Flashback #3

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Tornato a casa, con la scusa di non sentirsi bene, stette a letto rannicchiato in un caldo groviglio di coperte per un giorno intero.

E per quello successivo.

E per quello dopo ancora.

Era passata una settimana e ancora Jimin non ne voleva sapere di uscire di casa, assolutamente terrorizzato all'idea di rivedere coloro che, in passato, aveva persino osato definire amici. Sapeva perfettamente che fossero stati loro, anche se ancora di prove non ne aveva, e continuava a tormentarsi incessantemente, alla ricerca di un semplice anche piccolo perché, rappresentato ahimè tristemente dalla semplice necessità di fare del male.

Jimin lasciò che le lacrime salate bagnassero le lenzuola del suo letto, pregando che, insieme ad esse, scorresse via tutta la fiducia nel prossimo che gli era rimasta, fino all'ultima goccia. D'altronde era l'illusione che l'aveva ferito, e smettere di sperare nella bontà d'animo altrui pareva essere l'ultima spiaggia.

Dopo aver pianto per giorni si sentiva svuotato e privato persino dell'anima, che aveva preferito volare altrove piuttosto che sopportare tanta ingiustizia gratuita.

Era questa l'unica parola con la quale Jimin riusciva ad identificare l'assurda e tragica situazione in cui si trovava; ingiustizia. Era semplicemente vittima della pura ignoranza umana, incapace di comprendere le diversità e annoiata a tal punto da provare gioia nella sofferenza altrui, specialmente di coloro che possedevano tutto ciò che di invidiabile poteva esserci.

Incredibilmente, però, malgrado avesse davvero creduto che quel tunnel di dolore non potesse avere uno sbocco in superficie, si decise a tornare a scuola, scosso dall'ultima spinta di speranza, intenzionato a ricominciare scegliendo correttamente le persone di cui circondarsi e ignorando gli invidiosi.

Purtroppo però, il destino raramente ha delle prospettive rosee e Jimin si ritrovò di nuovo in balia della crudeltà del mondo, con le mani legate dietro la schiena e mille parole non dette strette tra le labbra.

*******

Prese un profondo sospiro e varcò la soglia di quella scuola per la prima volta dopo una settimana. Sapeva che non avrebbe potuto in ogni caso fingere una malattia troppo a lungo ed era deciso a voler fronteggiare coloro che avevano cercato di distruggerlo senza successo, dimostrando che non avrebbe mollato, che avrebbe combattuto in nome della sua voglia di vivere.

Era innanzitutto grato del fatto che i suoi genitori non avessero scoperto niente, poiché aveva bisogno di qualcuno che lo supportasse senza bisogno di chiarimenti di nessun tipo. Non avrebbe saputo come confortarli, essendo il primo che necessitava di una scusa per pensare positivo.

Era certo però che i suoi lo avrebbero accettato, infondo il rapporto con la sua famiglia era tutto ciò che di solido gli era rimasto e non poteva far altro se non sperare ciecamente in quello.

A scuola fortunatamente, passata una settimana, la situazione si era stabilizzata e lo scandalo che aveva coinvolto Jimin, principale argomento di conversazione per i giorni subito seguenti all'accaduto, stava perdendo man mano importanza. O almeno questo valeva per la maggior parte degli studenti, i quali, nonostante conoscessero soltanto di vista il ragazzo, si erano dilettati a sparlare di lui, trasportati dalla situazione, ma non avevano preso a cuore la questione. Jimin perciò non si curava molto di loro, convinto che la loro attenzione si sarebbe presto spostata sulla "rivelazione scottante" successiva.

Ciò che lo terrorizzava erano i suoi amici. Trovava rivoltante persino continuar a chiamarli in quel modo ma non aveva idea di come riferirsi a loro. Bugiardi? Stronzi? Crudeli? Tutti appellativi decisamente riduttivi.

Suicide Hotline || YoonMinDove le storie prendono vita. Scoprilo ora