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Se ho sognato, non ricordo.
Il risveglio la terza volta è meno traumatico delle altre. Mi ci vuole un momento per ricordarmi dove sono: la strana piccola baracca, il deserto che si estende di fuori. E il ragazzo che mi ha quasi uccisa. A proposito, Trash non c'è. Non lo vedo e non sento alcun suono che suggerisca la presenza di un'altra persona nella stanza. Poi noto il logoro pezzo di carta, fissato con un coltello al muro vicino al letto. Un messaggio è scritto con una calligrafia tremolante e insicura: BUON GIORNO O UN PAIO DI COSE DA FARE. TORNERO PRIMA CHE FACCIA BUIO. FATTI LA COLAZZIONE MA NON TOCARE LA MIA ROBA E NON RUBARLA STAI A LETTO E DORMI!! PS E X LAMOR DEL CIELO METTITI CUALCOSA ADOSSO
Ai piedi del letto sono stati appoggiati una canottiera e dei pantaloni mimetici. Sul pavimento ci sono degli stivali di pelle e un paio di calzini sfilacciati. Mi vesto, felice di sentirmi meno vulnerabile. Niente è della mia taglia, e questi non sono esattamente vestiti da donna, ma è passabile nel complesso.
Il biglietto diceva di farmi la colazione, e così guardo nelle scatole da cui Trash ha tirato fuori il cibo di prima. Non c'è niente tranne barattoli dalle etichette sbiadite. Ormai, senza più lo stimolo della fame, quel cibo non sembra poi un'opzione fantastica. Ma un'ispezione più accurata della baracca rivela che non c'è altro. Non ci sono armadietti in cui frugare, neanche un frigo... In realtà, sembra non ci sia niente che funzioni ad elettricità.
C'è il barile pieno d'acqua vicino alla porta, nel quale Trash ha intinto quel panno per asciugare il sangue che mi usciva dal labbro. Non so se sia potabile o no, ma la mia gola sta bruciando e decido comunque di berne un po' prendendola con le mani.
Tutto il resto sembra solo un mucchio di cose mescolate a caso — vecchie coperte, contenitori e cose simili. C'è un tavolo appoggiato alla parete opposta del letto, completamente coperto di pezzi di metallo e macchinari rotti.
Dopo aver osservato a lungo la stanza, esco fuori.
Da qui fuori, è chiaro che la baracca è un'accozzaglia di metalli, legno e lamiere, rinforzati qui e là con grandi pezzi di rottami. Contro la parete frontale è posto un generatore. Non sono sicura per cosa potrebbe essere usato, o addirittura se funzioni.
Tutto intorno alla baracca, in ogni direzione, un deserto senza fine si estende verso l'orizzonte. Fa caldo qua fuori — un caldo molto secco — e il sole batte forte, spietato. Questo posto è strano; sbagliato — diverso da qualsiasi luogo abbia mai visto. Ma eccomi qui.
Per molto tempo, non mi muovo. Rimango solo in piedi, fissando le rocce grigie e la polvere giallognola. Aspettando risposte. O qualsiasi cosa. Quando il calore del sole diventa insopportabile, finalmente mi giro e torno dentro.
Quando Trash ritorna, sta diventando quasi buio. «Il corpo di ricognizione è tornato, piccola.» Dice con un ghigno.
È sudicio, coperto dalla testa ai piedi da quello che sembrerebbe... olio di motore. Porta con sé una grossa borsa a tracolla piena, che produce rumori metallici ad ogni passo che fa. La svuota sul tavolo e ne esce un mucchio di spazzatura di metallo, che va ad ingrossare una pila già ben fornita.
«Dio, che giornata.» E con un sospiro stanco si toglie gli stivali e gli occhialoni di protezione che aveva sulla fronte. «Ah, così va meglio. Quindi, che hai fatto oggi?» Mi chiede avvicinandosi. E improvvisamente, lo sento. Puzza da morire. E deve avermelo letto in faccia, perché si ferma subito. «Che c'è?» Scuoto la testa, come per dire: «Niente, niente!»
«No, è ovvio che c'è qualcosa che— Oh. Aspetta. Ho capito.» Si apre in un sogghigno e allarga le braccia. «Cosa? È solo un po' di buon vecchio sudore, tesoro! Non è considerato virile?» Continua a sogghignare, forse aspettandosi un sorriso di risposta. Dopo un po', si arrende e si lascia andare ad un sospiro esagerato, alzando gli occhi al cielo. «Okay, okay. Mi darò una ripulita, solo per te, milady.» Si gira e va verso il barile dell'acqua, borbottando per tutto il breve tragitto. «Veramente... Ti intrufoli in casa mia e cominci a dirmi che puzzo...» E senza neanche avvertirmi, afferra la parte inferiore della sua canotta e se la toglie di dosso, lasciandola cadere sul pavimento. E continua a rimanere indifferente quando intinge uno straccio nel barile e comincia a lavarsi. Io distolgo lo sguardo, imbarazzata.
«Sai, avrei un sacco di cose da chiederti, Kym.» Mi dice mentre sento il rumore del panno che si intinge nell'acqua e che si strofina sul corpo di Trash. Continuo ad evitare di guardarlo. «Come per esempio, da dove diavolo vieni.» E qui rialzo lo sguardo. La verità è che non mi ricordo niente. So che questo non è il mio mondo, perché nel mio mondo ci sono le TV, l'acqua corrente, e cibo che non è tutto in scatola. Ci sono vaghi ricordi delle cene in famiglia, di caffè con le amiche, di ombre degli edifici torreggianti in città, e gli alberi che—
Aspetta. C'è un ricordo chiaro. O almeno, quello che sembra un ricordo.
«...Il...parco...» Dico quasi sottovoce. «Hm?» Trash si gira e mi fissa, sorpreso. «Hai appena—?» «...P-parco... verde...» Ogni parola è un dolore acuto che mi gratta la gola. Ma ora che ho iniziato, non mi fermo. «...Gli alberi... i fiori... persone... vita...»
«... Scherzi?» Trash sospira e si passa una mano fra i capelli. «Gesù... Senti, piccola. Non so se dalle tue parti è diverso, ma qui nessuno ha più visto un albero verde da tipo, non so. Quanto tempo è passato? Trentasette anni? Trentotto?»
Lo shock è così intenso che mi viene la nausea, e non posso fare altro che accovacciarmi, cercando di calmare il dolore.
«Dove sono?»
«Nella mia baracca.»
Scuoto la testa, mentre la frustrazione pervade tutto il mio corpo. Perché è così difficile chiederlo?... «Dove. Mi. Trovo?»
«... Nella Piana Polverosa.»
Non rispondo, e il fastidio di Trash cresce. Quando mi parla, la sua voce è dura e ostile. «Hai presente, no? La Piana Polverosa? Il Punto Zero? Le bombe? Le grida? La Nube rossa? La fine del cazzo di mondo? Nessuno di questi ti fa suonare un campanello, dolcezza?»
«... ...»
«... ...Proprio non ti capisco. Forse non sarai uno di loro, e forse saprai parlare, ma di sicuro il tuo cervello si è un po' fottuto.»
Rimango accovacciata in silenzio, incapace di parlare o muovermi. Ho la sensazione che se lo facessi finirei per prendere Trash a pugni. Quindi, resistendo a malapena alla voglia di scagliarmi contro il mio ospite, rimango sola nel mio piccolo e miserabile mondo.
«...Per adesso, dovresti concentrarti nel recuperare le tue forze.» Non c'è più rabbia nella sua voce adesso, solo stanchezza, e un accenno di falsa gentilezza. «Lasciamo questo... discorso per un altro giorno, okay?» Come per sottolineare che l'argomento era chiuso, lancia lo straccio nel barile e comincia a sbottonarsi i jeans. «Ora però non credo tu voglia vedere, principessa. Non vorrei mai offendere la tua delicata sensibilità.» E così scelgo di uscire dalla baracca e sedermi all'aria aperta della notte, lasciando Trash alla sua privacy.
E io ai miei pensieri confusi.
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NOTE DI TRADUZIONE (non molto serie):
1. La Piana Polverosa. Suona da cani ma nella versione originale è chiamata "Dust Bowl", e non voglio che perda il suo significato che ricorda il deserto e una terra arida. Dopo alcune ricerche su internet, poi, ho scoperto che l'espressione "Dust Bowl" è usata anche per indicare un periodo storico degli USA (negli anni trenta) in cui si sono verificate numerose tempeste di sabbia. Non frega a nessuno ma io l'ho trovato curioso, e ci azzecca benissimo con l'ambientazione della storia.
2. Il Punto Zero. Nell'originale era "Ground Zero" ma in italiano esiste proprio l'espressione Punto Zero che è usata nel linguaggio militare per indicare la zona in cui esplode un ordigno nucleare. Wow. Si imparano sempre cose nuove, grazie Gugol.
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Aloners
MaceraKym si risveglia. Non ricorda nulla, tranne il suo nome. Non sa come ci è finita lì, in quella strana baracca con quello strano ragazzo. L'unica certezza, però, è che non è sola. **ATTENZIONE**: Questa storia non proviene da una mia idea. Io mi sono...