SunMin's p.o.v.
Nostalgia, dolore, rabbia, vendetta.
Tanti erano i sentimenti che provavo pensando a come tutto ciò era finito.Delle volte cercavo di reprimere quei sentimenti. Ma loro tornavano a tormentarmi e io non potevo fare altro che lasciarmi andare. Piangevo e urlavo, ormai sola su questa terra.
Come quella notte, una notte buia in cui non riuscivo a prendere sonno.
Distesa nel mio sacco a pelo, avvolta da diversi strati di tessuto, fissavo con sguardo vuoto il soffitto di quel bunker. Esattamente un anno fa, a Seoul si diffondeva uno strano morbo, capace di rendere gli esseri umani dei mostri cannibali.
In poco tempo la popolazione è stata decimata da questa infezione, non lasciando scampo a nulla.
L'umanità era scomparsa.La luce della lanterna a batterie illuminava dolcemente il piccolo abitacolo che poteva ospitare una famiglia intera. E invece c'ero solo io, da sola, sotto terra in quella casa fatta di ferro. Mi sentivo in trappola come un topolino.
Ripensare alla mia vita prima dell'infezione mi faceva sentire strana. Sembrava un ricordo lontano e invece era soltanto un anno prima.
Avrei preferito morire mille volte piuttosto che veder morire migliaia di persone davanti ai miei occhi. Cosa ha deciso per me? Chi ha deciso che io meritavo di vivere e gli altri di morire?Mi sentivo in colpa per cose che non avevo neanche deciso personalmente.
Mi sentivo male ripensando a tutti quei visi dipinti nel dolore, e io lì inerte. Non riuscivo a fare niente, non potevo fare niente.
Ormai ero sola e cercavo di sopravvivere perché non avevo il coraggio di morire.
O forse era altro?Il sole forse stava sorgendo e il mondo tornava alla luce di nuovo, mostrando interamente la sua distruzione e i suoi demoni. Il mondo si era disgregato, pezzo dopo pezzo, e la sua umanità con esso.
Forse anche io avevo perso la mia umanità, ma non riuscivo a rendermene conto.Mi affrettai a prepararmi: quella mattina avrei lasciato definitivamente quel bunker che era stata la mia casa per un anno intero.
Delle volte salivo in superficie quando mi mancava l'aria. Sopra la mia testa c'era una piccola casa immersa nelle campagne fuori Seoul. Aveva una rete abbastanza alta, quindi era raro che trovassi qualche infetto. Ora che le scorte stavano finendo ero costretta ad abbandonare quel luogo.
Ricordo ancora i primi giorni. Non erano stati affatto facili, non mangiavo e bevevo a stento. L'unica cosa che facevo era piangere ed incolparmi sempre del fatto di aver abbandonato la mia famiglia lì fuori; ero stata così egoista e poco coraggiosa da poter salvare qualcuno. Ma con il passare del tempo ero sempre diventata più apatica verso i miei sentimenti ed ero riuscita a convivere con questi pensieri. Ora convivevo con i sensi di colpa, forse l'unica cosa che mi era rimasta.Portavo con me il necessario, ossia il mio sacco a pelo, il binocolo, alcuni vestiti, i viveri rimasti e il mio diario dei ricordi. Al suo interno scrivevo i miei pensieri e tenevo le mie vecchie foto. Avevo qualcosa a cui aggrapparmi, qualcosa che mi ricordasse il passato e da dove venivo. Prima di infilarlo nel mio vecchio zaino, lo aprii e lo sfogliai, sentendo già le lacrime che lentamente colavano dal mio viso. C'era una foto mia con mia madre, mio padre e mia sorella maggiore, Soraa. Quella foto era stata scattata all'incirca una settimana prima dello scoppio dell'epidemia. Ero nata a Busan, ma poi per questioni di lavoro, decidemmo di trasferirci a Seoul. Ricordo che io e mia sorella eravamo così felici di andare lì e di conoscere persone nuove. Volevo frequentare l'università e diventare medico, ma la mia vita si è interrotta improvvisamente.
Ora, tutti i miei sogni adolescenziali erano spariti, finiti chissà dove.
Con i cuore stretto in una morsa, richiusi quel vecchio diario e lo cacciai nello zaino con le altre cose.
Prima di andar via diedi un ultimo sguardo a quella che era stata la mia casa per tutto quel tempo.Caricai la mia rivoltella, trovata nel bunker e mai usata. Ne avevo un po' paura, ma almeno avevo qualcosa con cui difendermi. Quando avevo dodici anni, mio padre portava me e mia sorella a giocare a paint ball, mi ricordavo ancora tutte le volte che ci faceva vincere. Non avevo mai usato una vera arma da fuoco, e una parte di me sperava di non utilizzarla. Anche se ero consapevole del fatto che per sopravvivere avrei dovuto uccidere quelle creature, dentro di me forse speravo ancora in una soluzione, una cura magari. Ma forse era alquanto impossibile.
Infilai, per ultimo, il mio mp4 nella tasca del cappotto. Senza quello non sarei sopravvissuta un giorno.
Non avevo abbandonato mai la musica, solo essa mi ricordava in realtà che ero ancora una ragazzina. Le voci dei miei cantati preferiti con cui ero cresciuta ora erano racchiusi tutti in quel piccolo affare metallico. Probabilmente ora saranno tutti morti. Beh, lo spero per loro perché questa terra è ormai diventata l'inferno.
Nelle notti in cui la pioggia cadeva sul terreno sopra la mia testa, io mettevo la musica, così riuscivo ad addormentarmi, cullata da quelle voci. Era nostalgico pensare che tutto quello era finito e non sarebbe più tornato.
Rivolevo indietro la mia vita, perché era così ingiusto. Avevo solo diciannove anni e i miei occhi avevano già visto la morte, e anche cose peggiori.Senza più ripensamenti, uscii da quel posto, pronta ad affrontare il mondo spaventoso che avevo sopra la testa.
N/A
I'm backkkkk, YASSS!
È la prima volta che scrivo una storia sui bts, spero di non aver fatto errori. In tal caso scusatemi :(
Comunque, in poche parole, per chi non lo sa, sono una malata di storie sui zombie ecc. Quindi si, ci stava tantissimo. La protagonista si chiama Sunmin, (purtroppo ancora non trovo un prestavolto, pardon) ma la conoscerete meglio avanti.
Spero vi piaccia questa storia ^-^
Appena vedrò comunque stelline e/o commenti pubblicherò il primo capitolo, questo appunto è solo un prologo.
Quindi, ora sparisco, ci vediamo.
-fra ☆
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bad lands▪ᵃᵘ ᵇᵗˢ
Fanfic©zombie au 《Perché? Perché deve essere così?》 Gridò il ragazzo, lasciandosi andare in un pianto liberatorio. La ragazza si avvicinò cauta. 《È un mondo malato, non è colpa nostra...》gli posò una mano sulla schiena, scossa dai singhiozzi. Il ragaz...