25. Sì, mi va proprio di mangiare - aspetta, un amaebi-sashi-cosa?

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(SPOILERRRRRRR perdonatemi)


Capitolo 25
Sì, mi va proprio di mangiare – aspetta, un amaebi-sashi-cosa?











           

Adua decise di non demordere, quindi gli scrisse un altro messaggio.

"Ti posso raggiungere, davvero. Non preoccuparti."

La risposta del ragazzo non tardò ad arrivare; e per quanto testardo, caparbio e cocciuto potesse essere quel ragazzo, Adua non riuscì a non sorridere.

"Adua, lo sai che con me non funziona. Sono già partito, a tra poco."

La ragazza lanciò il cellulare sul letto, che rimbalzò al sicuro sulle morbide coperte, e si mise le mani nei capelli come a impedire alla testa di girare vorticosamente. Il cuore le batteva a mille, e quasi le bloccava le normali funzioni cognitive; dopo qualche minuto abbondante passato a fissare il vuoto con un sorriso stampato in faccia, scosse la testa e si guardò rapidamente intorno nella sua camera, decisa a darsi una mossa.

Paulo l'aveva invitata – appena tre ore e quarantatré minuti prima – a cena quella sera, e, sebbene la parola non fosse volata tra di loro, tutto gridava a chiare lettere "appuntamento". Quindi tre ore e quaranta minuti prima – tre minuti esatti dopo la telefonata con Paulo – aveva chiamato Vanessa, troppo su di giri per non parlarne con qualcuno, e dopo aver ridacchiato come ragazzine per una decina di minuti buoni avevano deciso cosa la ragazza avrebbe indossato per quella cena-ma-nessuno-ha-parlato-di-appuntamento.

Con cura minuziosa aveva scelto un vestito chiaro, completamente accollato, ma che richiamava con le sue foglie verdi l'estate che stava per arrivare, e un paio di sandali alti da cui sperava vivamente di non inciampare. Di solito non era così impedita con i tacchi, ma era anche vero che con Paulo nei paraggi non controllava minimamente i tremori del suo corpo e una storta era sempre in agguato.

Dopo un'ultima controllatina allo specchio passò in soggiorno per salutare i suoi. «Ceno fuori. Buona serata.»

La madre la osservò attentamente mentre lei ripose il cellulare nella borsa e poi si scostò un ricciolo dal viso. «Come sei bella, stasera. Hai per caso un appuntamento?» la prese in giro, sapendo di imbarazzarla a morte.

Il campanello la salvò in calcio d'angolo. «Vado io. Ciao!»

Paulo era lontano dallo scalino dell'ingresso, un paio di passi dietro – come se avesse bussato al campanello e poi si fosse allontanato – bellissimo e statuario nella sua camicia nera e il jeans stretto, le mani nelle tasche. I suoi occhi brillavano.

«Ciao.» Un sorriso ampio si formò sul suo volto.

«Ciao.» Erano palesemente in imbarazzo entrambi, e la cosa fece ridacchiare Adua; si chiuse la porta alle spalle con un colpo secco.

Questo sembrò riportare Paulo alla realtà. «Allora, uhm, andiamo.» Fece segno verso la macchina, e si avviarono in silenzio.

All'interno dello stretto abitacolo della macchina l'aria sembrava elettrica, e i due si scambiarono delle occhiate infuocate che servirono solo a tenere Adua ancora più sulle spine. Non sapeva perché si stesse comportando così, quasi come se il suo corpo percepisse qualcosa di diverso in quella sera. Decise di interrompere il silenzio. «Dove mi porti?»

Paulo dovette schiarirsi la gola prima di parlare, ma questo non impedì alla sua voce di uscire più roca del solito. «Ti piace il giapponese?»

«Mai provato.»

The Mask | Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora