nervi. «Io lo ammazzo, Mia. Ti giuro che lo ammazzo.»

Non provate a salvarmiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora