Settembre era sempre stato un bel mese, per Alec.
Gli piaceva camminare per strada e vedere come le foglie degli alberi cominciavano a cambiare colore, ingiallendosi un poco. E trovava piacevole sentire la temperatura che si abbassava giorno dopo giorno, salutando la calura estiva per dare il benvenuto alla temperatura autunnale. La verità era che lui preferiva le stagioni fredde, a quelle calde. Era più il tipo da piumone, cioccolata calda e libro aperto sulle ginocchia, che da costume, spiaggia e feste nelle quali avrebbe finito per sedersi nel posto più isolato possibile – finendo sempre per essere l’unico sobrio e, di conseguenza, accollarsi il compito di baby-sitter della serata. Aveva perso il conto delle volte in cui si era dovuto caricare Jace in spalla per riportarlo a casa tutto intero.
Se qualcuno dice tranquillo, lo reggo benissimo l’alcol, quel qualcuno mente. E Jace aveva mentito così tante di quelle volte che Alec si stupiva non avesse ancora capito che, evidentemente, la sua soglia alcolica era più bassa di quella che credeva. Aveva persino smesso di contare le volte in cui, in preda all’ebbrezza alcolica, suo fratello aveva finito per dare spettacolo esibendosi in striptease che lui reputava sexy, ma che agli occhi esterni risultavano scoordinati e un tantino imbarazzanti. Se non fosse stato per tutta l’abbondanza che nascondeva sotto la maglietta, nessuna ragazza l’avrebbe mai preso in considerazione. Ma la storia era sempre la stessa: finivano tutte con il ridacchiare, dandosi gomitate e commentando quanto fossero perfetti gli addominali di Jace Lightwood, l’attraente biondino dai magnetici occhi bicromatici. E non poteva dare torto a nessuna di quelle ragazze. Per un periodo della sua vita anche lui era stato attratto da Jace – occhi bicromatici e addominali da urlo compresi – sentendosi uno sporco pervertito: era vero che non condividevano gli stessi geni, che era stato adottato e i suoi genitori avevano deciso di cambiargli il cognome per farlo sentire parte integrante della famiglia, ma… ma Alec l’aveva sempre recepita come una cosa sbagliata. Si sentiva un disonesto ogni volta che Jace si spogliava in sua presenza – magari quando, nella camera che condividevano, si cambiava per infilarsi il pigiama e andare a dormire – e Alec indugiava sulla curva che il suo sedere formava con il fondo della schiena, sentendosi tutelato dall’ignoranza del biondo, che non aveva mai pensato di poter essere l’oggetto del desiderio del fratello.
Ma poi quella fase era passata. Non si sa come, non si sa in che modo, forse con l’aiuto di Izzy.
Sicuramente con l’aiuto di Izzy, che aveva fiutato l’omosessualità del maggiore dei suoi fratelli come un cane da tartufo.
“Vedrai che ti passerà,” gli aveva detto una sera quando si erano trovati a parlare in camera della ragazza.
“Cosa, l’omosessualità? Mica è come la febbre, Iz!”
Isabelle aveva roteato gli occhi con così tanta convinzione che Alec aveva temuto le fossero arrivati al cervello, “E meno male mamma e papà pensano sia tu il più intelligente dei loro figli!” gli aveva dato un pizzico su un braccio, “La cotta per Jace, cretino!”
“Non ne sono sicuro…” Non aveva nemmeno tentato di negare, con Iz era inutile: primo, lei lo conosceva meglio di se stesso; secondo, era l’unica con cui poteva parlare apertamente senza avere paura di essere giudicato. In pratica, era l’unica che lo salvava da un’implosione. Tenersi tutto dentro gli riusciva con tutti meno che con sua sorella. Aveva bisogno delle parole di Izzy.
“Io sì, invece. Un giorno capirai che tutto quello che provi è dettato solo da fatto che lui è l’unico ragazzo con cui ti sei mai relazionato e quindi hai i sentimenti confusi…”
Quella sera di due anni prima – incredibile come a tredici anni sua sorella fosse più saggia di moltissimi adulti – Alec non aveva bene capito a cosa potesse riferirsi Isabelle, solo più tardi avrebbe realizzato la portata di quelle parole: i suoi sentimenti erano confusi per il semplice fatto che Alec, la cui esperienza rasentava l’inesistenza, cosa di cui certo non andava fiero, non sapeva distinguere il bene fraterno dall’amore. Aveva mischiato le due cose, convincendosi che tutto ciò che provava per Jace fosse amore, quando invece altro non era che il modo che aveva Alec, la cui natura era estremamente diffidente e chiusa, per difendersi dalla realtà: se avesse convinto se stesso di essere innamorato di Jace, non avrebbe provato a rischiare di affacciarsi al mondo esterno e a tutte le sue pericolose relazioni, che avrebbero potuto spezzargli il cuore, o peggio: mettere in luce la sua omosessualità. Nascondendosi dietro ai sentimenti che credeva di provare per suo fratello, in questo modo, avrebbe tenuto alla larga ogni cosa: la verità, la possibilità di farsi delle esperienze, la delusione che avrebbe letto nei volti dei suoi genitori una volta ammesso come stavano le cose.
Nessuno, in casa Lightwood – tranne Isabelle – sapeva la verità su Alec.
E a lui andava bene così. Ancora non si sentiva di ammettere al mondo chi fosse veramente, aveva appena cominciato ad ammetterlo a se stesso.
“Aleeeeeeeeec!” le grida di sua sorella lo estraniarono dai suoi pensieri.
“Che vuoi?” le rispose di rimando, sistemando dei libri nello zaino. Con l’arrivo di settembre, era arrivato anche l’inizio della scuola e un diciassettenne Alec stava per cominciare il suo terzo anno. Non che la cosa lo emozionasse particolarmente, a dirla tutta. Mentre sembrava che Isabelle stesse per impazzire. Infatti, piombò nella sua camera come un uragano: “Devi aiutarmi, Alec. Sono in crisi!”
Alec roteò gli occhi al cielo: “Che genere di crisi, Iz?”
“Non trovo il mio reggiseno!”
Alec arrossì: “E perché lo vieni a dire a me??”
“Ma come perché? Tu sai sempre tutto!”
“Iz, so dove sono i vestiti di Max perché lui ha ottoanni. Tu ne hai quindici. Sembri un po’ grandicella per non sapere dove si trova la tua roba!”
“Eddai, Alec. Aiutami!”
Il maggiore sbuffò. L’idea di avere a che fare con la biancheria intima di sua sorella lo faceva rabbrividire fino all’inverosimile, ma non riusciva mai a dire di no ad Iz. Era l’unica sorella che aveva e tendeva sempre un po’ a viziarla.
“Va bene,” esalò, sconfitto, “Descrivimelo.”
Isabelle batté le mani, soddisfatta. “È quello nero con il pizzo grigio sui bordi delle coppe…” la ragazza si lanciò in una descrizione estremamentedettagliata che fece arrossire Alec fino all’attaccatura dei capelli. Il pensiero che qualcuno potesse arrivare a vedere sua sorella sotto quel punto di vista così intimo lo infastidiva parecchio. In fin dei conti, nonostante Isabelle fosse cresciuta e avesse dato prova più volte di sapersela cavare da sola, tendeva sempre ad essere molto protettivo con lei.
“Hai capito qual è?” concluse la ragazza.
Alec sospirò: “Sì, sì ho capito. Ma non è un reggiseno da primo giorno di scuola!”
“Cosa?” ribatté stizzita, “È perfetto come reggiseno da primo giorno di scuola! Ah, ma cosa ne vuoi sapere tu!”
“Quanto basta!”
Isabelle alzò un sopracciglio: “Ne sai quanto basta di reggiseni, ne sei sicuro?”
Alec boccheggiò, aprendo e chiudendo la bocca senza che nessun suono che avesse un senso ne uscisse. Lui non ne sapeva un bel niente di reggiseni. Non gli avevano mai nemmeno scatenato quella curiosità che aveva spinto Jace a dodici anni a cercare su Internet le foto delle modelle di Victoria’s Secret.
“E va bene, non ne so niente! Sai cosa ti dico? Cercatelo da sola e mettiti quello che ti pare! Siamo già in ritardo!!”
Detto questo, l’accompagnò verso l’uscita della camera e si chiuse la porta alle spalle. Lanciò un’occhiata al suo letto, accuratamente rifatto, e poi una a quello di suo fratello, tirato su con la stessa precisione maniacale con cui Alec aveva rifatto il proprio. Avevano ricevuto la stessa rigida educazione: rifare il letto, tenere la stanza in ordine, non appendere poster di nessun genere al muro perché causano distrazione durante lo studio. Niente cd musicali, niente libri che non fossero quelli scolastici, o classici della letteratura. Aboliti i libri di fantascienza: secondo Robert Lightwood altro non erano che un’accozzaglia di baggianate senza senso che gli pseudo scrittori usavano per farcire la testa degli adolescenti con delle stupidaggini. E loro, ovviamente, avevano ubbidito. Alec in particolare non riusciva a disubbidire ai suoi genitori. Forse perché si sentiva in colpa a nascondergli la grande verità della sua vita. Forse perché pensava che, quando un giorno avrebbe trovato il coraggio di dire loro come stavano veramente le cose, non sarebbero poi stati così tanto delusi, ripensando a tutte le volte che si era comportato bene.
Forse, forse, forse…
“Sei pronto, Alec?”
Fu Jace, questa volta, ad estraniarlo dai suoi pensieri. Suo fratello aveva aperto la porta della loro camera e lo guardava con un mezzo sorriso e le braccia incrociate al petto, i bicipiti che si gonfiavano, smorfiosi e desiderosi di essere notati – come se fosse stato possibile non farlo. Portava una maglietta azzurra, con lo scollo a V che evidenziava le sue clavicole, e dei pantaloni neri, ai piedi gli anfibi slacciati.
“Sì, sono pronto.” Afferrò lo zaino e, non appena vide Jace fare lo stesso, pensò che, esattamente come l’anno prima, anche quest’anno ogni ragazza avrebbe fatto il diavolo a quattro pur di uscire con il più bello dei fratelli – si specifichi maschi, altrimenti Isabelle l’avrebbe picchiato per quel pensiero – Lightwood.

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I got all I need when I got you and I
FanfictionLa FanFiction nasce su EFP, l'autrice originale si chiama Roscoe24, tutti i diritti sono riservati a lei e con il suo consenso posso trascrivere la storia qui su Wattpad. Potete trovarla su Efp sotto "Fan Fiction: Serie TV > Shadowhunters" ========...