Prologo

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Barcollava, stanco, fradicio e disorientato, sulla spiaggia sconosciuta. Non sapeva nemmeno lui dove stava andando. Sapeva solo che aveva tanto, tanto freddo.

Camminò per un po', lentamente, trascinando i piedi scalzi e dolenti sulla sabbia, finché non iniziò a scorgere in lontananza un villaggio. Allora raddrizzò la schiena, si fece forza ed allungò il passo, rincuorato.

Giunse all'entrata del villaggio, ma non fece in tempo a mettervi piede che degli uomini grandi e grossi sbucarono da chissà dove e lo immobilizzarono.

- Chi sei? Da dove vieni? E cosa vuoi? - gli chiesero bruscamente, mentre gli legavano le braccia dietro la schiena. Egli non rispose, spaventato e confuso.

Lo spintonarono lungo la strada, e le persone nelle case si affacciavano dalle finestre a osservare la scena. Le case erano graziose, più grandi e solide della sua. Chissà cosa ne era stato della sua casetta.

Arrivò un ragazzo della sua età dai capelli biondi e i penetranti occhi verdi, che li fermò.

- Be'? - disse, squadrandolo da capo a piedi.

- Non vuole parlare!

- Forse non capisce la nostra lingua - azzardò uno degli uomini. Il ragazzo inarcò un sopracciglio.

- Non mi sembra una minaccia. È davvero conciato male. Sarà sotto shock; lasciatelo andare - ordinò, e gli uomini obbedirono. In cambio ricevette un'occhiata colma di gratitudine.

- Capisco la vostra lingua. Mi chiamo Mira - disse Mira con un filo di voce, dopo essersi strofinato le braccia. Riprese a tremare, ora solamente di freddo e non più anche di paura. - Non sono qui per causare problemi.

Il biondo sconosciuto gli fece cenno con la testa di proseguire.

- Una tempesta si è abbattuta sulla mia isola, spazzando via tutto - spiegò Mira, percependo la testa dolere al sol pensiero. - Non mi ricordo null'altro. Mi son risvegliato sulla spiaggia, e credetemi, vorrei davvero tornare a casa.

Il ragazzo annuì.

- È troppo tardi, al momento, per riportarti a casa - lo informò, aggiungendo tra sé: se una casa ancora esiste. - Ci penseremo domani. Sarai stanco, e stai tremando. Vieni con me. Puoi passare la notte a casa mia.

Poi ringraziò e congedò gli uomini e iniziò ad avviarsi.

- Mi chiamo Leif - si presentò, girandosi a guardarlo con quei suoi penetranti occhi verdi. - Scusa per la pessima accoglienza. È raro che capitino forestieri da queste parti.

- Non fa niente - mormorò Mira.

- Spero non ti abbiano trattato troppo male e che il resto della tua permanenza sia piacevole - proseguì Leif. Sembrava gentile, nonostante il suo sguardo incutesse soggezione.

La casa di Leif era molto grande, più delle altre. La sua famiglia era composta dai genitori e la sorella maggiore. Quest'ultima era però fuori, gli disse Leif.

- Mamma, papà, lui è Mira. La tempesta di ieri l'ha fatto naufragare sull'isola.

I genitori di Leif avevano gli occhi verdi e penetranti come il figlio e gli stessi capelli biondi. Gli strinsero la mano con cortesia, senza particolare calore. Mira sentì una punta di nostalgia della propria famiglia farsi strada nel suo cuore.

Leif gli diede dei vestiti asciutti, prima di lasciarlo solo per permettergli di asciugarsi e cambiarsi.

Mira si affrettò a raggiungerlo appena pronto. Il ragazzo lo condusse nel luogo adibito a sala da pranzo. Sul tavolo di pietra la madre di Leif stava posando dei piatti ricolmi di pesce cotto e crudo.

Piume di dragoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora