Capitolo VI: Il colore e l'angelo

673 28 4
                                    

Capitolo VI: Il colore e l’angelo

Il primo a presentarsi ad Aileen per una seduta post-caso fu Rossi.

“Non so bene come comportarmi”, le disse, senza nascondere il vago disagio che provava, “Devo sdraiarmi?”

“Solo se ti va”, rispose Aileen, scrollando le spalle mentre accendeva il segnale luminoso esterno sopra la porta, che indicava che era in seduta e non doveva venir disturbata se non in caso d’emergenza, tipo se andava a fuoco l’edificio, “Vuoi un caffè?”

L’agente aggrottò la fronte: non aveva mai pensato che una seduta dallo psicologo potesse cominciare con un caffè; ma ormai aveva capito  che Aileen era una strizzacervelli davvero fuori dal comune, e non certo solo per il suo abbigliamento anticonvenzionale – anche quel giorno indossava una delle sue solite minigonne ultracorte che avevano il potere di distrarre ogni maschio che capitasse in sua presenza.

Che lo facesse apposta?, si chiese di colpo. Non lo avrebbe stupito.

“Ehm… perché no?”, rispose, mettendosi seduto su uno dei divanetti.

Aileen armeggiò con la macchina del caffè, poi , con le tazze in mano, andò a sedersi sul divano perpendicolare a quello scelto da Rossi, non troppo lontana, ma neppure troppo vicina. D’accordo che qualche sera prima avevano stabilito un rapporto che andava oltre quello strettamente professionale, ma lì, in quel momento, non erano più amici, o aspiranti tali, bensì medico e paziente; e questo comportava non invadere lo spazio personale l’uno dell’altra.

Gli porse una delle tazze, che Rossi prese ringraziandola con un cenno.

“Nero con due cucchiaini di zucchero”, specificò Aileen con un lieve sorriso.

“Grazie”, annuì lui, ricambiando il sorriso, “Ma non dimentichi mai niente?”

“No”, rispose lei, scuotendo il capo, “ed a volte è una gran seccatura.”

“Dici sul serio?”, si meravigliò Rossi, che aveva sempre invidiato quella straordinaria capacità a Reid, e adesso anche ad Aileen, “In che senso?”

“Beh, dimenticare le cose spiacevoli è una benedizione, non trovi?”

Rossi non rispose subito, prendendosi il tempo di riflettere. Non era completamente d’accordo, e qualcosa gli diceva che non lo era neppure Aileen; perché allora gli aveva fatto una domanda di cui già conosceva la risposta?

Sorbì un sorso di caffè.

Ah certo, si disse. Per costringerlo a dirlo ad alta voce.

“Non proprio”, rispose, “perché le cose spiacevoli quasi sempre sono una lezione utile, nella vita. Tuttavia, il dolore e il disagio associati all’esperienza spiacevole devono venir superati, e quindi, in un certo senso, dimenticati.”

“Molto giusto”, annuì Aileen, “Ed è proprio quello che fa la memoria normale: archivia le sensazioni troppo spiacevoli in un angolo della mente e lascia in bella vista solo quelle utili. Ma la mia memoria non lavora così: io ho sempre tutto perfettamente visibile, ciò che mi piace e ciò che non mi piace, ciò che mi è d’aiuto e ciò che mi è d’intralcio. Devo fare uno sforzo cosciente per questo lavoro d’archivio che la memoria normale fa invece automaticamente. Spesso invidio chi non ha una memoria come la mia.”

Questo era inaspettato, per Rossi; ma ormai cominciava ad imparare che, con Aileen, l’inaspettato era la norma.

Poi vide la cosa sotto un altro punto di vista: la psicologa gli aveva lasciato vedere un suo lato imperfetto, vulnerabile. Capì che gli stava dando fiducia prima di chiedergli di fare altrettanto, aprendosi con lei.

Aileen, o lo splendore del soleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora