8. Black hole sun

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Avevo sempre odiato il silenzio. Vissuto come un vuoto da riempire, un baratro da colmare che si riempiva di chiacchiere futili e da cui alla fine, puntualmente, fuggivo annoiata. Spezzata a metà tra i momenti in cui ero sola e avrei voluto compagnia e quelli in cui ero tra la gente, ma mai in compagnia davvero; così era la mia vita.

Poi però c'era Hemmings. Lui non parlava mai, non lo vedevi spesso e quando succedeva, il più delle volte ascoltava musica e guardava un punto impreciso nel vuoto. Eppure seduta accanto a lui, se pur sempre in silenzio, la sua presenza si faceva sentire e la tensione che creava il suo corpo pallido e asciutto nell'aria a lui circostante, era palpabile. Come se pure l'aria si rifiutasse a stargli vicino, perché emanava il male, ma io non ero mai stata aria. Ero più paragonabile alla luce, quella energia invisibile eppure sempre presente, che corre, corre di continuo e sempre troppo veloce per tutti, ma mai abbastanza da riuscire a sfuggire ai buchi neri dello spazio, che la intrappolano e ne fanno quello che vogliono.

E Luke era stato il mio buco nero dal primo giorno che l'avevo conosciuto sotto quel portico bianco, mentre la vita ci fluiva addosso e noi non ce ne rendavamo neppure conto, perché troppo impegnati a fissarci senza mai volerlo per davvero.

E in quel momento era un po' la stessa cosa: entrambi seduti su quelle sedie scomode e tutti e due a fissare qualcosa di lontano, che nessuno avrebbe mai compreso all'infuori di noi.

Quando il bus si fermò davanti alla scuola, scendemmo entrambi, senza parlare, senza degnarci di un segno eppure uno affiancato all'altro.

Il defluire degli studenti nel comprensorio scolastico ci accerchiò e come un masso che divide il corso del fiume in due, noi rimanemmo fermi in mezzo al cortile, ad assaporare ancora per un poco l'aria fredda e umida sulle mani e l'odore di sigaretta che il biondo sbuffava ad ogni respiro.

Suonò il campanello e mi affrettai a guardare Luke, ancora assorto nei suoi pensieri come lo ero io un momento prima.

-Dovresti entrare.- fece notare con la sua voce calma, sempre troppo pacata.

-Ci vediamo, Hemmings.- dissi superandolo e dirigendomi dalla parte opposta rispetto a quella che avrei dovuto prendere e decidendo che per quel giorno i videogiochi avrebbero preso il posto della matematica.

Non mi sorpresi di sentire un passo cadenzato al mio fianco, di lì a poco, che se c'era qualcosa che conoscevo, di certo era Luke Hemmings.

-Ti piacciono i videogiochi, Lucas?- fece spallucce.

Probabilmente avrebbe accettato tutto, dai videogiochi all'esser rinchiuso in carcere: se Luke aveva la possibilità di tormentarmi, non gli sarebbe mai servito altro.

Camminammo in silenzio un poco, al che il biondo si stufò e srotolò le cuffiette che portava sempre attaccate al cellulare e me ne porse una, infilando l'altra nell'orecchio sinistro.

Il marciapiede era stretto e ci portava a camminare vicini fin da subito, ma dovetti affiancarmi a lui, lasciare che i nostri corpi si sfiorassero, per poter ascoltare anch'io la musica che mi stava offrendo il ragazzo. Infilai la cuffia, facendo particolare attenzione a non toccarlo mai più del dovuto; una canzone fin troppo vecchia, che parlava di un uomo che si perdava nello spazio: erano questi i gusti retrò del biondo al mio fionco e stranamente, mi piaceva.

Camminammo in silezio per diverso tempo, tra le strade bagnate di quella cittadina che conoscevo fin troppo bene e quello che era certo, era che quelle strade di provincia non avevano mai visto camminare in lungo e in largo una coppia strana, inusitata, come lo eravamo noi in quel momento e quasi mi diedi della stupida, per aver pensato a noi come una coppia, ma mi ricordai che entrambi condividevamo segreti che legano più di amicizie e amori giovanili.

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