Capitolo 1 - Falsa

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La luce fioca di una mattina d'Ottobre scivola dentro la mia camera, posandosi sul pavimento di legno.

È abbastanza forte da farmi aprire completamente gli occhi e farmi mettere a sedere, anche se, in realtà, ho passato la notte in bianco. È da un po' di tempo che faccio fatica a dormire, perché tutto è cambiato in poco tempo.

Mi alzo dal letto con malavoglia e mi dirigo verso la scrivania a passi pesanti, per far capire a mia mamma che sono sveglia.

Prendo i libri delle materie che dovrò fare oggi a scuola e li metto nella borsa di pelle nera.

Una volta finito, faccio per alzarmi ma urto il libro della mia saga preferita: "Twilight".

Stringo il volume tra le mani, decorate da uno smalto nero.

Quel libro mi ha fatta annegare nelle fantasie più profonde, volare tra quelle più irraggiungibili.

Ma poi ho scoperto che erano tutte balle, o almeno, la maggior parte.

Non esiste l'amore eterno.

Poso il libro con delicatezza sulla scrivania e lascio la sedia per avvicinarmi al fascio di luce. Tendo lentamente la mano ma, quando sono quasi sul punto di toccarlo, la ritraggo. Tanto lo so che non potrò più provare quel sollievo e sensazione di calore alla luce del sole.

Mi vesto: infilo una canottiera grigia scura e sopra una felpa bordeaux, scivolo dentro a dei leggings neri e mi metto degli stivali, alti poco più della caviglia, neri anche quelli.

Mi guardo allo specchio e rimango inorridita dalla mia immagine: ho delle occhiaie scure appena sotto i miei occhi e un viso pallido, contornato dai capelli neri arruffati.

Mi avvio velocemente in bagno per sistemarmi e non sembrare uno zombie. Correttore, fard, eye-liner, mascara, rossetto rosso e una spazzolata ai miei lunghi capelli.

Il trucco è un po' pesante, ma è necessario.

Acchiappo la borsa e gli occhiali da sole al volo, mentre varco la soglia della mia camera per scendere giù in cucina e far finta di fare colazione con mia madre.

Scendendo giù per le scale, guardo le foto che occupano le pareti: ce ne sono molte che raffigurano mamma e papà e mia madre dice continuamente di volerle togliere. Lo dice perché hanno divorziato da poco più di un mese, ma penso che, in realtà, non ne abbia il coraggio.

Mio fratello, Mattia, si è trasferito poco dopo il loro divorzio, non ne so il motivo specifico.

Che culo, almeno lui lo può fare: andarsene e non tornare, o tornare solo se gli va.

Infilo gli occhiali nella tasca della borsa, prima di fare capolino in cucina.

La vedo che fa avanti e indietro mentre apparecchia la tavola.

-Buongiorno, tesoro- mi rivolge un sorriso stanco.

-'Giorno- rispondo con tono piatto.

Mi siedo di peso sulla sedia e poso le mani sulle mie gambe.

-Che ti va di mangiare?-

Alzo lo sguardo verso di lei.

-Ci sono biscotti, cereali anche quelle merendine che ti piacciono tanto...- no, sbagliato: mi piacevano.

Riabbasso lo sguardo e fisso le mie mani. Sono pallide, magre.

-O c'è anche un po' di latte se ti va- la sua voce si è fatta più sottile.

Lo sa che la mattina sono di cattivo umore e non mi va tanto di parlare, ma questa volta è diverso.

Tengo ancora lo sguardo fisso sulle mie mani, che giacciono inerti sul gambe. Anch'esse più sottili.

Sono dimagrita nell'ultima settimana, me l'aspettavo.

Mi ritornano alla mente dei ricordi, frammentati, ma ancora vivi nella memoria.

La colazione con tutta la famiglia e poi il tragitto da casa a scuola insieme a mio fratello.

La risata di mio padre al telefono, quando gli dico che mi fermo fuori con Josh.

Josh che mi dice che sono splendida, che mi ama.

Tutte cazzate.

Stringo i pugni e la voce di mia madre mi riporta alla realtà.

-Erica, va tutto bene?- chiede cercando il mio sguardo.

-Eh? Oh, si tutto ok. Scusa, lo sai come sono di prima mattina- faccio un sorriso un po' forzato.

-Credo che prenderò solo un po' di latte freddo- dico infine.

Mia mamma si alza con un movimento veloce e delicato dalla sedia e apre il frigorifero per estrarne il cartone del latte. Le avvicino la tazza con la mano e lei sussulta:

-Erica, che cos'hai? Hai le mani gelate. Ti senti bene?- chiede preoccupata.

-Certo, sto benissimo- rispondo io mantenendo il sorriso di prima.

Versa il liquido bianco nella mia tazza blu, poi me la porge, notando qualcos'altro:

-Come mai quello smalto nero?- è incuriosita ma c'è una punta di preoccupazione nella sua voce.

Mi guardo le mani, in modo distratto e aggiungo:

-Oh, non so. Va di moda e volevo provarlo- eccolo lì: un altro sorriso falso.

Il secondo in una mattinata, il milionesimo in quest'ultimo mese.

-Ah, va bene- sembra sollevata.

-E con Josh, come va? È un po' che non lo nomini- il suo tono è innocente, ma quella domanda mi scatena una rabbia improvvisa.

-Va a meraviglia- rispondo seccata prendendo la tazza e provando a ingoiare un po' di latte.

Poi la riposo e, in modo più dolce, aggiungo:

-Dico davvero, mamma, è tutto ok-.

Faccio finta d'ingurgitare il latte rimasto e mi alzo di scatto per uscire di casa.

Mentre raccolgo la borsa e infilo gli occhiali saluto mia mamma.

Lei ricambia e io sbatto la porta di casa alle mie spalle. Rimango un'attimo all'ombra del pianerottolo per infilare le cuffie nelle orecchie e mettermi il cappuccio.

Inizio la mia solita passeggiata verso scuola a passo svelto.

Perché mi stava facendo tutte quelle domande?

Cos'era, un interrogatorio?

Che poi, passi la domanda su quello che voglio mangiare, passi la domanda sulle mani gelate e se mi sento bene, passi la domanda sullo smalto, ma Josh non doveva nominarlo.

Non voglio più vederlo.

Voglio eliminare dalla mia vita il ragazzo inglese dai capelli notturni e gli occhi chiari come il ghiaccio, per sempre.

Sono talmente assorta nei miei pensieri, che non mi accorgo di Isabella che mi sta salutando, a lei dico che è perché avevo la musica nelle orecchie.

Mi avvicino e le faccio un cenno con la testa, perché ho le mani in tasca.

Lei è totalmente diversa da me: ha i capelli biondi mossi corti fino alle spalle, un sorriso contagioso e dei vivi occhi verdi. Mentre io ho dei capelli neri, lunghi quasi fino ai fianchi, la carnagione pallida e gli occhi grigi. Ma non quel grigio che "cambia colore" a seconda della luce e diventa azzurro o verde, no: grigi nel vero senso della parola. Inespressivi.

-Ehy, Cari, ma che stai diventando una sottospecie di dark?- mi chiede Isabella con aria divertita.

Adoro quando mi chiama "Cari", è stata lei a inventare quel soprannome e da quel momento mi ha sempre caratterizzata.

-Cosa?- faccio la finta tonta.

-Si, insomma, guardati- fa un cenno con la mano per farmi notare i miei vestiti sui toni scuri.

Faccio per rispondere, ma vengo preceduta da una voce profonda e bellissima che proviene da dietro di me.

-No, non esattamente-

Alzo gli occhi al cielo, senza voltarmi.

Chi EroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora