3 Capitolo

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E così andiamo avanti, barche contro la corrente, incessantemente trascinati verso il passato.
                    Francis Scott

Pov Kath

"Charlotte..." mi guardo attorno con il cuore in gola; il salone è deserto e a parte il consueto ticchettio dell'orologio non odo altro.
"Charlotte..." riprovo a chiamarla senza ricevere alcuna risposta.
La casa sembra giacere in uno stato di abbandono: le luci sono accese e le portafinestre aperte, nonostante sia pieno inverno.
C'è odore di fumo e spazzatura, probabilmente causato dal cibo andato a male.
Avanzo all'interno cercando di fare meno rumore possibile.
La prima cosa che salta all'occhio sono i residui della festa precedente: abbandonate qua e là ci sono casse di birra, bottiglie di liquore semivuote, rimasugli di cibo, cicche di sigarette.
Il cuore mi batte fortissimo e sto gelando.
Stringo le braccia al petto e inizio ad avvicinarmi alle rampe.

"Charlotte..." non riesco ad alzare il tono della voce. La mia paura più grande è che Bill sia in casa e mi senta.
I gradini di legno scricchiolano al mio passaggio.
Quando raggiungo il piano superiore rimango impietrita per svariati secondi.
La camera di Charlotte è posta a sinistra del corridoio e devo percorrerlo tutto per raggiungerla.
La porta è aperta e dall'interno sento provenire una sinfonia.
Mi muovo a rallentatore cercando di far meno rumore possibile.
Uno... due... tre passi... inizio a contare.
So che ce ne vogliono undici per raggiungere la sua stanza.
Da piccola li contavo sempre.
Sulla soglia della sua stanza mi blocco, fatico a respirare e comincio a tremare.
Flash della mia infanzia e adolescenza mi baluginano davanti agli occhi. Sono ricordi per lo più dolorosi, che mi fanno accapponare la pelle, ricordi che mi fanno sentire sporca, profondamente sbagliata.
Mi costringo a entrare. La testa mi gira e un senso di nausea mi fa attorcigliare le budella.
Poggio una mano sulla pancia dolente.
La stanza è in disordine, il letto completamente coperto da vestiti e uno strato di polvere ricopre il mobilio.
Spengo lo stereo staccando direttamente la spina.
Mi sento a disagio a starmene qui. Porto le braccia al petto e cerco di prendere dei respiri profondi.
Senza il suono dello stereo va meglio.
Charlotte lo accendeva a qualsiasi ora del giorno e della notte.
Per terra ci sono i frammenti di quello che doveva essere uno specchio, i libri sono gettati alla rinfusa, la carta da parati color senape in parte strappata.
Vivere con Charlotte è distruttivo, mi fa sentire perennemente debole e indifesa.

"Mi chiedevo quando saresti tornata," la voce rauca di Bill mi fa accapponare la pelle.
Mi giro a rallentatore e in contemporanea indietreggio ancora all'interno della stanza appiattendomi contro la parete centrale.
Bill ricopre completamente l'entrata con la sua stazza e dalla posizione assunta non credo voglia spostarsi.
Ha un aspetto terribile. I capelli si sono allungati sulle tempie, il fisico meno asciutto, la barba incolta.
I suoi occhi scuri mi fissano in modo terrificante.
"Mi hai denunciato, " dice rabbioso poggiando entrambe le mani sugli stupiti della porta "La polizia è venuta a prelevarmi."
Anche da questa distanza riesco a sentire il profumo di colonia scadente e la puzza di alcol.
Inizia ad avvicinarsi e io comincio a respirare in modo sempre più affannoso.
Adesso è a pochi centimetri da me.
La sua mano scivola sul mio viso fermandosi a un centimetro dalla mia bocca.
Anche il suo corpo si protende completamente verso il mio.
Mi viene da vomitare e mi gira la testa.
In genere questo è l'effetto che qualsiasi uomo ha su di me, ma Bill in modo ancora più profondo.
"Bentornata..." sussurra lascivo.

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