Il momento della verità

123 7 3
                                    

"Aria, toglimi subito queste manette di dosso."
"Cole, mi dispiace, ma questo era l'unico modo per convincerti."
"Convincermi a fare cosa?!"
"A parlare. A raccontarmi tutto. Io ci ho provato, a chiederti qualcosa senza essere invadente, ma tu sei così odiosamente misterioso. Non fraintendermi, amo il fatto che tu sia misterioso, ma sei stato troppo evasivo. Misterioso ed evasivo non è invece una bella combinazione."
"E tu sei così testarda... anch'io amo questo di te, ma..." - si guarda la mano ammanettata - "...insomma, dove le hai prese queste manette?"
"Non è importante... anzi, facciamo così, ora tu mi racconti ciò che successe 7 anni fa e io ti dico l'indirizzo del negozio."
"Molto divertente. No."
"Okay, provo a riformulare... fino a che non mi spiegherai tutto, le manette rimarranno esattamente dove sono."
Tiro fuori la chiavetta rosa shocking da sotto il cuscino e gliela faccio vedere.
Sbuffa, per poi soffiare verso sù per spostare il ciuffo biondo che gli è finito sugli occhi mentre si dimenava.
"E va bene. Dimmi cosa sai."
"So della Marxs. Mi sono ricordata di quando, da piccoli, mentre eravamo distesi sul campo di girasoli, era passato un'aereo dell'agenzia, e tu e Dylan mi avevate detto che vostro padre era lì dentro. E che 'acchiappava le talpe.'" - il suo sguardo si incupisce di colpo quando nomino suo fratello - "Allora non lo capivo, e probabilmente neanche voi, ma ora si.
Sono andata a fondo della questione, ho indagato."
"Tu hai cosa?!"
"Ho indagato. E non mi puoi incolpare per questo. Il bisogno di sapere è umano Cole, e tu non mi davi risposte."
"No, hai ragione... solo... non vorrei qualcuno scoprisse..."
"Non preoccuparti. Sono stata attenta."
"Okay. Continua pure..."
"Come dicevo, ora ho capito che questa agenzia segreta lavora con la Nasa, e che si occupa dell' imprigionare appunto le talpe, i geni informatici che si fanno assumere per poi rubare dati o cose simili."
"E immagino che io non sia ammanettato ad un letto per rispondere a qualche domanda su un'agenzia segreta..."
"Proprio così."
"Cosa vuoi sapere, Aria?"
Il suo sguardo è serio, l'espressione di chi ha sofferto davvero e che ora, per la prima volta, sta considerando la possibilità di dirlo a qualcuno.
"Ho scavato tra le cartelle della polizia, trovando quella della scomparsa di te e tuo fratello: il caso Sprouse. Non ho scoperto nulla in più rispetto a quello che ricordavo dal telegiornale andato in onda subito dopo il fatto che avevo visto da piccola, a parte i nomi dei tuoi genitori e la catalogazione del caso.
Risulta essere stato risolto, ma con asterisco. Significa non completamente.
E, tu sei qui, per fortuna, quindi sei stato trovato, mentre... insomma, so che l'asterisco è tuo fratello. Quello che voglio sapere è come siete scomparsi, e perché tu sei tornato senza..."
"Senza Dylan..."
I suoi occhi diventano lucidi, il suo viso ancora più cupo di prima. Sbatte qualche volta le palpebre per non farlo notare, ma con la luce della luna che arriva dalla finestra, è impossibile non vedere i suoi bellissimi occhi che la riflettono.
Odio vederlo così.
Non posso fargli questo, penso a malincuore.
"Non importa, non serve in fondo che io sappia queste cose..."
"Si, serve. Mi dispiace, odio quando mi succede... a volte i sentimenti prendono il sopravvento. Voglio condividere con te ciò che sono, perché sei la cosa più bella che ho.
Mi rendi felice, e quando sono con te, per un momento lo dimentico, il passato. Lo dico perché devi sapere di cosa di tratta, tutta la sofferenza della mia vita che solo tu riesci a placare."
"Cole..."
Gli sorrido dolcemente.
"...grazie."
"Come già sai mio padre è uno dei capi dell'agenzia, e questo comporta parecchi rischi. Le talpe non sono solo geni dell'informatica ma anche dei criminali. La Marx è una prigione sicura e altamente controllata ma non da cui sia impossibile uscire: raramente, ma è successo in passato. Le poche talpe che sono riuscite a evadere sono ora a piede libero, e l'unica cosa che vogliono è vendetta: la Marx li ha scoperti, imprigionati, e privati di tutto. Non hanno più una famiglia, un lavoro, una casa..."
"E in che modo si vendicano?"
"Colpendo ciò che li ha colpiti: coloro che dirigono tutto, i capi dell'agenzia."
"Quindi tuo padre..."
"Però, rapire o uccidere un membro di un'organizzazione segreta come la Marx è difficile, se non impossibile. Mio padre porta sempre con sé una pistola o comunque è sempre accompagnato da gente addestrata militarmente."
"E per questo puntano ai loro legami stretti..."
"Proprio così. Nel caso della mia famiglia hanno pedinato me e Dylan, memorizzando gli orari in cui eravamo da soli.
E una mattina, mentre camminavamo verso scuola, due uomini vestiti in nero e che indossavano delle maschere ci hanno fatto salire con la forza su un furgone verde."
Tiene gli occhi bassi, massacrandosi le mani con le unghie. Gliele prendo.
"Va tutto bene. Sono qui."
"Sai, ricordo tutto così vividamente... a volte questo mi spaventa, sembra quasi ieri. E da un lato mi sento come se lo fosse. Nulla è davvero cambiato da allora. Se non l'essere tornato e l'aver incontrato te."
Alza gli occhi, e vedo che sono ancora lucidi.
Gli stringo le mani.
"Comunque, ci hanno rapiti. Ci tenevano in una stanza buia, una cantina parecchio sotto terra di un casinò fallito."
"E dove era collocato questo posto? Geograficamente intendo."
"Nel Nevada, a Reno, una cittadina vicino al fiume Tahoe. La chiamano la gemella povera di Las Vegas. In effetti sembra proprio una piccola Las Vegas, peccato che sia invasa da criminali, povertà e giri di droga. Il posto perfetto per persone come le talpe, che devono nascondersi: dall'altra parte del paese, in una piccola città piena zeppa di altri malviventi tra cui confondersi."
"Come hanno fatto a nascondervi?"
"In posti come quelli, non è difficile. Si dice un po' in giro che il casinò abbandonato è territorio occupato, e gli spacciatori se ne trovano un altro. Potresti tenere gente morta o ostaggi come nel nostro caso, e a loro non importerebbe. Sai, c'è una certa lealtà tra criminali..."
"Quindi vi tenevano lì... come?"
"Eravamo chiusi dentro a chiave. Quando le talpe se ne andavano ci ammanettavano, per sicurezza."
"Cosa facevano quando erano lì? Vi maltrattavano?"
"Si. Ci prendevano a calci, frustavano con le cinture... i colpi non hanno mai creato danni gravi, ma un tale dolore non si dimentica facilmente..."
Incrociamo gli occhi, e per la prima volta lo capisco: quel silenzio doloroso, lo sguardo ferito nel profondo... per la prima volta ne capisco il vero motivo.
Non l'ego, non il carattere difficile.
Semplicemente reale e pura sofferenza, fisica e psicologica.

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: May 07, 2018 ⏰

Aggiungi questa storia alla tua Biblioteca per ricevere una notifica quando verrà pubblicata la prossima parte!

♡ ☾ I love you to the moon and backDove le storie prendono vita. Scoprilo ora