17. Il grande crocevia

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Il cosmo è grande, enorme, in termini di spazio come di tempo: gli scienziati calcolano novanta miliardi di anni luce, ma in realtà nessuno sa davvero com'è

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Il cosmo è grande, enorme, in termini di spazio come di tempo: gli scienziati calcolano novanta miliardi di anni luce, ma in realtà nessuno sa davvero com'è. Perché i fotoni che ci arrivano sono vecchi di milioni di anni e la realtà che hanno lasciato alle spalle potrebbe non esistere più, oggi.

La nostra galassia occupa solo un milionesimo di questo ipotetico universo, ma al suo interno un fotone deve viaggiare per centomila anni prima di riuscire ad attraversarla. Fortunatamente i canali interstellari che collegano un punto di accesso all'altro sfruttando tutte le dimensioni dipendono fortemente dalla massa dei corpi stellari, per cui è improbabile che ci si possa allontanare troppo dall'area in cui ci si trova. È come se il grande Sagittarius A e gli altri buchi neri che costituiscono il nucleo della Via Lattea creassero un pozzo, un'enorme ciotola da cui è difficilissimo allontanarsi per sbaglio.

Shila aveva strumenti di posizionamento basati sull'identificazione dei punti più lontani, le cosiddette quasar a bordo universo visibile, da usare come se fossero dei fari fissi. Quindi sapevamo dove eravamo, almeno sulla mappa.

Il problema più grosso era il calcolo complesso e multidimensionale della massa dei vari corpi celesti in una posizione influente: con Gaia avevamo sviluppato un sistema per cui lei identificava gli oggetti noti nelle mappe oltre a quelli rilevati dalla nave e io, sfruttando energie e metodologie che non capivo del tutto, immaginavo i complessi calcoli che producevano il peso e la direzione del vettore di ingresso fino al punto destinazione.

Ci voleva tempo e pazienza, ma si poteva fare. Quindi mentre gli altri erano a dormire, io e Gaia lavoravamo, con sullo sfondo Iskra che curava le armi. La situazione era la stessa di qualche giorno prima, ma c'era un'ombra che oscurava ogni tanto i miei pensieri. Come una nuvola che passa sui campi dorati di grano e li colora per qualche minuto in triste grigio cenere: così mi succedeva quando pensavo ad Iskra.

Non ne ero innamorato, suvvia. Forse l'ammirazione che avevo per lei si era evoluta in qualche modo e sicuramente le sue parole di chiusura mi avevano infastidito. Ferita all'amor proprio? Può essere. La mia posizione di capo aveva un difetto all'origine: lei non mi avrebbe mai trattato male, neanche se lo avesse voluto.

Insomma i calcoli per uscire da quell'angolo di universo procedevano, ma quando arrivava l'ondata mi fermavo e dovevo rifare gli ultimi. Nei primi giorni di questa avventura, quando ridevo e scherzavo con Gaia, lei era intervenuta in qualche modo, facendosi vedere in modo più o meno casuale. Avrei voluto ripetere la stessa alchimia, ma a me non veniva da ridere e anche l'amica scienziata era seria e concentrata.

Quando rientrò nella sala Coff, ne approfittammo per fare una pausa. Gaia gli chiese com'era andata, con Lugal e i suoi.
- Tutto come è sempre stato. Lugal e Zubei sono stati i miei unici padroni fin'ora e sono abituato a stare con loro.
- Ma ti spiace essere venuto via? Hai lasciato qualcuno indietro, qualche amico o...?

Lui stette un attimo, sembrava fare una cernita delle parole da scegliere o forse degli amici da contare:
- Non saprei come rispondere. Cioè, posso dire che ci sono degli Urukkiani che incontro volentieri e con cui parlo anche se non mi è stato ordinato, se è questo che vuoi sapere.

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