17.

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Magnus infilò la chiave nella toppa al quarto tentativo e se una cosa simile, solo qualche anno prima, sarebbe stato sintomo di un’ubriacatura colossale, in questo caso, l’alcol non c’entrava niente. Il responsabile della sua momentanea inabilità ad infilare la chiave nel suo posto, era Alec, che ogni volta si chinava per lasciargli scie umide di baci sul collo che portavano Magnus a mandare al diavolo la chiave, la porta e attaccare al muro Alec per divorargli la bocca di baci. Tutto ciò era successo per tre volte di fila. Alec si chinava a baciare Magnus, che all’inizio cercava di concentrarsi su quello che stava facendo, ma poi il suo cervello altro non faceva che percepire la bocca di Alec su di sé e allora si voltava e lo sbatteva al muro vicino a loro, infilandogli una mano tra i capelli e l’altra sotto alla camicia perché sì. Non aveva un motivo specifico per farlo, in realtà. Era uno dei vantaggi di essere il ragazzo di qualcuno: quel qualcuno vuole essere toccato tanto quanto l’altro vuole toccare. E Magnussapeva benissimo quanto questo principio potesse essere applicato a lui e Alec.
“Dovresti smetterla di distrarmi, altrimenti passeremo la notte qui.”
“Questo muro non è poi così scomodo.” Alec si sporse in avanti per baciarlo ancora, le sue mani allacciate al cappotto di Magnus, stringendolo saldamente.
“No, ma un letto lo sarebbe ancora di più.”
Alec gli baciò la fronte. “Hai ragione.” Con un braccio indicò la porta, come se lo stesse invitando ad aprirla. “Non ti distrarrò più.”
Magnus infilò la chiave nella toppa e la fece girare, aprendo così la porta. “Ora che l’abbiamo aperta, puoi distrarmi tutte le volte che vuoi.”
Alec rise e seguì Magnus all’interno della casa. Era familiare e gli dava una sensazione pacifica, come se vivesse lì da sempre. Realizzò che quella sensazione non era riferita tanto alla casa, quanto a Magnus e gli venne in mente una frase che aveva sentito – o letto, non ricordava più – che diceva che casa non è un posto, ma una persona. Magnus era la sua casa, era la personificazione di quella sensazione di pace e serenità che prima di incontrarlo non aveva mai provato totalmente. Magnus lo faceva sentire giusto, cancellava ogni sprazzo di quella sensazione di essere sbagliato che aveva sempre provato prima di conoscerlo.
Magnus era tutto ciò che c’era di bello nel mondo e nella vita. Era come il dente di leone che sopravvive all’inverno, era l’arcobaleno dopo la tempesta.
Magnus era amore allo stato puro, era luce.
“Tesoro?” Magnus lo chiamò da un’altra stanza e Alec si rese conto di essersi perso nei suoi pensieri e di essere rimasto in sala dopo aver appeso il proprio giubbotto all’attaccapanni.
“Sì?” rispose, incamminandosi verso la fonte della voce.
“Vuoi la cioccolata calda?”
La voce di Magnus veniva dalla cucina e quando Alec ci entrò, trovò Magnus intento a rovistare nella dispensa alla ricerca della bustina di cioccolata. Alec sorrise in automatico perché lo trovava tenero.
“Non si dice mai di no alla cioccolata calda.”
Magnus si voltò e gli sorrise. “Sapevo l’avresti detto.”
“Vuoi che ti aiuti?”
“Lo gradirei moltissimo, pasticcino.”
Alec rise e si avvicinò al frigo per prendere il latte, poi si diresse verso Magnus e, insieme, cominciarono a preparare la cioccolata.

*

La notte può essere un terribile nemico o una perfetta alleata. Nel primo caso, quando i pensieri negativi cominciano ad affollare le menti, la notte riesce a renderli ancora peggiori, catastrofici quasi, arrivando a toccare le oscurità più profonde, quelle di cui la notte stessa si nutre per rafforzarsi e diventare sempre più spaventosa. Ma nel secondo caso, può rendere tutto perfetto: il silenzio, la pace, l’assenza di rumori, se non i suoni emessi dagli animali, l’intimità. Alec era fermamente convinto che quella notte, l’oscurità avesse deciso di essere loro alleata. Se ne stava sdraiato sul divano insieme a Magnus, tra le sue gambe divaricate e con la schiena appoggiata al suo petto, mentre il suo ragazzo gli accarezzava i capelli, facendoli intrecciare alle proprie dita, e pensava che avrebbe potuto passare la sua intera vita in quel modo – in una casa silenziosa e solo con Magnus come compagnia. La mente rilassata di Alec vagò ad un futuro in cui loro due vivevano insieme e sentì il viso accaldarsi. Gli piaceva pensare che loro due sarebbero stati per sempre, che non era solo una cotta adolescenziale, ma qualcosa di duraturo nel tempo, l’inizio del loro e vissero per sempre felici e contenti. Era una cosa sdolcinata e forse un pensiero immaturo perché finali del genere esistono solo nelle favole, ma Alec sapeva che avrebbe affrontato draghi di ogni forma e dimensione, se significava stare tutta la vita con Magnus. Non gli importavano le possibili difficoltà, non le temeva, fin tanto che aveva la consapevolezza che sarebbero stati insieme.
“Un penny per i tuoi pensieri.” Mormorò Magnus, le dita che continuavano a giocare con le ciocche corvine di Alec.
Alec afferrò la mano libera di Magnus e cominciò a giocare con le sue dita, facendole intrecciare alle proprie. “Non voglio che questo finisca.”
“Di cosa parli?”
“Di noi. Di tutto questo. Non voglio che finisca.”
“E non finirà, Alexander.”
Alec gli baciò il dorso della mano e continuò ad accarezzarlo con il pollice mentre si preparava a dirgli ciò che gli passava per la mente. “È che… ti amo così tanto che a volte temo possa esplodermi il cuore. Non… io non… non riesco ad immaginarla una vita senza te.”
Il cuore di Magnus galoppò nel suo petto, battendo contro la cassa toracica così forte che il ragazzo temette di vederlo uscire dal proprio corpo. Nemmeno lui riusciva ad immaginarla una vita senza Alexander e sapere che per lui era la stessa cosa, lo emozionava. Ciò che Alexander provava per lui era qualcosa di forte e puro e incondizionato, qualcosa che Magnus temeva non avrebbe mai sperimentato nella sua vita, convinto che mai nessuno l’avrebbe amato in quella maniera. E invece… invece al mondo esisteva Alexander Lightwood, la creatura più bella che fosse mai stata creata. Forse Magnus cominciava a credere ci fosse un Dio, su in Cielo – un Dio che aveva voluto dimostrargli la Sua esistenza mandandogli il Suo angelo più bello, Alexander, e non solo l’aveva fatto innamorare di lui, ma aveva fatto in modo che lui ricambiasse quell’amore.
Alec si voltò prima che Magnus potesse rispondergli, alzandosi e mettendosi a sedere sui talloni. “Non la voglio una vita senza di te.” Lo guardò, scuotendo leggermente la testa, i suoi grandi occhi cervoni che facevano trasparire tutta la sincerità disarmante di quelle parole dettate da un cuore innamorato. Magnus capì cosa voleva dire Alec quando diceva che lo amava così tanto che temeva il cuore potesse esplodergli perché era la stessa sensazione che provava lui.
“Nemmeno io.” Si mise a sedere a sua volta, allungando una mano per sfiorare il viso di Alec. “Preferirei vivere solo un giorno con te che un’intera vita senza te.” Deglutì sentendo la sua stessa voce tremare dall’emozione. “Sei parte di me, sei la mia persona. Non voglio rinunciare a tutto questo per niente al mondo.”
Sul viso di Alec comparve un sorriso luminoso, uno di quelli che facevano tremare le gambe di Magnus, prima di avvicinarsi a lui e lasciargli un bacio a stampo, delicato, ma importante, come le parole che stavano pronunciando.
“Ti amo.” Gli sussurrò, appoggiando la fronte a quella di Magnus.
“Anche io, amore mio, tantissimo.”
Alec ebbe un piccolo sussulto, impercettibile per chiunque, ma non per Magnus. Quelle parole lo colpirono come un fulmine che colpisce la sabbia, e proprio come fa la sabbia, si cristallizzarono all’interno del suo cuore; gli entrarono dentro con la potenza di un uragano, una marea che si scontra violenta sugli scogli. Gli fecero tremare prepotentemente l’anima e per un attimo il respiro gli venne a mancare, mentre sentiva l’eco del suo cuore rimbombare nelle orecchie. Non aveva mai pensato che qualcuno potesse chiamarlo così perché non aveva mai pensato di poter appartenere a qualcuno in quel modo. Mai avrebbe pensato che qualcuno potesse definirlo il suo amore e sapere che era Magnus a farlo gli faceva attorcigliare lo stomaco in una piacevole morsa di calda euforia.
“Ridillo.” Gli sussurrò, sfiorandogli le labbra con le proprie, ma senza baciarlo, così che niente gli impedisse di parlare ancora.
“Amore mio.” Mormorò Magnus, baciandogli un angolo della bocca. “Amore mio.” Continuò passando all’altro angolo.
Alec, con il cuore che stava impazzendo, azzerò la minuscola distanza che c’era tra loro e lo baciò, con delicatezza e devozione, la stessa che provava nei suoi confronti. Lo baciò come se volesse dimostrargli quanto era importante per lui, come se volesse fargli arrivare tutta la potenza e veridicità delle sue parole, come se volesse fargli capire che gli apparteneva e sarebbe sempre stato così, perché Alec si sentiva di Magnus e sentiva Magnus suo.
“Amore mio, mio, mio, mio.” Finì Magnus, quando si staccarono, e Alec rise, immettendo il viso nell’incavo del suo collo.
Era felice. Dio, se era felice.
Uno sbadiglio ruppe quel momento idilliaco, tradendo la stanchezza di Alec. Erano passate le tre da un pezzo, forse si stavano già avvicinando le quattro, e Morfeo stava cominciando a prendersi lo spazio che esigeva ogni notte, facendo cadere nel sonno metà del globo terrestre.
“Vuoi andare di sopra, pulcino?”
Alec sfregò il viso sulla pelle di Magnus, come se fosse bisognoso di affetto. “No, voglio stare qui, così, per sempre.”
Magnus rise e giocò con i capelli sulla nuca di Alec. “Ma di sopra staremo più comodi, più vicini, appiccicati, direi. E potrei abbracciarti meglio, mentre stiamo al caldo sotto al piumone.” Parlò, suadente.
Alec alzò il viso e gli baciò la punta del naso. “Mi hai convinto ad appiccicati.
Magnus rise di gusto, tirando indietro la testa e Alec azzardò a baciargli il pomo d’Adamo, facendo attenzione a non fargli male. Magnus, comunque, glielo lasciò fare, tenendo indietro la testa anche dopo che la sua risata si era calmata. “Andiamo su, amore.”
E ad Alec, che capì che quel vezzeggiativo gli rendeva le gambe molli e gli scioglieva la spina dorsale, altro non rimase da fare che annuire e lasciarsi condurre al piano di sopra da Magnus.
Quello, comunque, era il suo soprannome preferito, quello che avrebbe ascoltato all’infinito.
Amore. Era bello da sentire.

I got all I need when I got you and I Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora