18.

5.9K 155 64
                                    

 Isabelle camminava per le strade di New York al fianco di Simon. Erano coperti con dei giubbotti pesanti per via del freddo e Izzy indossava un cappello di lana rosa che era in netto contrasto con la cascata di capelli corvini che fuoriusciva da esso. Guardava Simon che stava con il naso appiccicato alla vetrina del negozio di videogames, guardandolo con quell’amore negli occhi che lei riservata ai negozi di trucchi, o di scarpe.
Sorrise.
“Vuoi entrare?” domandò e Simon si voltò immediatamente verso di lei, abbandonando la vetrina. Un fiocco della nevicata che stava iniziando era rimasto impigliato nei capelli del ragazzo, mentre il suo naso era arrossato per via del freddo.
“Oh, no, non ti sottoporrei mai a-”
“Vuoi entrare?” domandò di nuovo lei, interrompendolo. Simon lanciò un’occhiata all’interno del negozio e poi un’occhiata ad Isabelle. Ripeté l’operazione per altre tre volte, tanto che Isabelle cominciò a ridacchiare perché lo trovava buffo in un modo adorabile.
Poi Simon inchiodò i suoi occhi nocciola in quelli di Isabelle e le rivolse un sorriso dolcissimo. “Vorrei tanto. Ma non lo faremo se tu non vuoi.” Si sporse verso di lei per prenderla per mano e far intrecciare le loro dita. Isabelle portava dei guanti di lana in tinta con il cappello, mentre Simon no e la ragazza si chiese se avesse freddo, mentre percepiva il suo cuore accelerare per via di quel contatto. Con Simon faceva cose che non avrebbe mai pensato di fare con nessuno: passeggiare e prendersi per mano, aprire il proprio cuore e mostrargli ogni parte di sé, anche quella vulnerabile. La cosa che più la spaventava era che mostrarsi anche fragile, davanti a Simon, non la spaventava per niente. Era una contraddizione, ma era così. E le piaceva. Le piaceva avere qualcuno che riuscisse a vederla completamente, che guardasse ad ogni parte di sé e stesse con lei in ogni caso, indipendentemente da tutto. Era meraviglioso e liberatorio riuscire a fidarsi così tanto di qualcuno, qualcuno di speciale come Simon.
“Simon,” cominciò, sfregando il pollice coperto dal guanto sul palmo nudo del ragazzo. “Sei entrato in ogni negozio di trucchi della città solo perché te l’ho chiesto. Cosa ti fa pensare che non farei lo stesso per te?”
Gli occhi nocciola di Simon si illuminarono e le passò la mano che aveva libera intorno alla vita per tirarla a sé e lasciarle un bacio a stampo. “Ce l’hai almeno un difetto?”
Isabelle rise, mentre Simon strofinava il naso contro il suo, come un bacio all’eschimese. “Sai, se entrassi, potresti aiutarmi.”
Izzy si incuriosì. “Ma davvero? E come?”
“Potresti usare il tuo super-potere di riuscire a piegare tutti gli uomini alla tua volontà, convincendo il commesso a vendermi Call of Duty con lo sconto riservato ai soci, nonostante la mia tessera sia scaduta.”
Izzy si finse offesa. “Vuoi strumentalizzarmi, Lewis?”
Simon fece cenno di no con la testa. “Stavo scherzando, Iz.” Le accarezzò una guancia e Isabelle si rese conto che aveva le mani fredde, così gliele afferrò tra le proprie per scaldargliele.
“Lo so.”
“Però potrei entrare e vantarmi con tutti dicendo che sei la mia ragazza. Potresti baciarmi in pubblico, sennò non ci crederebbe nessuno!”
Isabelle aggrottò la fronte. “E perché non dovrebbero crederci?”
“Izzy, andiamo. Siamo su due piani completamente diversi: sei una specie di Afrodite e io sono Efesto.”
Simon non si stava compatendo, non lo stava dicendo per sentirsi dire il contrario, lo stava dicendo perché lo pensava davvero e sembrava gli stesse bene così, come se fosse una verità che aveva semplicemente notato e accettato. Ma Isabelle non la vedeva così, assolutamente.
“Non è vero!” esclamò, infervorandosi, quasi. “Non devi pensarlo perché non è vero. Tu sei il ragazzo migliore che abbia incontrato. Sei altruista, gentile, premuroso. Sei buono e simpatico, riesci a mettere di buon umore chiunque.” Izzy si fermò solo per prendergli il viso tra le mani. “E sei bellissimo, Simon.” Gli sorrise con dolcezza e si stupì di se stessa sentendo con quanta facilità, ancora, era riuscita ad essere così schietta e sincera davanti a Simon, riuscendo ad esternare i suoi più profondi pensieri. “Se mi vedi come Afrodite, allora tu sei Ares, l’uomo di cui era davvero innamorata.” Quella parola le uscì con la stessa naturalezza con cui cercava l’acqua quando aveva sete e le suonava così giusto che non provò nessuna paura a dirlo ad alta voce, ad esternare i suoi sentimenti. Lo amava, l’aveva capito da un pezzo, e trovava fosse giusto dirglielo.
“Tu s-sei…” Simon boccheggiò. “Hai appena… appena detto che m-mi ami?”
“Sì. E va bene se tu non vuoi dirlo, Simon. Non voglio che tu ti senta costr-”
Simon la interruppe con un bacio. Izzy sentì le braccia del ragazzo intorno alla vita mentre la stringeva forte a sé, quasi come se non volesse più lasciarla andare. La strinse ancora e ancora, fino a che non le mancò il respiro, ma non le importava. Era bello, era vero. Ogni volta che Simon la baciava, il cuore di Isabelle scalpitava come se volesse urlarle che era lui ciò che stava aspettando, che l’avrebbe resa felice in un modo tutto nuovo.
“Ti amo anche io, Izzy. Dio, credo di averlo fatto dal primo giorno che siamo usciti insieme, ma non volevo spaventarti, dicendotelo.” 
“Se me l’avessi detto il primo giorno, forse l’avresti fatto.”
“Lo so. E nonostante io abbia pazientemente aspettato, mi hai comunque battuto sul tempo. Sei una scheggia, Lightwood.”
Isabelle rise, tenendo gli occhi fissi in quelli di Simon. Ecco, lì, in quelle iridi calde e rassicuranti, era l’unico luogo in cui perdersi non la terrorizzava.
“Ma sei l’unico che sia riuscito a starmi dietro.”
“Sono come Bolt, ragazza!”
Isabelle scosse la testa affettuosamente, mentre lasciava un bacio sulla guancia di Simon. Era accaldata, notò, come se le loro dichiarazioni avessero sciolto il freddo. “Hai un videogame da comprare, Usain.”
Simon, in risposta, si avvicinò all’entrata e le tenne la porta aperta. “Prima le signore, milady.” 
L’apertura della porta di casa distrasse Isabelle dal suo ricordo. Era pieno pomeriggio e i suoi genitori non sarebbero tornati prima di sera, quindi dedusse che doveva essere qualcun altro. Abbandonò il pacco di biscotti, che aveva appena appoggiato al tavolo della cucina, e si diresse verso l’entrata, dove trovò Alec sulla porta. Portava ancora i vestiti di Capodanno e aveva una sorriso sul viso che gli tendeva le guance. Lo osservò mentre si toglieva il giubbotto e lo appendeva all’attaccapanni e, nel mentre, Isabelle si trovò a pensare che era moltissimo tempo che quel sorriso non faceva capolino sul volto del fratello. Quando erano piccoli, Alec era un bambino solare, sorridente e spensierato. Durante l’adolescenza, però, i suoi sorrisi avevano cominciato a farsi sempre più rari, i suoi occhi avevano perso quella luce gioiosa, come se fosse stata inghiottita dall’oscurità della consapevolezza di essere come era. Alec aveva impiegato un po’ ad accettarsi, a capire che lui era fatto in un determinato modo e Isabelle si era impegnata fin da subito a fargli capire che aveva tutto il suo appoggio, che il fatto che suo padre pensasse ci fosse qualcosa di sbagliato nell’essere gay non significava che lo pensassero tutti. Tutto questo aveva riportato Alec ad essere meno oppresso. Aveva ricominciato a sorridere, seppur timidamente, come se non avesse voluto attirare troppo l’attenzione su di sé, temendo che in quel modo qualcuno sarebbe riuscito a leggergli la verità in faccia. Per questo aveva cominciato a vestirsi di scuro, con gli abiti più semplici possibili: per non attirare l’attenzione, per non rischiare di essere notato e dover ammettere ad alta voce quello che loro due già sapevano. Ma poi era arrivato Magnus e con lui lo scudo di Alec non aveva funzionato. Nessun vestito scolorito sarebbe mai riuscito ad impedire a Magnus di vedere Alec, di notare la sua bellezza, perché per quanto Alec si impegnasse per nascondere quella esterna, Magnus aveva notato la bellezza del suo cuore, come se fosse riuscito a fiutarla. Aveva visto la luce di Alec e aveva fatto in modo che risplendesse forte e vigorosa, che abbattesse ogni oscurità.
“Ehilà, straniero!” Lo salutò buttandogli le braccia al collo. Alec si chinò leggermente e le circondò la vita, ricambiando l’abbraccio. Profumava di legno di sandalo, notò Izzy, e anche se lei non andava particolarmente matta per quella fragranza, doveva ammettere che su Alec stava bene.
“Ehi.”
“Sei tornato in patria.” Izzy sciolse l’abbraccio e cercò gli occhi del fratello. “Volevo darti per disperso.”
Alec sbuffò una risata dal naso. “Ti ho mandato un messaggio, Iz.”
Dormo da Magnus. Non è esattamente il tipo di messaggio che definirei eloquente.”
“No, ma centrava il punto.”
Isabelle gli rivolse un sorrisetto carico di consapevolezza. “Suppongo che anche Magnus abbia centrato un determinato punto.”
Alec sgranò gli occhi e arrossì violentemente. “Isabelle!!”
“Cosa?” rise lei, giocosa. “Vuoi dirmi che l’enorme succhiotto che hai sul collo è indice di qualcos’altro?”
Alec si sfregò il punto incriminato con una mano. “No… è successo.”
“Avete fatto sesso?” domandò euforica Isabelle, senza preoccuparsi di moderare il tono della voce. Alec divenne ancora più rosso, se possibile.
“Potresti non gridarlo? Non penso che i nostri vicini vogliano sapere queste cose!”
“Questo lo credi tu: abbiamo dei vicini talmente repressi che adorerebbero sentire cose sconce!”
Alec le rivolse un sorrisetto, sebbene le sue guance fossero ancora cremisi. “Dettagli che li aiuterebbero a ricordare un tempo passato, in cui non temevano il giudizio del loro Dio solo perché facevano sesso protetto?”
Isabelle spalancò la bocca, piacevolmente sorpresa. “Chi sei tu e che ne hai fatto del mio rispettoso fratello?”
Alec rise, tirando indietro la testa.
“Il sesso fa questo effetto, sulle persone. Toglie l’innocenza a chiunque!” Esclamò Jace, facendo capolino dal divano e spaventando entrambi i suoi fratelli. Il suo viso sbucava dalla spalliera del divano, mentre i suoi capelli arruffati gli davano un’aria scompigliata. Non per questo spiacevole, comunque. A quanto pare, Jace sarebbe apparso bello anche vestito di stracci.
“Sei cretino, Jace?” imprecò Isabelle. “Cosa ci fai lì?”
“Dormivo, ma poi i vostri discorsi su Magnus che c’entra un determinato punto di Alec mi hanno svegliato.”
Alec divenne viola mentre passava lo sguardo da Isabelle a Jace. Il biondo si alzò dal divano e dopo essersi passato una mano tra i capelli per cercare di aggiustarli, raggiunse i suoi fratelli.
“Oh, andiamo.” Disse, quindi. “Non fare quella faccia da cane bastonato! È normale fare sesso e dirlo ai propri fratelli!”
“Esatto, fratellone! Io e Jace te l’abbiamo subito detto, ricordi?”
Alec ricordava benissimo quelle conversazioni piene di dettagli. “Ricordo anche troppo bene. Ancora non riesco a guardare Meliorn e Kaelie senza pensare a tutte le cose che mi avete raccontato!”
Isabelle e Jace risero di gusto e si diedero il cinque. Alec pensò che sotto molti punti di vista si assomigliassero più di quanto si potesse immaginare.
“Okay,” cominciò Izzy, “Inizia a parlare!”
Alec scosse la testa. “Assolutamente no!” esclamò perentorio. “Non esiste al mondo. Toglietevelo dalla testa!”
“Non è giusto!” dissero in coro.
“Sì che lo è. Si chiama vita privata per un motivo.” Alec si incamminò verso la cucina – ora che ci pensava, era affamato. Lui e Magnus non avevano mangiato un granché. Alla fine, pensò Alec con un sorriso sulle labbra, erano stati davvero tutto il tempo a letto – che fosse per poltrire o per fare altro.
“Sorride?” chiese Jace, come raggiunse il fratello in cucina, ad Isabelle, che stava al suo fianco. “Stasorridendo?
Isabelle guardò il fratello e annuì energicamente, mentre Alec li ignorava e prestava attenzione al pacco di biscotti che Isabelle aveva abbandonato per andargli in contro.
“Oggi Alec che sorride e domani cosa, locuste? La fine del mondo è vicina!”
Solo a quel punto Alec alzò gli occhi dal pacchetto di biscotti a Jace. “Io sorrido sempre.” disse a denti stretti.
“Certo, raggio di sole, proprio come stai facendo in questo momento?” Jace gli si avvicinò e ficcò una mano nel pacchetto di biscotti che Alec aveva aperto. “Tu non sorridi mai, Mercoledì Addams.” Continuò Jace, stuzzicandolo e addentando il biscotto. “A meno che…” lanciò un’occhiata eloquente ad Isabelle, che portò le labbra all’interno della bocca per non ridere. “A meno che Magnus non sia estremamente bravo e ti abbia dato un grosso motivo per sorridere.”
Alec si strozzò con il biscotto che stava masticando, mentre le sue guance si accaldarono, diventando, con ogni probabilità, di una tonalità di rosso intenso sconosciuta all’umanità fino a quel momento. Lanciò un’occhiataccia a Jace, che lo guardava con un sorriso furbo sul viso, mentre Isabelle emise una risatina dal naso. “Sei pessimo, Jace.”
“Confessa. Racconta e ti darò tregua. In caso contrario, ti tormenterò finché non parlerai.”
“Ho passato metà della mia vita a tenere nascosto un segreto, pensi che cederò così facilmente?”
“È una sfida?”
“Vuoi che lo diventi?” 
Senza rendersene conto, si erano persino avvicinati, come se lo spirito di competitività che caratterizzava entrambi avesse funto da calamita per attirare uno all’altro. Isabelle, che si era seduta sul tavolo vicino al pacchetto di biscotti, alzò gli occhi al cielo. C’era così tanto testosterone in quella stanza, che se non fosse intervenuta subito e li avesse lasciati continuare, entro la fine di quella discussione persino lei si sarebbe trasformata in un maschio.
“D’accordo Rambo 1 e 2. Smettetela.” Scendendo dal tavolo, si mise tra i suoi fratelli e li allontanò uno dall’altro. “Alec ci parlerà delle sue cose quando vorrà.”
Se vorrò.”
Jace roteò gli occhi. “Allora saremmo vecchi e decrepiti e non ci ricorderemo più nemmeno cos’èil sesso.”
Izzy si voltò verso di lui. “Parla per te.”
Entrambi i suoi fratelli fecero una smorfia inorridita. “Iz! Risparmiacelo!” esclamarono all’unisono e Isabelle non poté fare a meno di trovare la cosa divertente.
“Non vi risparmio un bel niente. Allora, biscotti?”
Jace e Alec annuirono.
“Alec, mi prendi il vasetto di cioccolata nella dispensa? Senza tacchi non ci arrivo.”
Jace le si avvicinò, mentre Alec si dirigeva dove gli era stato chiesto, e le diede un buffetto sulla testa. “Perché sei una nanetta.”
In altre circostanze, Izzy gli avrebbe risposto per le rime, ma la sua attenzione venne catturata da un luccichio sulla mano destra di Alec, mentre la sollevava per afferrare il vasetto di cioccolata. “Alec.” cominciò. “CHE COS’È QUELLO?”
Alec ritirò in fretta la mano e si maledisse mentalmente di non essere stato più attento.

I got all I need when I got you and I Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora