Capitolo VII: Pensieri inappropriati

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Capitolo VII: Pensieri inappropriati

Il giorno seguente, fu Hotchner a presentarsi. Aileen ebbe un momento di panico: l’affetto per gli altri non sarebbe stato un grosso problema, ma per l’attraente capo dell’Unità di Analisi Comportamentale provava sensazioni molto più forti, e quello sì che poteva essere un problema.

Prese mentalmente un profondo respiro – solo mentalmente, non poteva certo farsi udire da Hotchner! – e cercò di riacquistare rapidamente la propria lucidità mentale. Per la miseria, non era un’adolescente in preda ad una tempesta ormonale, si rimproverò. Fortunatamente, avendo dovuto imparare a compartimentalizzare la sua memoria, aveva finito con l’imparare a fare altrettanto anche con le varie parti della sua vita, riuscendo a separare nettamente professione e privato, emozioni ed intelletto. In questo caso specifico, tale capacità le sarebbe stata di fondamentale aiuto.

L’acuto sguardo da profiler di Hotchner colse una fuggevole traccia di turbamento nell’espressione di Aileen; se ne chiese il motivo, ma poiché era durata un nanosecondo, pensò che poteva anche essersi sbagliato. Dopotutto, la scienza del profiling era lungi dall’essere perfetta.

“Caffè?”, gli offrì Aileen, come ai suoi predecessori.

“No, grazie”, rifiutò lui, “Hai un succo di frutta?”

“Mela, tropicale o arancia?”, ribatté prontamente lei. A Hotchner venne quasi da sorridere, ma naturalmente si controllò e non perse la sua aria perennemente severa: chissà se sarebbe mai riuscito a cogliere impreparata la bella psicologa?

“Mela”, rispose. Aileen servì la bevanda in due bicchieri e si sedette sul divanetto a fianco di quello scelto dall’agente. Accavallò le gambe, come sua abitudine, e naturalmente l’orlo della minigonna nera vagabondò di qualche centimetro su per la coscia, coperta da un collant di pesante microfibra verde muschio. Istantaneamente Hotchner sentì la pressione salire e si chiese se lei lo facesse apposta. Ma no, si rispose, l’aveva vista sedersi così in qualsiasi occasione, che ci fosse solo lui o l’intera squadra, o un’altra donna. Era semplicemente una sua abitudine. E poi, del resto, non è che ci siano molti altri modi appropriati di sedersi, con una minigonna.

Si sforzò di non fissare apertamente quelle magnifiche gambe.

“Ti vedo teso”, osservò Aileen di punto in bianco. Hotchner si irrigidì ancor di più, poi si obbligò a rilassarsi.

“Non sono abituato a farmi psicanalizzare”, disse a mo’ di spiegazione; ma era perfettamente cosciente di star mentendo, perché la causa della sua tensione era ben altro che la psicanalisi.

“Non sei qui per farti psicanalizzare”, lo contraddisse lei quietamente, “ma per parlare con una persona lieta di porgerti un orecchio amichevole.”

“La metti così con tutti i tuoi pazienti?”, volle sapere lui, senza riuscire stavolta a celare un certo divertimento nel tono di voce.

“Sì: cerco il contatto umano, qualcosa che vada un po’ oltre il rapporto medico/paziente”, rispose lei, molto seriamente, “Non tanto da compromettere la terapia, s’intende, ma abbastanza per stabilire una connessione personale. Mi propongo come amica, oltre che come psicoterapeuta.”

Connessione personale, pensò Hotchner. Ne vorrei una di parecchio personale, con te…

“Molto bene”, disse, la voce un tono più basso del normale. La vide inarcare leggermente le sopracciglia e comprese che, se non avesse subito cambiato registro, lei avrebbe capito che lui la vedeva in ben altri panni che in quelli di psicologa. Anzi, la vedeva proprio senza panni…

Aileen, o lo splendore del soleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora