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Mercoledì ventidue ottobre mi alzai di buon mattino, feci una doccia e il mio secondo pensiero, il primo eri sempre e soltanto tu, fu per il mio angelo biondo al quale mandai una serie di sms concatenati:

"Stamattina ho scoperto che il detto "avere il sangue freddo" non significa non avere paura ma avere il sangue che, per il timore, ti gela il corpo. Arriverò all'Università dopo le nove. Non so lei come reagirà, se sarà sola, se vorrà rimanerci e non vorrei che questo ti creasse problemi, non vorrei cioè che qualora lei mi dicesse "ok, parliamo fino alle 14" tu ti sentissi a disagio, e io per te. Capiscimi tu potresti essere il mio canotto di salvataggio se andassi alla deriva, ma se poi lei accettasse di parlarmi che faccio?"

Lei è un angelo, ed è per questo che con la sua solita tranquillità mi rispose

"Io vengo per le undici, quando finisce le lezioni, sto un po' insieme a te e vediamo come evolve la situazione, non preoccuparti, sarò lì con te finché avrai bisogno di me".

Come per magia le ore si trasformarono in minuti e, come programmato, mi ritrovai in facoltà poco prima delle 9.10. Controllai l'orario delle lezioni: era appena iniziata chimica e sarebbe durata due ore. Con un po' di fortuna avrei potuto approcciarti se il Professore vi avesse concesso il quarto d'ora accademico tra le due ore ma non avevo la certezza che lo facesse. Ricordo che i minuti, nell'attesa di poterti vedere, si trasformarono in ore. Mi si ghiacciano le mani solo a ricordarlo.

Alle 10.02 si aprì la porta della tua aula e vidi alcuni ragazzi uscire e con loro il professore: doveva essere iniziata a pausa caffè. Decisi di entrare. Dopo una veloce occhiata mi accorsi che tutti gli studenti erano ancora seduti con le spalle alle porte e che tu eri in prima fila, nel primo posto esterno, sulla sinistra. Mi avvicinai con il cuore in gola. Mi tremavano le mani. La tensione mi portò a chiederti con un filo di voce:

«Posso parlarti?»

«Cosa fai qui? Sei impazzito?!? Vattene subito e non farti più vedere» mi rispondesti con un tono stizzito per poi voltarti verso i tuoi compagni.

Non era iniziata nel migliore dei modi, ma non ero lì per farmi trattare così. Feci ricorso a tutto il mio savoir-faire e continuai:

«Vorrei solo parlarti per qualche minuto, magari quando sono finite le lezioni. Non vorrai mica costringermi a seguire le lezioni?» ti chiesi in modo provocatorio.

«Fai quello che vuoi a me non importa se tu segui le lezioni, segui pure tutte le lezioni che vuoi. Non ho la minima intenzione di parlare con te» aggiungesti sprezzante.

Ci sarà stato un centinaio di persone in quell'aula. Ricordo che sentendoti così distante ritenetti di non insistere oltre: mi andai a sedere in un posto nell'ultima fila il più lontano possibile da te. Non volevo disturbarti né in alcun modo imbarazzarti. Non volevo neanche però restare fuori aspettando chissà cosa e, in fondo, un'ora di chimica poteva risultare interessante.

Fu un'ora divertente: ricordo gli schizzi alla lavagna e se non sbaglio la lezione riguardò elettroni e idrogeno passando poi a parlare di elementi che si staccavano da un atomo per attaccarsi a qualcos'altro. La cosa più incredibile fu il docente. Ne ho visti pochi in gamba come lui. Oratore appassionato della sua materia non si fermò mai durante l'intera lezione: camminando tra i banchi tentò a più riprese di interagire con gli studenti i quali naturalmente ogni volta che lo videro avvicinarsi abbassarono gli occhi sul quaderno o li spostarono sulla lavagna pur di non incrociare il suo sguardo interrogatorio.

È stato bello tornare all'università. Come in un film ancor oggi mi rivedo seduto su quel banchetto: fui l'unico a non prendere appunti, l'unico che cercava di capire cosa il Professore volesse. Quando si avvicinò a me lo guardai negli occhi più volte, azzardando di tanto in tanto qualche risposta; non ci crederai ma un paio di volte diedi quella giusta.

Indefinitamente tuo (frammenti di un amore)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora