Alec stava nella sua stanza, il letto appena fatto e lo zaino per la scuola già sistemato. Osservava l’interno del suo armadio con fare titubante. Dai suoi capelli, ancora umidi per la doccia, scendevano gocce che tracciavano sentieri lungo la sua schiena nuda, portando con sé piccoli brividi di freddo. Un pensiero gli albergava la mente mentre, con addosso solo un paio di jeans neri, osservava il maglione verde scuro che stava accuratamente piegato all’interno del suo armadio. Aveva un ricordo particolare legato a quell’indumento, che aveva comprato settimane e settimane prima, ma non aveva ancora messo, convinto che dovesse usarlo per un’occasione speciale. Ma Alec non sapeva davvero scegliere quale fosse un’occasione speciale perché aveva sempre avuto la sdolcinata convinzione che ogni occasione fosse speciale con Magnus. Ed era proprio a lui che associava quel maglione che stava ancora fissando. Si ricordava il giorno in cui lui e Magnus stavano tornando dalla biblioteca pubblica e, passando davanti ad un negozio, Magnus aveva affermato che un colore del genere gli sarebbe stato benissimo perché risaltava il colore dei suoi occhi. Alec era arrossito e aveva liquidato la cosa farfugliando parole a metà e senza senso, ma se la cosa poteva essere finita lì, non era stato così per il suo cervello. Aveva sempre visto i suoi fratelli prepararsi per uscire con le persone con cui stavano: aveva visto Izzy truccarsi con più cura del solito, o mettere un vestito di un colore anzi che di un altro, perché sapeva che Simon avrebbe apprezzato di più; aveva visto Jace mettersi quella camicia blu notte perché sapeva che piaceva tanto a Clary. E, di conseguenza, si era insinuata nella sua mente la possibilità di fare lo stesso per Magnus, di comprarsi un maglione che gli piaceva per rendersi più piacevole ai suoi occhi. Così qualche giorno dopo era andato in quel negozio e l’aveva comprato. Non se l’era mai messo perché temeva che si sarebbe sentito un tantino ridicolo, ma adesso… adesso quel maglione aveva tutto un altro significato. Lo vedeva come un modo per fare una sorpresa a Magnus, per dirgli che ogni volta che parlava lo ascoltava e che teneva a quello che diceva, che gli faceva piacere farsi carino per lui perché il modo in cui lo guardava era la cosa più bella del mondo, che Magnus stesso era la cosa più bella del mondo. Non avrebbe più mancato nemmeno un’occasione per ricordarglielo, soprattutto dopo quello che gli aveva raccontato il giorno prima. Magnus non avrebbe più dovuto dubitare di quanto fosse meraviglioso, dentro e fuori. E anche se cominciare da un maglione poteva sembrare stupido, era pur sempre un inizio.
Un bussare deciso alla porta lo distrasse dai suoi pensieri e mentre afferrava il maglione e se lo infilava, Jace aprì.
Robert fece capolino nella camera dei suoi figli, già vestito e pronto per andare a lavorare. Il profumo deciso della sua colonia riempì la stanza, arrivando fino alle narici di Alec, che cominciarono a pizzicare. Nonostante tutto, comunque, era un odore familiare e Alec non lo trovava fastidioso.
“Buongiorno, ragazzi.”
“Buongiorno, papà.” Risposero in coro Jace e Alec, come se dovessero prepararsi ad un saluto militare.
“Sto uscendo e volevo salutarvi.”
Alec si focalizzò momentaneamente sulla routine di suo padre, su quanto fosse cambiata dall’incidente di Max. Prima di quell’orribile giorno, Robert cenava sempre con loro e non perdeva mai una colazione, sebbene non si prolungasse mai troppo – arrivare in ritardo al lavoro era fuori questione e lui era un uomo preciso in modo maniacale. Non era un uomo affettuoso, certo, ma almeno si sforzava di passare del tempo con la sua famiglia. Dopo l’evento funesto, invece, saltava ogni colazione e, come la sera precedente, a volte saltava la cena, rimanendo in ufficio a lavorare. Era cambiato, così come era cambiata sua madre, ma avevano avuto due modi completamente diversi di reagire all’intera situazione.
“Isabelle e Max sono già in cucina. Riuscite a crederci? Vostra sorella che scende puntuale?” Doveva essere un chiaro tentativo di fare conversazione, ma Alec – e sicuramente anche Jace – sapeva che c’era qualcosa sotto. Di norma, suo padre non si comportava in quel modo. I suoi saluti erano rapidi e sintetici, efficaci come la sua stessa persona. Per questo, dopo il saluto era strano che cercasse di fare conversazione.
“Un miracolo di Natale in anticipo?” cercò di scherzare Jace. Alec sorrise, mentre Robert serrò gli angoli della bocca.
“Nostro Signore ha miracoli più importanti da compiere, figliolo.”
Alec vide chiaramente il viso di Jace trasformarsi: il suo tentativo di alleggerire l’atmosfera piombò in un buco così come la sua allegria. La sua espressione si incupì e Alec sapeva che da lì a poco sarebbe arrivato il suo pungente sarcasmo, che ovviamente Robert non aveva mai trovato di proprio gradimento, quindi decise di intervenire.
“Devi dirci qualcosa, papà?”
L’uomo si aggiustò la cravatta – già sistemata perfettamente – per prendersi, evidentemente, il tempo necessario ad affrontare la questione. “Tua madre mi ha detto che hai parlato con Lydia, qualche giorno fa.”
Alec si trattenne dal chiudere gli occhi e sospirare. L’ossessione di suo padre per quella ragazza e il fatto che dovesse frequentarla stava diventando sfiancante.
“Sì, papà. Lydia mi ha chiesto di studiare insieme, qualche volta.”
“E tu che le hai risposto?” La sua voce tremò di impercettibile aspettativa e Alec fu quasi sopraffatto dalla volontà, un po’ sadica, di dirgli che aveva rifiutato. Ma sarebbe stato inutile, perché sarebbe venuto a sapere com’erano andate le cose. Magari proprio dal signor Branwell, con cui era tanto amico.
“Che mi andava bene.”
“Potremmo invitarla a cena, qualche volta. O tu potresti chiederle di uscire.”
Eccolo lì, il vero motivo di tutto questo teatrino. Non era un modo per passare qualche minuto con i suoi figli prima di andare a lavorare. No, assolutamente. Era un’occasione per cercare di controllare Alec, di trovare un modo per impostare la sua vita verso quella direzione che non poteva essere più distante dalla realtà. Anzi, per dirla tutta era totalmente opposta alla realtà, perché affinché il ridicolo piano di suo padre andasse in porto, Lydia avrebbe dovuto essere un maschio. E nemmeno in quel caso sarebbe andato a buon fine perché comunque non sarebbe stato Magnus.
“Questo è fuori questione, papà.” E davvero, il verso di scherno che uscì dalla sua gola dopo aver pronunciato quelle parole, fu puramente istintivo. Nessuna premeditazione. Gli uscì e basta. Alec, comunque, non se ne pentì.
Robert si accigliò. “Perché? Perché rifiuti tanto questa possibilità?”
“E perché tu insisti tanto?”
“Perché Lydia è una brava ragazza e-”
“E suo padre è tuo amico, la sua famiglia è importante nella comunità religiosa, proprio come noi, e credi che farmi uscire con lei potrebbe accrescere maggiormente la stima che hanno di te.”
Robert guardò il figlio sbigottito. Alec non si era mai rivolto a lui in un modo così schietto e sapeva di averlo scioccato. Ancora, comunque, non si pentiva di ciò aveva detto. Era stufo marcio di ingoiare rospi e obbedire ciecamente, senza opporsi mai. Era stufo di rinunciare alla sua felicità per qualcuno che lo voleva esattamente per come non sarebbe mai stato e lo faceva sentire sbagliato. Lui non era sbagliato.
“Ma non ti è mai venuto in mente che a me Lydia possa non piacere? O che io abbia già qualcun altro? Lo credi così impossibile??”
Alec stava perdendo il controllo, vomitava parole senza filtrarle e, anche se la cosa lo spaventava, era più forte la sensazione di libertà che riversare quelle parole come un fiume in piena gli dava.
Suo padre si riscosse dal momentaneo shock che la reazione del figlio gli aveva provocato. “Ce l’hai, Alec? Hai già qualcuno? È per questo che passi le giornate fuori di casa e torni appena prima di cena? E non studi più a casa?”
“Che puoi saperne, tu?” ringhiò Alec, sentendo un’improvvisa ondata rabbia accaldargli il viso. “Non ci sei mai a casa!”
“Tua madre l’ha notato.”
“Allora sa anche che passo le giornate fuori a studiare.” Non era proprio una bugia, lui e Magnus facevano anche quello, quando erano insieme. “E dal momento che i miei voti sono sempre alti, non vedo che motivo ci sia di rimproverarmi su dove studio. Non ti pare?”
Sentiva una tale forza, dentro di sé, che gli dava l’impressione che sarebbe anche riuscito a spaccare il mondo in due. Non temeva più niente, non la reazione di suo padre, non le conseguenze della verità. Niente. Era come se dopo anni passati a nascondere la testa sotto la sabbia, avesse finalmente trovato il coraggio e la forza di affrontare la luce del sole. E ciò che vedeva adesso era così intenso, così luminoso, che mai sarebbe tornato indietro, mai si sarebbe seppellito di nuovo.
“E per risponderti: sì, ho qualcuno. Qualcuno che amo e che mi ama, l-”
Jace lo interruppe prima che riuscisse a dire lui.“D’accordo, signori. Calmiamoci. La situazione si è scaldata, ma non deve necessariamente finire in una lite, giusto?” Le iridi bicromatiche di Jace andarono a scontrarsi con quelle irrequiete di Alec. Il biondo riusciva chiaramente a vederci lampi e saette e avrebbe davvero voluto lasciar finire la frase a suo fratello per vedere che faccia avrebbe fatto suo padre. Ma, sebbene Alec avesse trovato il coraggio di uscire dal suo guscio, lasciargli terminare quella frase sarebbe stato come gettarlo in pasto ad un leone. E Jace non l’avrebbe mai permesso. Avrebbero dovuto camminare sul suo cadavere, prima di riuscire a ferire Alec.
Il minore appoggiò una mano sul braccio del fratello e Alec, immediatamente, rilassò i muscoli e il respiro. Per una volta, nella loro vita, era stato Jace quello che aveva fatto appello alla parte razionale del suo cervello e aveva riportato Alec dentro ai cardini. Il maggiore annuì. Sapeva che doveva dare retta allo sguardo che abitava negli occhi di Jace, in quell’istante, e che gli stava dicendo che non era né il modo né il momento adatto per far venire fuori tutta la verità.
“Tuo fratello ha ragione.” Convenne Robert annuendo, sebbene la sua voce risuonò rauca e alterata. Alec sapeva che era ancora arrabbiato, ma stava rinchiudendo quell’emozione in un angolo remoto del suo essere. Suo padre era così: credeva che l’unico modo di gestire le emozioni fosse reprimerle. Quale essere umano sano fa un ragionamento del genere convinto che sia la soluzione giusta? Come faceva a non rendersi conto che era come una specie di bomba ad orologeria che sarebbe esplosa, un giorno?
Lo stesso Alec, che aveva passato anni a nascondere la sua omosessualità, aveva avuto l’impressione di rischiare di esplodere, se non l’avesse detto a qualcuno. Per questo aveva deciso di parlare con Izzy, all’inizio.
“Sì.” Concordò Alec, ma non aggiunse altro. Robert lo guardò per un attimo ancora, i suoi occhi neri – così simili a quelli di Isabelle, eppure così profondamente diversi – lo scrutarono come a volergli leggere l’anima. Alec sostenne quello sguardo senza timore alcuno, con quella fierezza che, fino a quel momento, era convinto appartenesse solo ad Isabelle e che l’aveva sempre fatta assomigliare ad una guerriera inarrestabile. E un po’ ci si sentiva anche lui – una specie di guerriero inarrestabile, dall’armatura ammaccata, ma non per questo facile da ferire.
“Ci vediamo stasera.” Disse solo Robert, con quella calma innaturale, come se non fosse successo niente, prima di uscire dalla stanza dei suoi figli.
Quando la porta si chiuse, Alec si lasciò andare ad un sospiro pesante e stremato.
“Ho sempre saputo fossi cazzuto, ma mi hai stupito.”
Alec rilassò le spalle e si lasciò andare ad una risata, che risuonò piuttosto liberatoria, doveva ammetterlo. “Grazie per essere intervenuto.”
“Sai, se ci fosse stato Magnus, sono sicuro gli sarebbe venuto duro.”
“JACE!” Alec arrossì violentemente e Jace scoppiò a ridere, portandosi una mano sull’addome per cercare – invano – di darsi un contegno.
“Comunque,” riprese Jace, asciugandosi una lacrima che era sfuggita da un occhio, “Non era il momento adatto. Se gliel’avessi detto mentre litigavate, l’avrebbe sicuramente presa male, pensando che esci con un ragazzo solo per fargli un dispetto.”
Alec era consapevole dell’intelligenza di suo fratello, ma si stupì comunque di quanto fosse saggio e astuto quel ragionamento.
“Ma siccome non è così, ti meriti di meglio. Meriti di parlarne in modo tranquillo e, soprattutto, a mente lucida. Non perché le stronzate che escono dalla bocca di quell’uomo mettono a dura prova la tua ferrea pazienza.”
Alec sospirò e un sorriso riconoscente andò ad aprirsi sul suo viso. “Grazie.”
Jace ricambiò quel sorriso e lo strinse in un abbraccio stritola costole. “Io le mantengo le promesse che faccio, Alec. Dovresti saperlo.”
Alec annuì e ricambiò l’abbraccio. “Lo so.”
Avevano giurato che si sarebbero coperti le spalle, sempre e comunque. Non importa in quale situazione si fossero cacciati, finché avevano l’un l’altro non avrebbero mai temuto niente perché si sarebbero sempre protetti.
«Non chiedermi di abbandonarti, o di fare ritorno senza di te, poiché ovunque tu andrai, verrò anch’io e ovunque ti fermerai il tuo popolo, sarà il mio popolo; il tuo Dio, sarà il mio Dio. Dove morirai tu, morirò io e ivi sarò sepolto. Sia questa la volontà dell’Angelo. E che ci punisca, se altra cosa che non sia la morte ci separerà.»
Avevano sentito quel giuramento in un film, da ragazzini, e avevano deciso di farlo proprio. Non avrebbero permesso a niente e nessuno di separarli. Ed entrambi sapevano che sarebbe stato così per tutta la loro vita: avevano preso tremendamente sul serio quella promessa e avevano tutta l’intenzione di rispettarla.
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I got all I need when I got you and I
FanfictionLa FanFiction nasce su EFP, l'autrice originale si chiama Roscoe24, tutti i diritti sono riservati a lei e con il suo consenso posso trascrivere la storia qui su Wattpad. Potete trovarla su Efp sotto "Fan Fiction: Serie TV > Shadowhunters" ========...