Distopia scarlatta

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Uno sparo.

Era stato uno sparo: di questo ne era sicuro. La sua eco risuonava ancora nelle orecchie di Howler, inondandogli il corpo di un flusso caldo e la spina dorsale di un brivido tutt'altro che spiacevole. I muscoli si tesero ed il pelo punse da sotto il colletto, la vista si amplió ed i suoni divennero più intensi, con una ridondanza mai sentita prima.

Ringhió un sorriso e si passò la lingua sulla labbra: sapeva da dove era partito il colpo e con un po' di fantasia poteva anche capire chi ci fosse dietro l'arma, ma per arrivare a quel bianco, delicato, morbido collo da stringere tra le mascelle avrebbe dovuto passare per un branco troppo grosso di predatori troppo grossi.

Predatori che davano segni di irrequietezza a quello stesso suono, le cui ultime risonanze andavano disperdendosi nell'aria. Per qualche istante regnò il silenzio, poi dal gruppo dei predatori risuonò il primo ruggito: qualunque cosa volesse dire non doveva essere lusinghiero. A quel ruggito, se ne aggiunse un altro, poi un altro ed un altro ancora e nel giro di pochi minuti nell'aria risuonava un concerto di suoni gutturali, acuti, roboanti e taglienti.

Un secondo sparo fece saltare un piccola porzione di asfalto poco lontano dalla zampa di un puma: quasi fosse un segnale, i predatori palesemente pazzi di rabbia si lanciarono contro il palazzo, contro i lupi, con un'assordante cacofonia di battaglia.

Per i primi istanti, Howler si rifiutò di credere a ciò che vedeva: rimase paralizzato come tutti i suoi colleghi, fissando gli occhi di una iena lanciata verso di loro. In quello sguardo sterile lesse tutto e niente: vide la voglia di giustizia e di vendetta, di amore e odio, di sprofondare nella natura primitiva e di tornare indietro nel tempo a prima di quella infernale nube azzurra. Ed allo stesso tempo non lesse nulla di tutto ciò. Prese spunto dalla iena senza nome e, estratta la pistola, spense quegli occhi per sempre con una singola flessione del dito.

Il terzo boato cancellò l'ultimo baluardo di ragione: in un singolo istante, i lupi estrassero le pistole ed i predatori li assaltarono.


Judy rimase paralizzata dallo sguardo con cui Jack le parlò: erano freddi, ma rilucevano di qualcosa molto simile alla follia. Trovò chissà dove la forza di deglutire e la lepre si volse nuovamente verso il fucile, scrutando la piazza attraverso il mirino telescopico.

"Adesso te ne do la prova" disse: rivolse il fucile verso la piazza piena di predatori e, prima che Judy potesse fermarlo, esplose un secondo colpo.

"Ma sei impazzito?!" esclamò sconvolta.

"Forse..." rispose vago lui. "Ma credo che i predatori abbiamo apprezzato". Nell'aria rimbombò un terzo sparo: la coniglietta guardò disorientata il fucile di Jack, poi capì cosa stava succedendo e, vincendo la sua stessa reticenza a vedere, si affacciò.

La piazza era una dedalo di lupi e predatori: le pistole la fecero da padrone per qualche secondo, poi vennero gettate e fu solo un miscuglio di pellicce multicolore che turbinavano tra loro e ruggiti e guaiti e latrati. La coniglietta rimase immobile a guardare con occhi vacui ed increduli la città

marcia

prendere fuoco esattamente, fu il pensiero, come Jack Savage voleva. La lepre pareva aver perso ogni attrattiva per la baraonda che aveva generato e, staccato il mirino telescopico dal fucile, scrutava l'edificio municipale.

"Bogo è sparito" annunciò. "Starà già urlando ordini dal telefono del suo ufficio". Si volse verso Judy, che ancora guardava la piazza con occhi assenti, lontana, proiettata nel ricordo di quella stessa piazza invasa dal calore del sole estivo e popolata dal viavai frettoloso e distratto della varietà di mammiferi di cui Zootropolis andava famosa.

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