La principessa e il pranzo di "famiglia"

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La principessa e il pranzo di "famiglia"

Voglio morire.

Non una morte rapida e indolore, dove mi addormenterò con tranquillità per poi non risvegliarmi mai più.

Voglio che un ninja assassino venuto dal Giappone si intrufoli di nascosto sotto il  mio letto e mi uccida mentre sto per coricarmi squartando tutto il mio stomaco con i suoi shuriken e lasciandomi lì, a morire dissanguata, in ore e ore di lenta e crudele agonia.

Perché in fondo è così che mi sento, sia fisicamente che psicologicamente, con l'unica differenza che non sarò salvata dalla morte, ma tormentata per il resto dei miei giorni con il ricordo di quello che l'alcool mi ha portata a dire e a fare la scorsa notte.

Qualcuno mi uccida.

Mi va bene anche nei modi più bizzarri, tipo facendomi inghiottire sessanta banane di seguito in un'ora per farmi morire di overdose di potassio o annegandomi in una vasca piena di gassosa. Mi va bene, dico davvero, basta che qualcuno ponga fine alla mia vita.

Tipo subito.

Tipo in questo preciso istante.

Okay, Sophia, calma. Resta calma e ragiona attentamente.

Non è andata poi così male.

Chiudo lentamente gli occhi, travolta da questo mal di testa terribile che mi sta trapanando il cervello da quando mi sono svegliata stamattina nel mio appartamento, sdraiata sul mio letto, e affondo la faccia nel cuscino.

Mi sono ubriacata, e okay, ci sta, in fondo chi non si è mai ubriacato nel corso della sua vita e ha detto cose imbarazzanti mentre era brillo?

Voglio dire, sarà capitato a tutti di fare discorsi imbarazzanti sul proprio passato, no?

Un momento, che discorsi imbarazzanti ho fatto io? 

C'entrava qualcosa con le tette, ne sono piuttosto sicura. 

Tette?

Perché mi dovrei esser messa a parlare di tette? In fondo le mie sono normali. Okay, non sono particolarmente grandi, ma non sono nemmeno due bottoncini, quindi non vedo perché... «Papillon, dai, smettila!» Allontano il muso del mio cane che sta annusando vivacemente i miei capelli puzzolenti e lo guardo irritata. «Sto cercando di ricordare quello che...»

Oddio.

Papillon inclina la testa, perplesso, i suoi occhioni giganti risplendono mentre il mio viso si dipinge di bianco al ricordo del neologismo che ho inventato grazie all'assistenza dell'alcool. 

Tettassinio.

TETTASSINIO?

Un urlo acuto fuoriesce dalla mia gola prima che riesca a trattenerlo, spaventando Papillon, che balza sul letto e inizia a latrare sopra il materasso, alla ricerca di potenziali serial killer pronti a sbranarci. 

Spero che Ted Bundy sbuchi fuori dal mio armadio e tiri fuori un pugnale con cui mi sgozzerà la carotide, perché questo sarebbe davvero l'unico modo per rimediare al peccato di aver inventato un neologismo con i sostantivi "tette" e "assassinio".

Oddio.

Cos'è questa cosa? Senso di colpa? Vergogna? Imbarazzo?

Ah, no.

Puro e semplice desiderio di morte.

Effettivamente potrebbe starci, in fondo sarebbe anche una cosa particolarmente romantica. Riesco a immaginare già i titoli dei giornali di cronaca nera: SOPHIA KING SI BUTTA DAL BALCONE PER RICONGIUNGERSI AL FIDANZATO MORTO UNA VOLTA PER TUTTE. 

Mai più CenerentolaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora