CHAPTER ONE

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CALUM'S POV


Il mio migliore amico era un canguro. Un peluche di canguro marroncino, di grandezza normale, con grandi occhi e una sacca davanti.

Ormai avevo 18 anni e il mio migliore ed unico amico continuava ad essere un canguro.

Non amavo stare con le persone, forse perché non sapevo cosa si provasse ad affrontare una conversazione, forse perché non potevo affrontarla.

Erano anni che non aprivo bocca, circa dodici, credo.


flashback


Successe mentre ero in camera con mia sorella a cantare per l'ennesima volta la canzoncina della mia prima recita scolastica, che sarebbe stata il giorno successivo; la mamma cucinava le frittelle come le avevo chiesto, ma all'improvviso qualcosa esplose facendo un gran rumore. Elisa aprì la porta ma entrò del fumo e c'era una grande fiamma nel corridoio. Volevo fare qualcosa perché sapevo che avrei dovuto ma, con Kang al petto, mi stesi lì sul letto ad aspettare che la mamma venisse a darmi il bacio della buonanotte.

Non arrivò il suo bacio, ma solo delle forti braccia che mi stringevano e mi portavano fuori casa, dicendo che andava tutto bene. Per tutto il tempo strinsi Kang a me.


fine flashback


Ormai avevo 18 anni e non ero mai stato ad una recita scolastica.

Andavo a scuola, i prof conoscevano la mia situazione, Elisa e mio padre gliene avevano parlato.

Era l'anno del trasloco, questo non migliorava la situazione, per niente. Ci saremmo trasferiti a Sidney, lontano da Melbourne e lontano dalla mamma..

Aggiornai il mio blog prima di partire; non ci speravo sul fatto che qualcuno leggesse quella roba ma semplicemente scrivevo per "parlare", per mettere nero su bianco ciò che pensavo e non farlo stare nella mia mente.

《Calum, prendi i tuoi scatoloni e li porti di sopra, in camera tua?》disse mio padre, che non sperava più in una risposta, solo in fatti.

Presi i due scatoloni, lo zainetto e mi diressi in camera. Era una mansarda: pareti bianche, in alto degli infissi in legno e una piccola finestra da dove faceva capolino la casa accanto, simile alla nostra, solo che era gialla, mentre la nostra bianca.

Questo paesino era vicino l'autostrada che portava dritta all'ospedale dove mio padre sarebbe stato il primario di chirurgia.

Sistemai camera, misi i vestiti nell'armadio, rifeci il letto e mi misi comodo su quest'ultimo a leggere un libro che avevo comprato in un auto-grill. Quel libro sembrava davvero interessante, infatti era fatto apposta per me: quella sera stessa lessi più della metà del libro, senza uscire nemmeno un'istante da camera mia.

Spesso si preoccupavano, soprattutto Beth, che potessi essere caduto silenziosamente, o magari fossi scappato; certe volte non davo segni di vita da camera mia, stavo zitto e basta, ma avevo imparato che magari ad ogni ora era meglio mettere della musica per far capire a quei due che ero ancora vivo.

Mentre mi sistemavo il cuscino notai dalla casa accanto una camera colorata di un rosso spento, proprio di fronte camera mia. Dopo aver passato un'ora circa al mio blog, pensai fosse giunta l'ora di andare a dormire, ma qualcosa mi distrasse, qualcuno: nella camera rossa c'era un ragazzo. Era girato di spalle verso l'armadio mentre toglieva la maglia da calcio lasciando in mostra la pelle chiara, brillante per via del sudore; si girò senza far caso a me che ero lì a spiarlo e con un salto si gettò sul suo letto,mise gli occhiali e stette al computer, toccandosi di tanto in tanto i capelli biondi.

Improvvisamente guardò nella mia direzione: mi abbassai due secondi più tardi, incantato da quel viso angelico; mi addormentai stringendo forte Kang a me. Quella notte feci un sogno su di lui dormendo con un sorriso a fior di labbra, dopo tante notti passate tra incubi e pianti.

~

LUKE'S POV


Non c'era parecchio da dire su di me: quando provieni da una famiglia benestante l'idea già se la fanno di te. Le persone credono sempre che tu sia un figlio perfetto, genitori perfetti, vita perfetta, il sole ti sorride, i monti ti salutano e le caprette ti fanno ciao; alla fine l'unica cosa che conta è la famiglia e la mia era strana sicuramente, tutti un po' suonati ma non c'erano grossi problemi: i miei stavano insieme da ventitré anni, io e mia sorella ci volevamo abbastanza bene e il gatto aveva imparato a far pipì nella lettiera. Era in arrivo un altro fratellino/sorellina ed eravamo tutti presi dai festeggiamenti, tanto che non ci eravamo resi conto della ditta di traslochi fuori dalla casa accanto la nostra; i vecchi vicini erano due coniugi: un giorno lui se ne andò di punto in bianco in Italia perché non sopportava più sua moglie e le sue lagne, lei tornò dalla madre e la casa era vuota da almeno un anno.

Vidi i camion quando uscii per andare agli allenamenti di calcio, forse sarei tornato in tempo per conoscerli, ma non ne ero certo, forse non gli ero neppure simpatico...

Però, quando lo vidi osservarmi dalla finestra, ringraziai mentalmente i vecchi vicini per essere andati via: la vista di quel ragazzo mentre dormiva era decisamente migliore rispetto alle loro grida. Era davvero bellissimo, forse troppo per me.. Il giorno dopo gli avrei lasciato una sorpresa magari!

Mi aveva guardato, sapeva che lo avevo visto e giurerei di aver visto le sue guance arrossire: era adorabile. Poi mi chiesi "perché mi guarda?", mi chiedevo se gli fossi piaciuto o se avessi dato l'idea di uno strafottente che gira per casa senza maglia, che ha buchi sulla faccia e sulle orecchie e che è così suonato da avere la camera di un rosso così spento e scarico da imporre calore. Amavo quel colore, lo vidi per la prima volta come smalto, decisi di trovare quella stessa tonalità di rosso e dipinsi tutta camera mia. Da camera sua era impossibile vedere la scritta in corsivo sul muro, a lato della finestra:

"God loves all his children"

Scritto in bianco, di lato qualche fiore che lasciava trasparire il rosso da sotto la pittura bianca.

I miei avevano accettato il fatto che fossi gay. In verità sono stati loro a dirmi che lo sapevano quando, durante una cena non sapevo come confessarlo.

Mio padre sussurrò un "lo sappiamo" e mia madre mi strinse la mano. Mi accettavano.

A scuola era chiara la mia indole, ma la squadra non mi cacciò, "bastava facessi la doccia a casa" scherzavano i miei compagni di squadra. Ero il capitano e quell'anno non li avrei delusi, per nessuna ragione al mondo: avremo vinto sicuramente il campionato. Poi però lo vidi dormire e mi dissi che avrei avuto una distrazione durante il campionato. Una meravigliosa, angelica distrazione.

THE SOUND OF SILENCE || CAKE ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora