L'Arminuta

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“Ero l’Arminuta, la ritornata.
Parlavo un’altra lingua e non sapevo più a chi appartenere.”

Qualche giorno prima di avventurarmi tra le pagine di questo libro, mi è capitato sotto gli occhi il commento devastante di una lettrice su internet.
Le uniche parole che ricordo di tutto quello che aveva scritto, mi sono piombate addosso come un macigno sullo stomaco:

“Avete presente quando arrivate alla fine di un libro e non vi rimane assolutamente niente?”

Una sentenza.
Una condanna a morte, senza possibilità di appello.
Eppure a me questo libro aveva colpito fin dal primo sguardo, con quella copertina bianca, pulita, semplice che incorniciava un volto pieno di efelidi e lividi profondi e che vagamente mi riportava alla memoria quello della Murgia, “Accabadora”, che, inutile dirlo, avevo amato con tutta me stessa.
Ho comunque deciso di metterlo in lista.
Il richiamo della sirena c’era.
Forte e deciso come una soffiata di vento maestrale.
Smanioso di raccontarmi la sua storia.
E poi quegli occhi di carbone grezzo che tanto mi appartengono fin dentro l’anima!
Quegli occhi, mi parlavano di cose antiche, quasi dimenticate,  quindi sapevo che non avrei potuto ignorarle per molto tempo ancora.
In più le parole di un’altra ragazza, conosciuta per caso, in un posto bizzarro quasi quanto l’ombelico del mondo, hanno fatto il resto.

Ho letto L’Arminuta in meno di ventiquattro ore.
Ogni parola mi si è conficcata dentro come se fossi precipitata rovinosamente su un tappeto di aghi appuntiti.
E mi ha fatto male.
Presa e trascinata quasi per i capelli, sbalzata indietro nel tempo, in mezzo ai racconti di mio padre, della sua infanzia, di quando la vita girava intorno a un tavolo di legno scuro, dove il cibo era poco e si doveva sgomitare per avere un pezzo di pane secco.
Mio padre… l’ho rivisto tra queste pagine. Con quell’accenno di finta severità nella voce. Inchiodandomi sul posto. Ma io non mi sarei comunque mossa.

Lei è l’Arminuta.
La ritornata.
La restituita.
O semplicemente l’abbandonata.
Dopo tredici anni vissuti insieme a due persone che considerava i suoi genitori, tra gli agi e le comodità della vita di città, viene rispedita in paese, come un pacco postale, alla sua famiglia di origine, povera e affamata fino alle ossa, dalla sua vera madre, quella che l’ha partorita.
Non allevata o cresciuta. Solo messa al mondo.
Senza un perché, senza un per come o per quanto.
Senza capire di preciso se e  che cosa avesse fatto di sbagliato.
Tutto il suo mondo vacilla.
Tutte le certezze crollano per riformarsi nuove e più concrete nell’intrecciarsi alle vite che da quel momento faranno parte della sua, per sempre.

Il tema della maternità è il perno di tutto il romanzo.
Ma totalmente privo della dolcezza caratteristica che è nell’immaginario comune.
Non ci sono baci, né carezze o abbracci di conforto.
Né lacrime che vengono asciugate.
Nessun gesto d’amore.
Mai.
Tranne che per un'unica volta.
Di una ruvidezza quasi inconcepibile per me, ma che ai miei occhi è apparsa come la più intensa e toccante di tutte, nella parte finale.
Le figure di queste due madri girano intorno a lei, silenziose come satelliti, sono complesse  brutali e delicate al tempo stesso. Pagina dopo pagina si manifestano e caratterizzano davanti ai nostri occhi, mostrandoci le loro debolezze, le fragilità.
Gli errori. A volte terribili e ingiustificabili.
Le scelte fatte di pancia.
Le spalle voltate per non guardarsi più indietro.
Non saprei sceglierne nessuna. Forse.

Poi tra le righe di questa scrittura così asciutta, spigolosa, quasi scarna che richiama ai dialetti abruzzesi, si intravedono gli occhi affamati d’amore di Adriana, la sorella più piccola dell’Arminuta, quelli orgogliosi di Vincenzo e inconsapevoli di Giuseppe, altri due fratelli e anche quelli attenti e ostinati, della professoressa Perilli.
Tutto si illumina.
D’improvviso.
Perché l’amore, dopotutto,  arriva in mille forme diverse.
Attraverso lo sguardo di chi sa guardarci davvero dentro l’anima.
E non è niente.
Perdonatemi.
È tutto.

“È rimasto alcuni minuti lì dietro,
non avvertivo nessun movimento.
Poi si è accostato alla mia sedia,
mi ha baciato la fronte dopo averla liberata dai capelli.
È sparito senza dire nient’altro”

Da leggere.
Tutto d’un fiato.
Come un sorso d’acqua che si intravede nel deserto.

Un abbraccio❤

Kate
^^

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