16.

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La giornata era iniziata normalmente: Alec si era svegliato, aveva fatto una doccia ed era sceso in cucina per fare colazione. I suoi genitori erano usciti, probabilmente per andare a sistemare le ultime cose in ufficio prima dell’inizio ufficiale anche delle loro vacanze. In casa regnava un silenzio confortante, interrotto solo da alcuni sporadici rumori al piano di sopra, segno che i suoi fratelli si stavano alzando. Alec scommise con se stesso che sarebbe stato Jace il primo a svegliarsi e che Isabelle avrebbe trovato un modo per spodestarlo dal bagno con i suoi modi delicati da elefante irritato. Sua sorella era un ossimoro vivente: all’apparenza delicata e fragile, una bambola da collezione, ma all’interno una tosta e ingestibile ragazza, che a tratti lascia uscire la sua testardaggine. Scosse la testa, mentre afferrava da un ripiano della dispensa una padella per cuocere bacon e uova: colazione veloce per uscire di casa in fretta e portare un ignaro Max all’acquario. Gli piaceva quel piano. Lo rendeva felice e sperava che anche Max lo sarebbe stato. Versò dell’olio nella padella e aspettò che cominciasse a sfrigolare, prima di appoggiarci le fette di bacon che aveva recuperato dal frigo qualche attimo prima.
“Isabelle!” urlò Jace dal piano di sopra. “Avevi detto che avresti solo fatto la pipì! Sento l’acqua della doccia che scorre!”
Alec si allargò in un sorriso, mentre girava il bacon, dandosi mentalmente il cinque: quanto conosceva i suoi fratelli da uno a dieci? E soprattutto, quanto era ingenuo Jace che, dopo una vita passata insieme ad Izzy, ancora cascava nei suoi trucchetti, facendosi ingannare come un principiante?
“Dovevo pensarci prima di farti entrare??” continuò Jace, infervorandosi. “Sei matta, Iz, matta! Mi hai sentito?? Matta!”
Alec sentì i Jace incamminarsi con passo pesante verso le scale e scenderle come se avesse voluto farla pagare ad ogni scalino presente in quella casa del fatto che fosse caduto nella trappola di Isabelle. Quando Alec lo vide sbucare in cucina con il pigiama, i capelli spettinati e lo sguardo ancora assonnato super corrucciato, gli accennò un sorriso di incoraggiamento.
“Non prendertela, è una maestra dell’inganno.”
Jace si sedette pesantemente sul suo posto a tavola. “Ha dei seri problemi, lo sai, sì?”
Alec rise e girò nuovamente il bacon, che iniziava a cuocersi, diffondendo nell’aria un invitante profumino che gli fece brontolare lo stomaco. “Vedila così: è consapevole che passerà almeno quaranta minuti a vestirsi, truccarsi e pettinarsi, quindi vuole solo anticipare i tempi facendosi la doccia prima di te.”
Jace grugnì e appoggiò la fronte al tavolo con esasperazione. Alec, per consolarlo, mise le due fette di bacon già cotte in un piattino e gliele mise davanti. Il biondo, appena percepito l’odore del cibo, rialzò la testa.
“Mangia, dai. Il bello di non farsi subito la doccia, è che puoi iniziare a mangiare prima.”
Jace sorrise entusiasta come un bambino a cui è stato regalato un giocattolo inaspettato. “Amo il bacon!” Mangiò le due fette con la stessa voracità di qualcuno lasciato a digiuno per giorni. “Vado a svegliare Max.” disse poi, più di buonumore.
Ah, il cibo e i suoi miracoli.
“D’accordo.”
Jace si incamminò al piano di sopra e Alec tornò a preparare la colazione.

*

I Lightwood uscirono di casa verso metà mattina. Isabelle aveva stupito tutti preparandosi nella metà del tempo che ci metteva di solito e ottenendo lo stesso stupefacente risultato, come aveva fatto notare lei stessa. Max non aveva smesso di fare domande da quando Jace era andato a svegliarlo: perché usciamo?/dove andiamo?/cosa facciamo? 
Alec gli aveva detto che era una sorpresa e che fare domande era inutile perché non gli avrebbero detto nulla. Max aveva persino provato a corrompere Isabelle con la sua espressione da cucciolo che la faceva sempre cedere, ma Alec le aveva lanciato un’occhiata ammonitrice e lei aveva resistito.
“Come fai a resistergli, Alec?”
“Ho avuto a che fare con quell’espressione per sette anni, prima che arrivasse Max. So gestirla.”
“Stai parlando di me?”
“Sei perspicace, Iz!” 
Lei gli aveva fatto una linguaccia ed erano finalmente usciti di casa, dirigendosi verso la metropolitana. Isabelle aveva insistito per tenere Max per mano perché durante le vacanze la metro diventava ancora più affollata del solito e lei non voleva rischiare di perderlo di vista.
“Non sono più un bambino, Izzy!” si lamentò Max, mentre aspettavano il loro treno e Isabelle non mollava la sua mano.
“Sì che lo sei. E i bambini si tengono per mano!”
Max si imbronciò e si rivolse ad Alec. “Diglielo tu, ti prego!”
“Isabelle ha ragione. Tienile la mano.”
Sentendosi tradito da Alec, Max spostò lo sguardo supplichevole su Jace, ma il biondo scosse la testa. “Io mi associo a loro, Max.”
Il bambino aggrottò le sopracciglia, imbronciatissimo. “Siete dei traditori.” Brontolò, arrendendosi al fatto che avrebbe dovuto tenere la mano di sua sorella. Il piccolo tenne il broncio fino a che non arrivò il treno, poi lasciò che l’entusiasmo per quella giornata prendesse il sopravvento, spodestando qualsiasi altra sensazione. Non sapeva dove sarebbero andati, ma sapeva che sarebbe stato con tutti i suoi fratelli e che gli avevano preparato una sorpresa. Max amava le sorprese. Si sedette tra Isabelle e Jace, mentre Alec prendeva posto vicino al biondo.
“Allora, dove andiamo?” domandò di nuovo, spostando lo sguardo da Isabelle a Jace e da Jace ad Isabelle.
“È una sorpresa.” Rispose Jace, mentre Iz si apriva in un sorriso intenerito.
“Ma una sorpresa bella?”
“Esistono sorprese brutte?”
Il bambino parve pensarci su: “Beh, sì. Ricordi quella volta che mamma mi ha detto andiamo in un posto, ma è una sorpresa! E invece mi ha portato a fare il vaccino?”
Jace annuì. Erano loro tre e Max aveva sei anni. Erano entrati nello studio del dottore e come aveva visto il camice, aveva iniziato a piangere. Era passato solo un anno dall’incidente, pensò Jace, e realizzò che, con ogni probabilità, la reazione di suo fratello era dovuta al fatto che gli ricordasse il periodo passato in ospedale. Deglutì, sentendo un groppo in gola e scacciò quel pensiero.
“Sì, mi ricordo.”
“Non è stato una sorpresa bella. Mi hanno bucato un braccio!”
Isabelle gli circondò le spalle con un braccio e lo tirò a sé, dicendogli che questa volta era una sorpresa bella e che era sicura gli sarebbe piaciuta. Jace, invece, si voltò verso Alec, che si era incupito e aveva cominciato a mangiarsi nervosamente l’unghia del pollice.
“Alec, stai bene?”
Alec sussultò quasi, come se Jace l’avesse tirato via dai suoi pensieri con la forza. “S-sì, io stavo… è solo che…”
“Lo so,” lo interruppe Jace. “Lo so.”
Si guardarono un attimo, in silenzio e poi guardarono Isabelle, che aveva cominciato ad accarezzare i capelli di Max, che teneva ancora il viso appoggiato alla sua spalla.
Ricordare l’incidente era doloroso per tutti. Era una specie di demone che li avrebbe divorati sempre, l’unico mostro sotto al letto che non sarebbero mai riusciti a sconfiggere totalmente. Sarebbe stato sempre lì, in agguato, a ricordarli di quella volta che avevano quasi perso il loro fratellino. Era devastante.
“Facciamo un gioco?” La voce entusiasta di Max scacciò i brutti ricordi dalle menti dei suoi fratelli maggiori.
Ciò che era passato, nel passato sarebbe rimasto. Max era lì, con loro, e questo era ciò che contava.

I got all I need when I got you and I Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora