Alec si svegliò la mattina seguente con un mal di testa atroce e la bocca impastata dall’alcol. Non l’aveva ancora appurato, ma era quasi sicuro che il suo alito sapesse di morte – non che avesse l’impellenza di scoprirlo. Nonostante l’emicrania che minacciava di fargli esplodere il cervello, però, si svegliò con il sorriso. Cosa che, si rese conto, succedeva spesso da quando aveva conosciuto Magnus.
Magnus.
Tutto era più bello in sua compagnia: ballare, baciarsi, persino bere dal bicchiere dell’altro incrociando gli avambracci e facendo attenzione a non far cadere l’alcol. Erano diventati piuttosto competitivi, quando si erano sfidati a quel gioco, tanto che avevano cominciato a tirare di proposito l’uno il braccio dell’altro affinché versasse più liquido. Tutto ciò era finito in uno scoppio di risate e Alec, davvero, non ricordava di aver mai riso tanto. Posò una mano sulla pancia, ricordando che, ad un certo punto, le risate gli avevano fatto dolere gli addominali.
Ma quel tocco lo fece focalizzare anche su un’altra parte della serata. Quando era stato Magnus a sfiorarlo nello stesso punto, il palmo aperto sul suo addome, mentre lo accarezzava in tutta la sua lunghezza, il tocco caldo che aveva fatto mancare il respiro ad Alec. Lui e Magnus avevano fatto… qualcosa.
(Sesso orale, Alec! Chiama le cose con il loro nome!)
Non si stupì nemmeno più di tanto quando quel rimprovero risuonò nel suo cervello con la voce di Isabelle. Rimaneva il fatto che, comunque, avesse ragione.
Sesso orale.
Più ripeteva quelle parole nella sua mente, più assumevano il loro significato. Alec aveva sempre pensato al concetto del sesso in generale come qualcosa di lontano, qualcosa che avrebbe sperimentato solo dopo essersi allontanato dalla casa di famiglia, magari al college, dove avrebbe potuto essere chi era veramente senza premurarsi di nascondersi e, di conseguenza, riuscire a sperimentare ciò che i ragazzi della sua età normalmente sperimentavano. Mai avrebbe pensato, quindi, di sentirsi pronto a sperimentare certe cose così presto.
Era tutto merito di Magnus, pensò, del modo che avevano loro due di connettersi. Ripensandoci, sentiva salire in sé quel terrore che avrebbe dovuto provare mentre viveva quella situazione, l’agitazione della prima volta. Non si imparava a fare certe cose, non c’erano manuali su cui poter apprendere come muoversi in quel campo. Nessuno insegnava ad un ragazzo gay come fare a rapportarsi con la sessualità e il sesso in generale. E quindi Alec aveva dovuto fare tutto da solo, seguendo il suo istinto, che sicuramente ne sapeva più di lui. O almeno, così credeva, fino a quando non si era trovato effettivamente in ginocchio e un principio di panico si era insinuato in lui, facendolo sentire come un analfabeta a cui viene affidato il lancio di uno shuttle della NASA nello spazio. La sua ragione, in quella frazione di tempo, aveva ripreso il comando della nave-Alec e aveva cercato di commettere ammutinamento contro l’istinto – quella piccola, subdola manipolatrice voleva tornare padrona e avere di nuovo la supremazia – ma poi, Magnus aveva parlato.
“Fai attenzione ai denti, tesoro.”
E Alec aveva ritrovato tutta la sua sicurezza, che l’aveva spinto a zittire la prepotenza della sua razionalità, e si era lasciato guidare da quella parte di sé che aveva desiderato esplorare l’aspetto fisico di una relazione con qualcuno al quale si sentiva così legato. Se i loro cuori erano intrecciati, aveva pensato Alec, era giusto che cominciassero a farlo anche i loro corpi. E, sebbene non avessero avuto un rapporto completo, Alec era felice di aver fatto quel piccolo, ma importante, passo.
Scostò le coperte, facendo particolare attenzione a non fare nessuno rumore, alzandosi. Nella stanza entrava una luce blu, tipica della mattina presto, e i respiri profondi di Jace spezzavano il silenzio. Suo fratello stava ancora dormendo, per cui Alec uscì dalla loro camera silenziosamente.
Sulla porta, ascoltò i rumori della casa per capire chi fosse sveglio. Da basso, arrivò il suono di pentole e padelle, chiaro segno che Maryse era già in un cucina per preparare non solo la colazione, ma anche il pranzo. Giorno di festa – rosso sul calendario – significava nonna Phoebe in visita. Alec avrebbe storto il naso, se il suo umore non fosse stato così alla stelle.
Si diresse verso il bagno, aprì la porta e vi entrò con tutta l’intenzione di farsi una doccia, ma qualcosa, nel fugace riflesso che i suoi occhi carpirono nello specchio, lo indusse a fermarsi e a guardarsi meglio.
“Alec, che hai sul collo?”
A quanto pareva, un succhiotto enorme. Alec sapeva che ci sarebbe rimasto il segno, ma non credeva che sarebbe stato così grosso. Non se ne dispiacque, comunque. Poteva coprirlo da occhi indiscreti con facilità, mentre lui, adesso, poteva concedersi un’occhiata a quel simbolo, alla prova che effettivamente tutto ciò che stava rivivendo nella sua mente era successo davvero e non era stato un sogno.
Il suo stomaco ebbe un tuffo, mentre le sue dita allargavano il colletto della maglietta per riuscire a vedere meglio quel segno. Lo sfiorò con la mano libera e la sua mente tornò, ancora una volta, alla sera prima, a Magnus che gli aveva preso il viso con una mano, lo aveva fatto alzare e gli aveva pulito un angolo della bocca con il pollice, prima di sfiorare tutto il labbro inferiore. Alec, a quel gesto, aveva istintivamente schiuso le labbra e Magnus l’aveva baciato. L’avevano fatto moltissime volte, nell’ultimo periodo, ma quel bacio in particolare aveva un sapore nuovo. Sapeva di gentilezza, ma allo stesso tempo mandava scariche elettriche in tutto il corpo di Alec; lo faceva sentire al sicuro, sebbene l’impressione che aveva era quella di essersi lanciato da un burrone senza paracadute.
Era un bacio lento, pieno di accortezza, ma non per questo privo di passionalità. Alec aveva sentito ogni singolo centimetro del suo corpo diventare bollente, mentre Magnus spostava le proprie labbra dalla sua bocca e si dirigeva, lentamente, verso la sua mascella. Non l’aveva morso, come aveva fatto Alec con lui, si era limitato a percorrere la distanza tra le labbra e il lobo con una tranquillità calcolata, lasciando baci umidi lungo una strada ben delineata. E quando era arrivato sotto all’orecchio, gli aveva afferrato il lobo tra le labbra e aveva cominciato a succhiarlo. Alec aveva soffocato un gemito.
“Non farlo.” Aveva sussurrato Magnus al suo orecchio, “Non trattenerti.”
Alec aveva annuito – perché parlare in quel momento gli sembrava estremamente difficile – e Magnus aveva fatto scendere la bocca fino al suo collo. C’era una calma in Magnus, così diversa dall’irruenza che aveva avuto Alec, che rendeva il tutto estremamente piacevole. Alec era bruciato in fretta, come un fuoco di paglia, guidato dalla sua frenesia, dalla voglia di scoprire al più presto qualcosa che non si conosce, ma che si ha voglia di provare. Magnus, invece, stava bruciando lentamente, un incendio che si prendeva piano piano un pezzo di foresta alla volta, diventando sempre più alto, sempre più indomabile, sempre più letale. Conosceva quello che stava facendo e lo stava facendo dannatamente bene, prendendosi il tempo necessario affinché Alec potesse imprimersi anche il più piccolo dettaglio nella mente per non dimenticarlo mai. Ecco cosa stava facendo Magnus: gli stava regalando un ricordo, qualcosa che si sarebbe portato con sé tutta la vita. E per far imprimere un ricordo a fondo, ci vuole calma, pazienza e cura.
Fu in quel momento che gli lasciò il succhiotto. Alec aveva sentito le sue labbra premere all’altezza della giugulare, la lingua che lambiva la pelle e i denti che la mordicchiavano senza fargli male. Come se fosse stato possibile, aveva pensato Alec in un momento di lucidità, che tutto questo potesse in qualche modo essere spiacevole. Adorava tutto questo. Gli piaceva sentire come la bocca di Magnus fosse rovente sulla propria pelle e riuscisse a lasciare segni su di essa.
“Hai l’affanno, tesoro.” Aveva detto Magnus, abbandonando il suo collo per tornare a guardarlo il viso. Dio, quanto erano belli i suoi occhi. Alec adorava il loro colore, caldo e avvolgente come le fiamme. C’era qualcosa di rassicurante e pericoloso, in essi, come se fossero stati in grado di distruggere qualsiasi cosa, se solo quel qualcosa avesse fatto male a chi Magnus amava. Erano una calamita, per Alec, che mai si sarebbe stancato di perdersi dentro di essi.
“È colpa tua.” La sua voce aveva tremato, rauca e ansimante, il cuore che sembrava volesse schizzare fuori dal petto.
Magnus aveva sorriso. “Io direi che è merito mio.” E lo aveva detto carico di orgoglio, come se ciò che stava facendo fosse la cosa migliore al mondo. E forse lo era davvero.
Magnus l’aveva baciato di nuovo, prima di fare un passo indietro – con grande disappunto di Alec, che aveva aggrottato le sopracciglia in una muta richiesta di spiegazione. Magnus aveva sorriso di nuovo.
“Voglio guardarti, Alexander. Non vado da nessuna parte.”
E lo guardò. Dio, se lo guardò. Alec pensava si sarebbe disintegrato, liquefatto, sotto quello sguardo, che percorreva ogni singolo millimetro del suo corpo come se dovesse placare una fame disumana. Magnus lo guardava e Alec bruciava, sentiva la pelle formicolare e richiamare la sua vicinanza.
“Toccami.” Gli uscì, prima che ricordasse di aver già fatto una richiesta simile nella stessa stanza, solo qualche tempo indietro. Magnus gli si avvicinò di nuovo, lo sguardo incollato alla figura di Alec, che per la prima volta in vita sua si era sentito bello, come se riuscisse a vedersi attraverso gli occhi di Magnus.
Aveva trattenuto il respiro quando il suo ragazzo aveva cominciato ad accarezzarlo: era partito dalle clavicole e lentamente era sceso al petto, coperto da una leggera peluria, e agli addominali, piano, percorrendone la loro fattezza, come un cieco che cerca disperatamente di definire i contorni di qualcosa che ha sempre desiderato vedere, ma che, purtroppo, non vedrà mai. Il fatto era, però, che Magnus lo vedeva e lo toccava, accarezzandolo con una devozione che Alec non avrebbe mai pensato qualcuno avrebbe potuto riservargli.
Il respiro gli si mozzò ancora – e davvero aveva perso il conto delle volte che l’aria gli era venuta a mancare – quando Magnus aveva cominciato a baciargli la clavicola, su cui lasciò un morso, ed era sceso, tracciando con la lingua il perimetro di un capezzolo. Alec era sicuro di aver tremato, a quel punto.
Non riusciva più a respirare. Gli sembrava di correre una maratona che non avrebbe mai avuto fine. L’unica cosa che riusciva a uscire dalla sua bocca erano sospiri mozzati e gemiti che non cercava più di trattenere perché non avrebbe avuto senso farlo. Il cuore pompava frenetico il sangue al corpo, ma Alec aveva l’impressione che arrivasse solo in un punto specifico. E Magnus sembrava se ne fosse accorto. Deglutì, quando cominciò ad accarezzarlo sopra alla stoffa dei pantaloni, la patta gonfia e dolorosamente scomoda.
“Era questo che intendevi,” aveva cominciato, facendo scivolare le dita dentro ai pantaloni e ai boxer di Alec, “Quando mi hai chiesto di toccarti?”
Alec aveva chiuso gli occhi e sbattuto la nuca contro il muro, per darsi una parvenza di contegno. Non avrebbe resistito ancora molto, lo sapeva, e non voleva che tutto questo finisse. Non ancora. Ne voleva ancora un po’. Alec voleva bruciare ancora un po’. Se era quello l’inferno riservato ai peccatori di cui parlavano quei bigotti all’Istituto, Alec era felice di accogliere la dannazione eterna.
Scosse la testa ad occhi chiusi, in un segno di diniego.
“Guardami, Alexander.”
Alec aveva obbedito. L’ambra liquida negli occhi di Magnus aveva una sfumatura dorata che li accendeva di una luce nuova, carica di desiderio.
“Cosa vuoi che faccia, tesoro?” aveva chiesto, roco.
Alec si era schiarito la gola, sentendola secca. Come poteva chiedergli una cosa simile in un momento in cui il suo cervello era andato in tilt e ragionare gli veniva difficile come scalare una montagna altissima senza le dovute dosi di ossigeno in più?
Ecco cosa gli faceva Magnus, gli azzerava il cervello e lo privava di ossigeno. Gli faceva martellare il cuore con prepotenza e incendiava il suo corpo in un modo che andava al di là dell’umana comprensione. Quello che riusciva a fargli provare Magnus, in ogni contesto, era qualcosa di ultraterreno.
Magnus fece uscire la sua mano dai pantaloni di Alec, che come unica risposta riuscì ad elaborare solo un lamento di disapprovazione.
“Devi solo chiedere, Alexander.”
Magnus stava giocando ad un gioco che sembrava fosse stato inventato da lui stesso. Faceva sembrare che tutto dipendesse da Alec, ma in realtà tutto dipendeva da lui. Sapeva cosa dire ecome dirlo per far sciogliere Alec, per fargli andare in nebbia il cervello, per far sentire il suo corpo come pastafrolla che viene amalgamata con cura dalle mani del maggiore.
“Chiedi,” aveva continuato, la mano che aveva cominciato ad accarezzarlo di nuovo, su e giù per l’addome con calcolata lentezza, prima di afferrare la lunga catenella con la freccia che Alec aveva al collo e tirarlo di più a sé, “E ti sarà dato.”
Alec deglutì ancora una volta, gli occhi incollati alla bocca di Magnus: “Inginocchiati.” La voce che tremò di nuovo, estranea persino alle orecchie dello stesso Alec. Ma non certo perché titubasse, semplicemente non riusciva più ad avere controllo di se stesso, era entrato dentro un vortice di emozioni, come se si trovasse dentro l’occhio di un ciclone e non riuscisse a uscirne – non volesse più uscirne. Era una situazione che lo faceva sentire vivo, che accendeva ogni nervo del suo corpo e gli faceva tremare anima e cuore. Avrebbe voluto che tutto quell’attimo durasse in eterno. Solo lui, Magnus e tutto quello che avevano da offrirsi.
Magnus assecondò la sua richiesta e Alec, per tutto quel lasso di tempo, non si morse la lingua nel tentativo di trattenere i suoi gemiti e le sue imprecazioni, solo perché Magnus gli aveva chiesto di non trattenersi.
Alec tornò alla realtà non appena si rese conto che aveva cominciato a sudare. Spostò lo sguardo dallo specchio, notando le guance che si erano colorate di rosso, e dal succhiotto, che sapeva coincideva perfettamente con la bocca di Magnus.
Magnus. Gli avrebbe scritto, più tardi. Sorrise.
Prima doveva farsi un doccia. Fredda. Decisamente ghiacciata.
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I got all I need when I got you and I
FanficLa FanFiction nasce su EFP, l'autrice originale si chiama Roscoe24, tutti i diritti sono riservati a lei e con il suo consenso posso trascrivere la storia qui su Wattpad. Potete trovarla su Efp sotto "Fan Fiction: Serie TV > Shadowhunters" ========...