Pastorale Americana

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“Nessuno attraversa la vita senza restare segnato in qualche modo dal rimpianto, dal dolore, dalla confusione e dalla perdita.
Anche a quelli che da piccoli hanno avuto tutto toccherà, prima o poi, la loro quota d’infelicità;
se non, certe volte, una quota maggiore.”


Philip Roth è comparso nella mia vita all’età di quattordici anni circa, mentre spulciavo qualcosa da leggere nella libreria di mio padre, sotto forma di  “Pastorale Americana”.
Il titolo mi aveva incuriosita e dunque come sempre facevo, dato che si trattava di qualcosa che non mi apparteneva, chiesi a mio padre il permesso di leggerlo.
La risposta la ricordo ancora oggi, impressa nella mente in modo indelebile, perché mi lasciò di sasso: “ se riesci a capirne il significato il libro è tuo”.
Una sfida.
Mi piaceva.
Accettai entusiasta.
Ovviamente ero troppo giovane allora per cogliere appieno le intense sfumature che si nascondevano tra quelle righe, non avevo la maturità giusta per affrontarle e dunque non senza rammarico, qualche giorno dopo, il libro ritornò al legittimo proprietario.

Ora che di anni ne ho qualcuno in più, se avessi ancora la possibilità di sedermi di fronte a mio padre, probabilmente la conversazione si svolgerebbe su un piano completamente diverso.
“Allora?”
Sorrido.

Pastorale Americana è un libro sull’amore e sull’odio per l’America, sul desiderio di appartenere a un sogno e sull’ipocrisia celata dietro a quel sogno stesso.
Spesso Philip Roth nei suoi libri ha descritto il bisogno negativo dell’uomo di distruggere, contrastare e fare a pezzi ciò che lo circonda, ma mai in modo così forte come in questo suo incredibile capolavoro.
All’inizio degli anni Settanta, nell’America del Vietnam e dello scandalo Watergate, la vita di Seymor Levov, da sempre soprannominato Lo Svedese, è apparentemente perfetta: campione sportivo d’eccellenza, imprenditore di successo, marito fedele e devoto, padre esemplare. Un uomo quasi mitizzato Lo Svedese, talmente irreprensibile da sembrare… finto.
Dietro a quella facciata però cosa si nasconde davvero? Quale tragedia lo unisce all’amatissima figlia Merry? Lei che da bambina delicata e intelligente si trasformerà in un’adolescente intollerante e insofferente con il solo obbiettivo di “portare la guerra in casa”. Logorata da un’insoddisfazione interiore e mossa dall’odio, ci riuscirà, altroché, con un gesto disperato e crudelmente sanguinoso.
Dietro Merry, ci viene mostrata tutta l’irrequietezza della generazione dei giovani che travolse l’America con tutta una serie di atti terroristici, alla fine degli anni Sessanta, quando cioè imperversava la guerra del Vietnam.
Ma Pastorale Americana non è solo questo, non è solo un romanzo a sfondo politico, è qualcosa di più, in cui i personaggi vengono utilizzati per definire il contesto storico e gli avvenimenti che lo caratterizzano.
La psicologia viene esplorata profondamente, in modo così preciso da risultare a tratti quasi insopportabile. Forse perché dietro le loro paure ogni lettore può intravedere le proprie e questo non sempre risulta facile da digerire.
O da sopportare.
Perché nulla è astratto nel romanzo, tutto è terribilmente concreto e reale.
Philip Roth ti travolge, con una trama incalzante e frenetica, che ti afferra e ti lascia per poi riprenderti fino all’epilogo. La sua è una scrittura meticolosa, intensa, graffiante ma mai eccessiva, piena di dettagli che non si risparmia mai.

“Rimane il fatto che, in ogni modo, capire bene la gente non è vivere.
Vivere è capirla male, capirla male e male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male.
Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando.
Forse la cosa migliore sarebbe dimenticarsi di aver ragione o torto sulla gente e godersi semplicemente la gita. Ma se ci riuscite… Beh, siete fortunati”

Assolutamente da leggere.

Shhh… lo sentite anche voi?
Il libro è mio adesso.

Un abbraccio.

Kate
^^


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